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Appello alla festa popolare

III. Ottocento: la metamorfosi del coro

I. 2. Appello alla festa popolare

La festa popolare ha i suoi prodromi nelle manifestazioni classiche, le Dionise Urbane, secondo un percorso che nasce proprio a partire dalla Rivoluzione Francese, nei Festival dell’Unità e Indivisibilità (1793), dell’Essere supremo (1794), o nel progetto di Jacques Louis David che, secondo l’esempio dell’antica Grecia, si rivolgeva alla creazione di «un immenso teatro concepito per permettere al popolo francese di rappresentare e assistere ai grandi eventi della rivoluzione»51. Ancora prima era stato Jean-Jacques Rosseau, nella sua Lettre à M. D’Alembert sur son article Genève (1758), a delineare il bisogno di un teatro che nascesse dalla festa, dall’identificazione fra attori e spettatori, ovvero di una comunità che rappresentasse se stessa e i propri ideali:

E quali saranno mai i temi di questi spettacoli? Cosa vi si potrà mostrare? Nulla, se si vuole. Con la libertà, dovunque regni l’abbondanza, regna anche il benessere. Piantate nel mezzo di una piazza un palo coronato da fiori, radunate la gente, e avrete una festa. Fate ancora di più: ponete al centro dello spettacolo gli spettatori, trasformateli in attori; procurate che ognuno contempli sé stesso negli altri, affinché tutti ne risultino intimamente uniti52.

Come giustamente afferma Roberto Tessari, Rosseau «enuncia una profezia a doppio taglio»53 , ovvero un uso dello spettacolo dal vivo che può divenire manipolativo, soprattutto nel non voler mostrare nulla se non la gente stessa, ma già trasfigurata. La forza della festa popolare irrompe nuovamente a inizio Novecento, da una parte come appello contro l’artificiosità teatrale, dall’altra come momento aggregante e propagandistico, nella fondazione di nuove festività laiche a contatto con la natura:

51

Jeffrey T. Schnapp, 18 BL Mussolini e l’opera d’arte di massa, Garzanti, Milano 1996, p. 11.

52 Jean-Jacques Rosseau, Lettre à M. D’Alembert sur son article Genève, a cura di M. Launay, Garnier-Flammarion, Paris 1967, in Roberto Tessari, Dai lumi della Ragione ai roghi della Rivoluzione francese, in Roberto Alonge e Guido Davico Bonino (a cura di), Storia del teatro moderno e contemporaneo, Vol. II, Il grande teatro borghese. Settecento-

Ottocento, p. 272. 53 Ivi, p. 273.

Si fa strada la nostalgia di un’arte più originariamente “naturale”: [...] una recuperata accezione di adesione profonda alla natura, di una consonanza dell’artista con le leggi e il ritmo universali che governano le cose54.

E così, nel 1900, in questo ritorno verso la natura e la comunità, come sarà l’esperienza di Monteverità, è ancora Behrens a tracciare un ulteriore luogo di estasi teatrale:

Questa casa festiva sorgerà ai margini di un bosco, sul dorso di una montagna. Risplenderà di tali colori che sembrerà dire: le mie mura non hanno bisogno della luce del sole! Le sue colonne saranno inghirlandate e su sette aste sventoleranno lunghe bandiere bianche. Sugli altri matronei, dei trombettieri in splendide uniformi faranno risuonare lontano per i campi e i boschi i loro lunghi richiami55.

L’evento performativo assume i connotati di una festa popolare, dove il coro è definito «portatore delle forme rappresentative monumentali56

, quindi come vero e proprio elemento di stile inquadrato negli elementi scenici tridimensionali e modulari, che tende ad avvicinarsi ad una massa anonima come incarnazione di una nuova monumentalità – della quale il massimo esponente sarà Max Reinhardt:

L’esigenza celebrativa di solennità e di festa conduceva allo stile monumentale, ad una architettura antiquotidiana e simbolica a cui spettava il compito di rammentare il valore eterno degli avvenimenti rappresentati57.

Fuchs delinea la natura del coro come strumento coreografico sull’esempio delle rappresentazioni pasquali, intrise da un’atmosfera da sagra rurale come l’Oberammergau Passionspiel58, ovvero la Passione messa in scena ogni dieci anni dai cittadini della piccola comunità montana di Oberammergau, all’aperto e con la ripetizione immutata di pantomime e quadri viventi per l’arco di circa sette ore, dalla mattina alla sera sino a quando la luce del giorno lo rendesse possibile recuperando anche l’ideale suddivisione dello spazio scenico in tre luoghi distinti, ovvero il Proscenium (dove prende posto il coro), Mittelbühne (il palcoscenico di mezzo ove si erige la croce), Hinterbühne (lo sfondo dove avvengono le azioni di massa delle comparse)59

.

