II. Tipologie corali nel Novecento
I. 1. Mauser
Il testo Mauser è l’esempio chiaro del teatro dialettico mülleriano, che tenta di portare alle estreme conseguenze le contraddizioni appunto del socialismo nella DDR, del fallimenti di un’utopia, in diretta polemica con il teatro brechtiano, con la volontà divulgativa che nasconde l’ingiustizia retrostante:
la contraddittorietà, i tentennamenti, gli arretramenti, la commistione inestricabile di qualità positive e negative di ciascun personaggio sono una citazione puntuale dei processi economici in atto [...], un cammino doloroso, a volte tragico, dove il prezzo maggiore continua ad essere pagato dalla classe operaia in prima persona35.
In particolare, questo dramma prende spunto, per rovesciarlo, dal testo Die Massnahme (La linea di condotta, 1930) di Brecht, esempio, appunto, di teatro didattico che applica il materialismo dialettico, in un irrigidimento della visuale. Per rompere un marchingegno costruito da cori, Müller lo recupera a sua volta ma dilatandolo, rendendolo un testo che sia monologo e dialogo, con personaggi peculiarmente indefiniti. Mauser presenta un declamante singolo indicato con la lettera A, un secondo con la lettera B, un coro, ma anche i singoli declamanti a tratti sono indicati come ulteriori cori, ovvero A (coro) e B (coro), in un’osmosi completa di individuo e collettivo. Il tema è la rivoluzione che annienta il singolo, come chiaramente visibile nelle battute finali:
A
Io mi nego, e rifiuto La morte. La mia vita Appartiene a me. CORO
A te appartiene il niente. A (CORO)
Io non voglio morire. Io mi getto per terra. Mi aggrappo alla terra con tutte e due le mani. Mi abbarbico alla terra con la forza dei denti: Alla terra che non voglio abbandonare. E urlo. CORO (A)
Sappiamo bene che anche morire è un lavoro. Ma la paura è tua.
A (CORO)
Cosa viene dopo la Morte?
CORO (A)
Fece altre domande, restando lì per terra E non gridando più. E noi gli rispondemmo:
Tu sai quello che sappiamo, noi sappiamo quel che sai; Ma questa tua domanda non è di aiuto alla
Nostra rivoluzione; la si può consentire A patto che a rispondere sia la vita stessa. E poi la rivoluzione adesso ha bisogno
Di un tuo sì alla morte. Non fece più domande; Se ne andò verso il muro e impartì il comando Sapendo che il pane della rivoluzione
È la morte di tutti i suoi nemici, sapendo Che dobbiamo strappare ancora molta erba Perché rimanga verde.
A (CORO)
MORTE A TUTTI I NEMICI DELLA RIVOLUZIONE36.
Il testo è frutto dell’unione fra testo dialogato e versi ponte, con una completa assenza di didascalie, secondo la presentazione di una tesi rovesciata:
Il caso estremo non costituisce un soggetto, ma è un esempio che presenta il continuum della normalità, e la necessità di farlo saltare. Questo caso estremo è la morte, sulla quale (trasfigurata nella tragedia e rimossa nella commedia) si basa il teatro individualistico. Essa viene concepita come “produzione”, come un lavoro qualsiasi, organizzato dalla collettività che, a sua volta, organizza37.
La morte è il fulcro della drammaturgia mülleriana, soprattutto la sua negazione che non permette una reale memoria storica e la rielaborazione degli errori del passato, allo scopo di non commetterli più. In questo caso la morte non è omessa, ma trattata come un effetto collaterale, accessorio, utile a non interrompere la catena di montaggio della violenza. Il sacrificio del singolo è, però, inutile, annientato in un processo mastodontico che schiaccia gli ostacoli, e declina nel non- sense, nell’assurdo. La morte non è più trattata per ciò che essa è, per un punto di non ritorno di un individuo unico e irripetibile, ma come accadimento transitorio. Il processo di colpevolizzazione già attuato dal Living Theatre, qui diviene il fulcro attraverso il diretto coinvolgimento del pubblico. Nella nota Müller indica, infatti, che dovrebbe essere il pubblico a leggere sia il coro che le battute del protagonista (A) e del coro insieme, mentre un altro gruppo di spettatori le battute del protagonista (A), allo scopo di «rendere inconoscibile [...] ciò che del testo scritto non deve essere letto insieme». Il dramma diviene, quindi, caotico e una completa dissoluzione delle dramatis
36
Heiner Müller, Teatro I, Filottete, L’Orazio, Mauser, La Missione, Quartetto, Ubulibri, Milano 1991, pp. 71-72. 37 Ivi, p. 73.
personae, come anche di ogni parvenza di risposta fra coro e singolo declamante, arrivando all’annullamento del processo drammaturgico. L’individuo è collettivo, e il collettivo è individuo, niente prende forma precisa dal magma omologante. Processo visibile anche nella seconda variante indicata per la messa in scena:
a) per determinate battute il Coro mette a disposizione del Protagonista un attore che ha il compito di rappresentarlo (A1); oppure b) tutti gli attori del Coro rappresentano a turno, uno dopo l’altro o anche simultaneamente, il Protagonista che, mentre viene rappresentato da A1, recita a sua volta determinate battute del Coro. [...] Il Deuteragonista (B) viene rappresentato da un attore del Coro che, dopo la sua uccisione, riprende nuovamente il suo posto nel complesso38.
