II. L’uso del coro nella teatralità latina e il suo influsso fino alla fine del Settecento
II. 4. Una caso paradigmatico: l’Edipo tiranno a Vicenza
L’imbarazzo verso il coro teatrale si ripresenta a partire dalla nascita del teatro moderno, nel momento stesso della sua re-invenzione: esso è confuso con la massa di comparse, oppure con gli intermedi spettacolari sviluppatesi a partire dalla fine del Quattrocento, nel diretto legame istituito fra coreutica e danza teatrale mentre conosce nuova linfa rappresentativa grazie alla scaturigine del teatro gesuita, a partire dal Cinquecento e poi per tutto il Seicento.
Prima, però, di analizzare questa proteiforme evoluzione, preme analizzare in modo approfondito ciò che avvenne in occasione della prima messa in scena di una tragedia greca tradotta in volgare193 in un teatro permanente.
189 Giraldi Cinzio, Lettera sulla tragedia, in Bernard Weinberg, cit., p. 477. Corsivi nostri.
190 Aristotele, Poetica, cit., p. 67. Non si ripercorre in questa sede, ritenendoli appurati, l’evoluzione e definizione dei tre generi nella trattatistica cinquecentesca.
191 Paolo Beni da Gubbio esplicita nel suo commentario alla Poetica aristotelica, nel 1613, un giudizio negativo nei confronti del coro antico, stigmatizzandolo come plebaglia. Cfr. Friedrich Klein, Der Chor in den wichtisgen Tragödien
der französischen Renaissance, cit., p. 137. 192
Giraldi Cinzio, Lettera sulla tragedia, in Bernard Weinberg, cit., pp. 478-479. 193 Helmut Flashar, Inszenierung der Antike, cit., p. 27.
Nel 1580 l’Accademia Olimpica di Vicenza194
decide di costruire uno spazio che sia residenza degli Accademici e «insieme teatro et scena per pubblici spettacoli a perpetua conservation(e)»195
: una struttura progettata sul modello vitruviano, con l’area dell’orchestra a semiellissi e un imponente frons scaenae, contaminata già da alcuni elementi del posteriore teatro all’italiana, quali un loggiato sviluppato in verticale e, soprattutto, l’inserimento ai limiti della càvea – per volontà dello Scamozzi, di formazione peruzziana e serliana – di due ali murarie che permettessero l’inserimento di un sipario a caduta, come netta suddivisione tra lo spazio della scena e della sala196. Particolare che contribuisce non poco al trattamento del coro nella rappresentazione in quanto lo spazio di raccordo, l’orchestra, viene eliminato e sostituito da un ampio proscenio aggettante quasi sino al limite dei gradoni.
Per battezzare il luogo si opta per la rappresentazione dell’Edipo re di Sofocle, in base a quanto indicato nella Poetica aristotelica197
, tragedia della quale Orsatto Giustiniani elabora una riduzione, intitolata Edipo tiranno, in volgare e in versi endecasillabi con il preciso scopo di non «allontanarsi dalla facilità, et purità del parlare»198
.
Il corago chiamato ad impegnarsi in questa difficile impresa di prima messa in scena tragica in uno spazio originale creato per l’occasione, è quello stesso Angelo Ingegneri che in seguito redigerà (nel 1598, a distanza di dodici anni dalla rappresentazione199
) il trattato Della poesia rappresentativa e del modo di rappresentare le favole sceniche200
, che diede un notevole impulso al definirsi ed evolversi della spettacolarità barocca. Buona parte delle formulazioni e descrizioni in esso contenute sono già presenti nel Progetto di messa in scena dell’Edipo tiranno, elaborato con lo scopo di costituire un exemplum per i posteri oltre che pretesto per una difesa del genere misto, unione di tragico e comico, ovvero della favola pastorale. Ciò non stupisca in quanto la nascita del dramma per musica, di lì a poco, si originerà anche dalla convinzione di una restituzione della vera tragedia201 secondo il mito dell’Arcadia che, in ambiente cortigiano, aveva già ricreato le premesse per la scaturigine del balletto attraverso spettacoli mitologici ed allegorici, a partire dalla seconda
194 Fondata nel 1555. 195
Lionello Puppi, Breve Storia del Teatro Olimpico, Neri Pozza, Vicenza 1977, p. 22.