54 Eugenia Casini Ropa, La danza e l’agitprop. I teatri-non-teatrali nella cultura tedesca del primo Novecento, il Mulino, Bologna 1988, p. 19.

55

Peter Behrens, Festa della Vita e dell’Arte, in Mara Fazio, Lo specchio il gioco e l’estasi, cit. p. 202.

56 «träger der monumentalen Ausdrucksformen»». Georg Fuchs, Die Schaubühne der Zukunft (1904) in Peter Simhandl, Bildertheater. Bildende Künstler des 20. Jahrhunderts als Theaterreformer, cit., p. 38.

57 Mara Fazio, Lo specchio il gioco l’estasi, cit., p. 199. 58

Tradizione nata nel 1634, durante la peste.

Questi ideali assurgono a realtà concreta a partire dai primi anni del Novecento, grazie all’attività della comunità di Monte Verità in Svizzera, ove nell’ottica appunto di una Lebensreform, una congerie di anarchici fonda uno stile di vita dedicato al nudismo, ad una dieta vegetariana, alla coltivazione in proprio, e ai periodici bagni di sole60. Figura carismatica di questa realtà che attrasse artisti ed intellettuali del tempo, fu Gustav (soprannominato Gusto) Gräser, le cui immagini del tempo ce lo restituiscono con indosso toghe alla greca variopinte e che fu fra i promotori di una «Rhytmische Tanz»61 oltre che di rappresentazioni en plein air pregne d’atmosfere da sagre rurali, da molti riportati come simili agli Oberammergau62. Proprio in questa temperie Rudolf von Laban (1878-1958) fonda la Scuola d’Arte a Monte Verità nel 1913, dal cui programma si evince quali siano gli elementi portanti:

Arte del movimento: 1) Esercizi fisici. Lavoro sul corpo all’aperto e in laboratorio; 2) Giochi e danze individuali e di gruppo; 3) Composizione dell’opera d’arte in movimento.

Arte del suono: 1) Esercizi vocali e strumentali. Canti e ritmi come accompagnamento al lavoro; 2) Canto individuale e corale. Musica Strumentale; 3) Composizione musicale.

Arte della parola: 1) Esercizi meccanico-fonetici in lingue diverse. Esercizi di dizione; 2) Oratoria e declamazione individuale e in coro; 3) Composizione dell’opera d’arte di parola.

Arte della forma: 1) Esercizi tecnici. Lavoro tecnico e all’aperto e in laboratorio; 2) Lavoro in arte applicata. Architettura. Modellaggio; 3) Composizione dell’opera d’arte della forma63.

Laban puntava alla creazione di un’arte che fosse unione di Tanz-Wort-Ton (danza-parola-suono) unito a Kraft-Raum-Zeit (forza-spazio-tempo) quindi un’educazione all’espressione del corpo inscindibilmente legata al movimento dello spazio e al ritmo64, ampliando la celebre trinità wagneriana, Wort-Ton-Drama. Da qui l’evolversi in un primo tempo delle Fackeltänzen65, danze con bandiere e, dal 1917, dei veri e propri Bewegungschöre, i cori di movimento. Alcuni di questi cori furono rappresentati durante feste operaie, agiti da ampi gruppi, fino a vere e proprie masse, secondo coreografie nate dalla riproduzione dei gesti specifici di alcuni mestieri. Il più celebre fu il cosiddetto Bewegungschor di Amburgo, fondato nel ’23-’24, che influenzò in modo preminente la nuova natura degli spettacoli in ambito operaio. Una nuova forma di spettacolo che divenne utile a fini propagandistici:

60 Robert Landmann, Ascona-Monte Verità, Ullstein Sachbuch, Frankfurt/M – Berlin – Wien 1979, p. 72. 61

Ivi, p. 35.

62 Landmann riporta la testimonianza di uno dei molti visitatori della comunità, Henri Oedenkoven, belga. Ivi, p. 100. 63 Eugenia Casini Ropa, La danza e l’agitprop, cit., p. 31.

64 Secondo la ricerca di un metodo di scrittura della danza. La cosiddetta Labanotation sarà portata a compimento nel testo Choreographie, Diederichs, Jena 1926.

Anche nella festa, nel gioco, nella celebrazione, l’individuo è rappresentante della comunità, che nella stessa conformazione degli individui tende verso la grande opera di una nuova cultura. [...] Specchio dei nostri desideri sociali ed ideali può essere solo l’opera corale66.