Il tentativo è, appunto, di creare un corpus unico di corpi indefiniti, di bocche, che si spartiscono il testo e, soprattutto, il processo autogenerante, di infinito ritorno, in quanto chi muore in scena è poi nuovamente inglobato nel coro, all’infinito, presentando come fulcro il «negativo», la impossibile risoluzione delle contraddizioni in una coazione a ripetere, divenendo strumento di «studio critico e non di tribuna»39
.
Sul piano pratico il coro non ebbe, però, esiti felici. Lo spettacolo del 1991 è il frutto di un montaggio di testi, non solo Mauser ma anche Herakles 2 oder die Hydra (Eracle 2 o l’Idra), estratto dal testo Zement (Cemento) del 1972, Herakles 13 da Euripide, Quartett (Quartetto), e Der Findling (Il trovatello), una trasposizione della storia della famiglia Kleist. Nel programma di sala si legge come si sia voluta recuperare «la struttura della Divina Commedia di Dante»40
, nella volontaria compresenza di vivi e di morti dialoganti, in quanto, come afferma la frase di Müller sempre presente nel programma:
Si ha bisogno di futuro e non dell’eternità del momento. Si devono dissotterrare i morti, ancora e ancora, in quanto solo da loro si può ricevere il futuro 41.
Per cui Quartetto è l’inferno delle passioni umane, Mauser il purgatorio del terrore rivoluzionario, mentre Der Findling, ironicamente, il paradiso. Soprattutto la tematica è la rivoluzione fallita in una stretta connessione fra due differenti episodi:
38 Ibidem. 39
Pasquale Gallo, Il teatro dialettico di Heiner Müller, Milella, Lecce 1987, p. 29.
40 «die Struktur von Dantes Göttlicher Komödie». Martin Linzer, Peter Ulrich (a cura di), Regie: Heiner Müller. Material zu Der Lohndrücker 1988, Hamlet/Maschine 1990, Mauser 1991 am Deutschen Theater Berlin, TheaterArbeit,
Berlin 1993, p. 163. 41
«Was man braucht, ist Zukunft und nicht Ewigkeit des Augenblicks. Man muß die Toten ausgraben, wieder und wieder, denn nur aus ihnen kann man Zukunft beziehen». Ivi, p. 164.
Quartetto è ambientato prima della Rivoluzione francese, Mauser dopo la Rivoluzione d’Ottobre, durante
la guerra civile. Entrambi le rivoluzioni sono adesso chiaramente visibili nella loro connessione42.
Dissotterrare i morti per spiegare gli errori del passato, per rendere viibile come a distanza di secoli si ripetano gli stessi errori, gli stessi meccanismi, che risultano incompresibili a uno sguardo lucido.
La scena fu creata da Jannis Kounellis, esponente di primo piano dell’Arte Povera che, a partire dagli anni Sessanta inizia a creare installazioni con oggetti e materiali di fortuna, quotidiani, alla reiterazioni di ferro, juta, accanto ad esempio a animali vivi, o imbalsamati, nella ricerca di uno spazio agibile dallo spettatore. La scena è così descritta dallo stesso artista:
Quando ho fatto “Mauser” con Heiner Müller, abbiamo parlato solamente della scena, ma non del testo. Ha pensato soprattutto al momento della Germania di allora e al problema dell’identità, che la riunificazione aveva mostrato. Questo motivo l’ho preso come punto di partenza e ho lasciato tagliare un buco nel pavimento. Un pozzo che veniva dal sottosuolo. Su di esso si ergeva un grosso tubo di ferro, che fu riempito di sangue. Da sotto il palcoscenico venivano fuori, poi, vecchi armadi, e intorno un trenino, come ne usano i montanari. Vagoncini che si muovevano come in un vicolo cieco. Quseto treno non ha scopo. Non ha destino. È ossessivo, ma non liberato43.
Il problema dell’identità è riprodotto anche nella serialità degli oggetti, da un carretto di legno con infilate sei teste di Lenin, a una fila di vasi posti lungo la ribalta, a dei cappotti logori, di colore scuri, appesi a delle grucce che pendono dal soffitto, a una fila di coltelli sospesi a dei fili trasparenti lungo una linea retta a circa due metri dal palcoscenico:
Mauser tratta di lame di coltello44.