196 Teorizzato da Andrea Palladio e completato da suo figlio Silla e Vincenzo Scamozzi. Non è questa la sede per ripercorrere le tappe della progettazione e costruzione di un teatro che costituisce il prodromo del modello all’italiana. Per approfondimenti si rimanda, fra gli altri, a Lionello Puppi, Breve Storia del Teatro Olimpico, Neri Pozza, Vicenza 1977, Ludovico Zorzi, Il teatro e la città. Saggi sulla scena italiana, Einaudi, Torino 1977, Stefano Mazzoni,
L’Olimpico di Vicenza: un teatro e la sua «perpetua memoria», Le Lettere, Firenze 1998.
197 Come è noto Aristotele indica più volte l’Edipo come esempio massimo di peripezia, riconoscimento e fatto orrendo. Cfr. Aristotele, Poetica, cit., pp. 81-83.
198
Alberto Gallo, La prima rappresentazione al Teatro Olimpico, con i progetti e le relazioni dei contemporanei, il
Polifilo, Milano 1973, Introduzione, pp. XLIII-XLIV. 199 L’Edipo tiranno andò in scena il 3 marzo 1585.
200 Pubblicato la prima volta nel 1598, Baldini, Ferrara, il trattato è contenuto anche in Ferruccio Marotti, Lo spettacolo dall’umanesimo al manierismo, cit., pp. 271-308.
metà del Quattrocento. La tragedia greca, esattamente come il dramma satiresco, è multimediale e la sua rappresentazione202
«consta di tre parti: d’Apparato, d’Attione, et di Musica»203
, mentre «L’attione consiste in due cose, nella voce et nel gesto»204
– sono definizioni dell’Ingegneri contenute all’interno del Progetto che si ripresentano praticamente identiche nel trattato posteriore205
, esattamente come il riferirsi con orgoglio alla magnificenza del seguito di Edipo e di Giocasta206, il primo costituito da ventotto figuranti e il secondo da venticinque, tutti riccamente vestiti; un’ostentazione non poco influenzata dalla tradizione dei cortei celebrativi207 secondo l’ottica del meraviglioso e del decoro, di chiara derivazione cortigiana.
Una schiera di persone da non confondersi, però, con il coro, il quale induce a riflessioni specifiche grazie alla volontà di restituzione filologica presente all’interno di un’operazione nata in seno accademico. Il cenacolo degli studiosi è consapevole della natura a sé del coro tragico e dell’esigenza di una riflessione specifica sulla metodica rappresentativa, per cui si nomina, ad esempio, una commissione di sei accademici con l’incarico di:
determinare se fia meglio inserir concerti di musica vocale et instrumentale in ciascuno de’ cori, a fine che serva per intermedij, o per lasciar i cori intieri, et la Tragedia continuata, introducendovi in altro modo la musica208.
A un’altra commissione di sei accademici è affidato, invece, il compito di sovraintendere alla composizione della «musica sopra li cori con accomodata imitatione»209, appunto perché il testo pronunciato dal coro risulti comprensibile, in quanto direttamente integrato nello svolgersi degli accadimenti e, in seguito anche alla volontà dell’Ingegneri convinto che il coro greco fosse costituito da sole voci umane, si opta per il canto a cappella.
La composizione è affidata, dopo la defezione di Filippo de Monte, ad Andrea Gabrieli, organista della Cappella ducale di Venezia, che, allo scopo di rendere intelligibili i versi, scrive la melodia in modo da far corrispondere ad ogni sillaba del testo una sola nota di uguale durata, così da agevolare l’intonazione delle singole parole del canto contemporaneamente e al medesimo 202 L’altro fondamentale trattato in materia di rappresentazione scenica, del quale non tratteremo in questa sede – che ebbe, però, minore fortuna e diffusione – è Leone de’ Sommi, Quattro dialoghi in materia di rappresentazioni sceniche, Ferruccio Marotti (a cura di), Il Polifilo, Milano 1961.
