L’essenza del coro, qual è?
Se nel Novecento assistiamo ad una proliferazione di cori teatrali, fino all’inquietante legame con i totalitarismi, ciò dipende dalla natura di questo primo nucleo, dalla sua condizione a metà tra rito e teatro, dal suo fascino perenne che può indurre a definirlo come unica vera radice teatrale, come esempio del legame tra l’uomo e i ritmi della natura, come consapevole strumento politico di autodeterminazione di una collettività.
Nel compendio sul dramma sociale111
, Turner mutua il concetto di liminalità dal celebre testo di Arnold Van Gennep, Les rites de passage112 (1909), ove, in seguito all’osservazione di numerosi riti di trasformazione – riti che scaturiscono dalla trasgressione e rottura di alcune convenzioni nel passaggio da uno stadio all’altro, ad esempio dall’età adolescenziale a quella adulta, o dalla stagione invernale a quella primaverile, da eseguirsi secondo una rigida scansione per salvaguardare la comunità in primis, il singolo individuo in secundis – lo studioso giunge a definire uno schema tripartito universale: separazione, margine, aggregazione113
.
Nella prima fase, la separazione, coloro che si apprestano al mutamento sono allontanati dalla loro famiglia, dalla loro quotidianità, dal loro stato sociale; nella seconda fase, detta margine, essi conducono la propria esistenza al di fuori della comunità, in uno stadio ibrido tra ciò che erano prima e quello che saranno dopo; nella terza fase, aggregazione, gli individui trasformati sono reintegrati114
.
Turner si concentra sullo stato di margine, limen, sorta di limbo sociale durante il quale «gli iniziandi sono spinti il più possibile verso l’uniformità, l’invisibilità strutturale e l’anonimato»115
, l’uniformità come transizione, come momento nel quale essere non identificabile, una perdita dell’identità che offra l’opportunità di un nuovo inizio:
111
«Le radici del teatro sono dunque nel dramma sociale e il dramma sociale si accorda benissimo con la forma drammatica che Aristotele ha ricavato per astrazione dalle opere dei tragici greci», in Victor Turner, Dal rito al teatro, cit., p. 34.
112 Arnold Van Gennep, Les rites de passage, Émile Nourry, Paris 1909, trad. it. Arnold Van Gennep, I riti di passaggio, Bollati Boringhieri, Torino 2006.
113 Ivi, p. 10. In Turner divengono separazione, transizione, incorporazione. Victor Turner, Dal rito al teatro, cit., p. 55. 114 Il rito di passaggio si enuclea anche nello sparagmos, nello smembramento del corpo del dio che porta ad una nuova rinascita. Van Gennep per primo nota questa similitudine con i riti di morte e rinascita analizzati da Frazer ne Il ramo
d’oro, cit.. Cfr. Arnold Van Gennep, I riti di passaggio, cit., Cap. IX. 115 Victor Turner, Dal rito al teatro, cit., p. 58.
l’accentuazione dell’aspetto anonimo e collettivo [...] costituisce una caratteristica universale della
liminalità116.
Una liminalità intrisa di «dovere», di imposizione da parte della comunità, che si distingue dal passaggio liminoide, che per Turner «è pervaso di volere»117
, ove è il singolo individuo – ad esempio la figura dell’artista nella società odierna – a scegliere di subire le conseguenze delle trasformazioni a cui lui stesso si sottopone, secondo una ricreazione originale e personale del rito di trasformazione attraverso la volontaria auto-esclusione.
Nel momento in cui ci si accosta all’osservazione sul campo la distinzione sembra, però, molto meno netta, come presso gli Ndembu118, ove «i novizi, pur venendo spogliati del nome, del rango profano e degli indumenti, emergevano ciascuno come individuo ben distinto e c’era un elemento di competitività personale»119, per cui si rende evidente come nella liminalità sia racchiuso comunque il passaggio liminoide. Turner traccia, quindi, una serie di caratteristiche distintive dei fenomeni liminali e dei fenomeni liminoidi, in base alla dicotomia tra «solidarietà meccanica» e «solidarietà organica»120: azioni collettive versus azioni individuali con effetti sulla collettività, integrazioni nel processo sociale versus personalità outsider, creazioni a carattere collettivo e di massa versus prodotti di individui singoli specializzati, funzioni sovversive positive versus proteste sociali e proclami rivoluzionari senza effetto121
. Una dicotomia che si compenetra anche nelle società moderne occidentali, ove «i due generi coesistono in una sorta di pluralismo culturale»122
.