42 «Quartett spielt vor der Französischen Revolution, Mauser spielt nach der Oktoberrevolution im Bürgerkrieg. Beide Revolutionen sieht man jetzt deutlicher in ihrem Zusammenhang». Der Kapitalismus hat keine Alternative mehr außer
sich selbst. Gespräch mit Heiner Müller vor der Mauser-Premiere am Deutschen Theater, in Martin Linzer, Peter
Ulrich (a cura di), Regie: Heiner Müller. Material zu Der Lohndrücker 1988, Hamlet/Maschine 1990, Mauser 1991 am
Deutschen Theater Berlin, TheaterArbeit, Berlin 1993, p. 162. 43
«Als ich mit Heiner Müller “Mauser” gemacht habe, haben wir über die Bühne gesprochen, aber nicht über den Text. Er hat vor allem an das deutsche Moment gedacht und die Idäntitasprobleme, die von Wiedervereinigung aufgezeigt wurden. Dieses Motiv habe ich als Ausgangspunkt genommen und ein Loch in den Boden schneiden lassen. Einen Brunnen, der aus dem Unterboden kam. Aus ihm ragte ein großes Eisenrohr heraus, das mit blut aufgefüllt wurde. Unter der Bühne kamen dann alte Schränke hervor, und darum gab es eine Eisenbahn, wie Bergleute sie benutzen. Loren, die sich wie einer Sackgasse bewegten. Dieser Zug hat kein Ziel. Kein Schicksal. Das ist obsessiv, aber nicht befreiend». Frank M. Raddatz, Der Konsens ist der Feind der Kreativität. Jannis Kounellis im Gespräch mit Frank Raddatz, «Theater der Zeit», n. 11, novembre 2007, p. 7.
44
«Mauser spielt aus Messers Schneide». Heiner Müller in Stephan Suschke, Müller macht Theater. Zehn Inszenierung
Sino all’inquietante – l’immagine più famosa di questo spettacolo – serie di attori, vestiti in modo identico con una semplice completo casacca e pantalone di colore scuro, a piedi scalzi, che pendono dal soffitto al limite dell’arcoscenico, chi appeso per i polsi, chi per una caviglia, chi mediante un’imbragatura che lo fa sembrare impiccato. Una completa confusione fra oggetti e uomo, perturbante, una coralità seriale che stigmatizza l’omologazione e la crudeltà di questa.
La scena si presenta come una vera è propria Rauminstallation45, un’installazione spaziale, che sfrutta ogni ambito della scena, dal piano alla verticalità, in una reiterazione di simboli visionari, che fanno da contrappunto al testo, suddiviso non solo in parti dialogiche, ma anche in momenti corali di ripetizione o la frammentazione che non tiene conto della sintassi
Lo straniamento, testi tagliati e distribuiti fra più attori, provando a raddoppiarli, a spaccarli, non hanno dato alla messa in scena, che è fortemente infettata dal teatro di Robert Wilson nell’uso del tempo e nella scoperta dell’immagine, schiettezza piuttosto una eccessiva chiarezza46.
L’effetto fu, quindi, macchinoso, illustrativo:
Il lavoro del coro non funzionava. A causa di una noto teorema: il Deutsches Theater è l’unico Ensemble, composto da 150 differenti Ensemble. Per cui ogni attore era un Ensemble a se stante. Ciò rendeva difficile la preparazione del coro47.
Attori di formazione differente non permettevano un’armonizzazione del lavoro, viziato, anche, da una generale sfiducia nello strumento coro in scena, e con ancora eccessivi desideri di protagonismo secondo un’impostazione teatrale che guardava alla preminenza gerarchica dei singoli dramatis personae, da protagonista a scomparsa:
Müller era andato per due giorni a Bayreuth. [...] E gli altri tentavano di togliersi dal coro. Il coro era nella funzione di motore [...] a causa degli elementi scenici. Uno dei coreuti ha subito colto il cambio a protagonista per non tornar più nel coro48.
45 Martin Linzer, Bühne der Gegenwart mit Requisiten aus der Vergangenheit, «Theater der Zeit», novembre 1991. Ivi, p. 192.
46 «Der Verfrendungseffekt, Texte zwischen mehreren Darstellern aufzuteilen, sie auszuprobieren, zu doppeln, zu zerhacken, gibt der Inszenierung, die im Tempo und in der Bildfindung mächtig von Robert Wilson Theater infiziert ist, keine Offenheit, sonder eine Überdeutlichkeit». Harmut Krug, Die Szene ist das Wort, «Freitag», 2. 9. 1991.Ivi, p. 188. 47
«Das Chorarbeit funktionierte nicht. Dazu gibt es einen berühmten Satz: Das Deutsche Theater ist das einzige Ensemble, das aus 150 Ensemble besteht. Also jeder Schauspieler ist ein Ensemble für sich. Das machte vor allem Chorarbeit schwer». Thomas Martin in Stephan Suschke, Müller macht Theater. Zehn Inszenierung und ein Epilog, Theater de Zeit, Berlin 2003, p. 153.
48
«Müller zwei Tage in Bayreuth. [...] Man versuch, sich aus dem Chor wegzuspielen. Der Chor ist wegen des Bühnenelements [...] in der Funktion Motors. Einer der Choreuten hat den Wechsel zum Protagonisten gleich dazu
Il coro, appunto, avrebbe dovuto funzionare da collante ritmico del montaggio dei testi e dello spazio visuale che era il frutto di elementi seriali visionari che non coadiuvavano la recitazione.
benutz, nicht mehr in der Chor zurückzukommen».Stephan Suschke, Müller macht Theater. Zehn Inszenierung und ein