203
Progetto di Angelo Ingegneri in Alberto Gallo, La prima rappresentazione al Teatro Olimpico, cit., p. 8. 204 Ibidem.
205 Cfr. Ferruccio Marotti, Lo spettacolo dall’umanesimo al manierismo, cit., pp. 271-272.
206 Furono impiegati attori non professionisti, con un desiderio di verosimiglianza tale che fece impiegare un uomo cieco nel ruolo di Tiresia, mentre nel caso di Giocasta vi furono aspre critiche, perché troppo giovane e formosa e, quindi, non adatta.
207 Franco Perrelli, Storia della scenografia, cit., p. 70.
208 Vicenza, Biblioteca Civica Bertoliana, ms. Accademia Olimpica, busta I, libro E, f. 22, in Alberto Gallo, La prima rappresentazione al Teatro Olimpico, cit., p. LII.
ritmo210
. Riguardo al movimento in scena, la convinzione generale è che la danza del coro greco sia molto simile alla moresca211
, antica danza pantomimica eseguita in ambito cortigiano da ballerini professionisti, come confermato ad esempio dal Giraldi Cinzio:
Et mi credo io, che que’ momenti fussero, come quelli delle moresche, che si fanno hoggidì da noi a misura del suono212.
L’Ingegneri, invece, richiede che il passo del coro, al momento della sua entrata abbia una qualità di movimento assimilabile né alla danza né a un quotidiano procedere, secondo un’ottica di sobrietà e di decoro che lo introduca a diretto contatto con gli altri personaggi, senza assumere quelle movenze ballettistiche che lo estranierebbe dal contesto spettacolare:
devrebbe essere con gravi giri, et etiando con qualche larga; et riposata rivolta, si ch’il suo moto non havesse già del ballo a fatto, ma non fosse ancora semplice caminare213.
Il corago è, quindi, influenzato dagli assunti oraziani che inducono a suggerire un atteggiamento del coro, e in particolare del corifeo, che sia «sempre verso tutti abondantissimo di rispetto e d’ottimo desiderio»214, accentuato anche dall’aspetto fisionomico, per cui i coreuti non solo debbono essere di età matura ma anche presentare una differente altezza così da offrire la percezione di una moltitudine variegata:
il coro devria esser di quindici persone secondo Sofocle, ma sarà di più se così parrà a chi farà rappresentar la tragedia; in ogni caso tutti saranno vecchi d’età e venerandi di presenza, ma dell’una cosa e dell’altra variati fra di loro, e anco di statura, ciascuno di essi però devendo ecceder la mediocrità. E è d’avvertire che quel di costoro il qual quasi guida e capo degli altri farà la parte parlante overo istrionica, rappresenti in tutte le cose maggior gravità dei quattordici rimanenti215.
210
Ivi, p. LV.
211 La moresca è la danza più citata nei documenti a partire dal XV secolo e diviene la protagonista per eccellenza delle feste di corte, ma «si tratta di uno di quei termini che nella storia della danza sfuggono ostinatamente a ogni precisa definizione e spiegazione», tanto da divenire l’indicazione generale per danze pagane, da Morisco, nome spagnolo che sta per moro. Cfr. Curt Sachs, Storia della danza, cit., p. 368-369 e pp.376-377.
212 Discorsi di M. Giovambattista Giraldi Cinthio intorno al comporre de i Romanzi, delle Commedie, e delle Tragedie, e di altre maniere di Poesie (1554), in Alberto Gallo, cit., La prima rappresentazione al Teatro Olimpico, cit., p. XLIX,
nota 22. Uguale conclusioni anche da parte di Niccolò Rossi, accademico vicentino: «Entrava il choro anticamente... con un saltar e con leggiadria a guisa di moresca», Discorsi di Nicolo Rossi vicentino academico Olimpico intorno alla
Tragedia (1590), in Alberto Gallo, cit., p. XLIX, nota 23.
213 Angelo Ingegneri, Della poesia rappresentativa e del modo di rappresentare le favole sceniche, in Alberto Gallo, cit., p. XLVI.
214
Angelo Ingegneri, Progetto, in Alberto Gallo, cit., p. 25. 215 Ivi, p. 12.