Opinione di chi scrive è che il coro teatrale di origine greca incarni il passaggio dal liminale al liminoide, il passaggio dal rito al teatro o, secondo il sistema binario della performance delineato da Schechner, e citato da Turner, il passaggio tra l’«azione efficace-rituale» e l’«intrattenimento- teatro»123
. Il coro teatrale era, nel V secolo a. C., una «realtà sociale»124
per gli spettatori in quanto il quotidiano, come già rilevato, era nutrito da tipologie corali che scandivano i momenti di passaggio salienti per la comunità come la nascita o la morte di un individuo.
I cori ditirambici potevano essere anche femminili, quindi, ogni singolo cittadino della polis aveva conosciuto come interprete questo momento performativo, questo linguaggio spettacolare rituale.
116 Ivi, cit., p. 85. 117
Ivi, p. 84.
118 Tribù africana, originaria dello Zambia. Cfr. Victor Turner, La foresta dei simboli. Aspetti del rituale Ndembu, Morcellania, Brescia 2001. 119 Ivi, p. 85. 120 Ivi, p. 102. 121 Ivi, pp. 102-104. 122 Ivi, p. 104.
123 Schechner in Turner, Dal rito al teatro, cit., pp. 213-214. 124
«a social reality» in Helen H. Bacon, The Chorus in Greek Life and Drama, in “Arion 3rd series”, 3.1, Winter 1994, p. 19.
Il coro teatrale:
come performer della danza rituale, [...] esiste simultaneamente all’interno della realtà drammatica della messa in scena e al di fuori di essa nella realtà politica e cultuale del qui e ora. Questi due ruoli sono inseparabili125.
Il personaggio collettivo, quindi, assumeva in questo specifico lasso di tempo entrambi gli statuti, entrambe le funzioni di trasformazione rituale e di intrattenimento teatrale, divenendo una realtà a sé non avvicinabile né alla natura dei protagonisti né alla natura del pubblico, né alla natura delle comparse, una realtà che richiedeva un proprio luogo deputato, l’orchestra, che via via iniziò a scomparire già in epoca latina, seguendo lo stesso destino del coro di lenta atrofizzazione.
Uno strumento performativo, composto solo da cittadini uomini con i volti coperti da maschere, che rappresentava il «coro» all’interno degli accadimenti:
Il coro interpreta sempre un coro126.
Detlev Baur riprende il concetto formulato da Simon Goldhill di «special status»127 del coro – uno status speciale derivato dalla basilare funzione di mediatore, dalla duplice interazione con i protagonisti e gli spettatori – traducendolo alla lettera in «Sonderstatus»128
, ma per riferirlo alla sua «speciale» condizione strutturale:
il coro è indicato sempre attraverso la definizione teatrale di coro, il gruppo come figura (il significato) è definito tramite il gruppo figurativo (il significante)129.
Significato e significante coincidono nel caso di questo nucleo performativo, rituale e teatrale, liminale e liminoide: questa è la sua natura irriducibile a metà fra il dovere e il volere, questo il suo specifico status speciale, secondo l’opinione di chi scrive, che lo renderà uno dei protagonisti della riteatralizzazione del teatro nel Novecento.
125 «As a performer of the ritual dance, [...] exists simultaneously inside the dramatic realm of the play and outside of it in the political and cultic realm of the here and now. These two roles are inseparable», in Albert Henrichs, “Why should
I dance?”: Choral Self-Referentiality in Greek Tragedy, in “Arion 3rd series”, 3.1, Winter 1995, p. 70. 126
«Der Chor spielt immer einen Chor», in Detlev Baur, Der Chor im Theater des 20. Jahrhunderts. Typologie des
theatralen Mittels Chor, Niemeyer, Tübingen 1999, p. 26.
127 Simon Goldhill, Reading Greek Tragedy, University Press, Cambridge 1986, p. 271. 128 Detlev Baur, Der Chor im Theater des 20. Jahrhunderts, cit., p. 27.
129
«[...] der Chor wird immer mit dem zugleich theatertechnischen Begriff Chor bezeichnet, die Gruppen-Figur (das Signifikant) ist durch die sie bildende Gruppe (den Signifikanten) definiert», ivi, p. 28.
Prima di allora, però, il teatro non poteva continuare ad accettare un ibrido, un elemento di disturbo nel suo lento cammino verso un riconoscimento come statuto d’arte.