Un’aurea grave e ieratica che emani anche dall’abito, per cui i coreuti indosseranno abiti con sottane lunghe e «cappelletti alla greca», rossi e azzurri in quanto sono i colori che identificano i cittadini, mentre il corifeo, l’unico a «ragionar nella favola, doverà esser più riccamente e più maestosamente vestito»216, in quanto a diretto contatto con i protagonisti.
Il corteo celebrativo induce ad una visione dello messa in scena secondo la tradizione del quadro vivente per cui il coro, una volta entrato in scena, dovrà formare «un mezzo ovato, e quivi canterà la sua canzone»217, mantenendo questa disposizione per tutto il tempo che rimarrà in scena o, una volta rimasto solo, «saria ben ch’ei sedesse»218, disponendosi secondo figure fisse, coadiuvato dalla ripartizione del pavimento in quadrati di marmi di due differenti colori, espediente utile anche per ottenere un maggiore inquadramento prospettico219.
La rappresentazione non riscosse, però, particolare fortuna e molte furono le critiche lanciate dai puristi aristotelici. Antonio Riccoboni in particolare – professore di eloquenza greca e latina a Padova, che pochi anni prima, nel 1579 aveva pubblicato le traduzioni latine della Poetica e della Retorica di Aristotele (accompagnate, nello stesso anno e in anni successivi, da commenti220
e parafrasi) – mosse, nella sua Lettera scritta all’Ingegneri come commento alla rappresentazione, una serie di aspre critiche. In particolare, nel caso del trattamento scenico del coro tragico, un grave errore fu che il personaggio collettivo fosse costituito «da una sola sorte di istrioni che hanno solamente cantato, e così è stato defraudato Sofocle del ballo e del suono»221
, intendendo con quest’ultimo l’accompagnamento strumentale specifico dell’auleta.Riguardo al corifeo ecco che si ripresentava la problematica della suddivisone fra l’ambito cortigiano e il volgo assieme al dubbio che non fosse unicamente il corifeo a declamare, ma anche coreuti secondo l’ottica della folla:
pareva molto strana a discostarsi molto affettatamente dalla moltitudine corica e mettersi a pari del re, di maniera che rappresentasse un particolare interlocutore e non una persona del popolo [...] Oltraché non sono certo che fosse una sola persona del coro e non più, delle quali con maggiore similitudine ora l’una ora l’altra parlasse222.
216
Ivi, p. 16. 217 Ivi, p. 23. 218 Ivi, p. 24.
219 Ingegneri in Alberto Gallo, La prima rappresentazione al Teatro Olimpico, cit., p. XLV. Cfr. Ferruccio Marotti, Lo spettacolo dall’umanesimo al manierismo, cit. p. 304.
220 Cfr. De re comica ex Aristotelis doctrina (1579), anonimo, in Bernard Weiberg (a cura di), Trattati di poetica e retorica del Cinquecento, cit., pp. 255-276.
221 Antonio Riccoboni, Lettera, in Alberto Gallo, cit., p. 48. Peculiare che il Riccoboni affermi che Sofocle fu il primo ad inserire «tre maniere di istrioni del coro», affidandosi come fonti alla Poetica di Aristotele, dove in realtà non vi è traccia di questa indicazione, e a Diogene Laerzio – il quale visse nel III sec. d.C. – nel quale effettivamente, nella parte dedicata alla vita di Platone, si indica questa suddivisione, in realtà da ascriversi alla teatralità latina. Cfr. Giovanni Reale (a cura di), Diogene Laerzio. Vite e dottrine dei più celebri filosofi. Il pensiero occidentale, Bompiani, Milano 2005.
Inoltre lo spazio scenico era inadatto ad ospitare una schiera di persone per cui la dislocazione scenica sia durante l’esecuzione canora, ma anche in silenzio, risultava forzata:
avendosi acconci quelli del coro in forma di luna, finito il canto, per dar luoco agli interlocutori, si allargavano assai bruttamente e poi si mettevano insieme oltre quella persona che si discostava dagli altri223.
Il coro, quindi, si spostava sul proscenio quando era il suo turno per poi schierarsi nuovamente sullo sfondo una volta muto, proprio perché lo spazio non contemplava la presenza in contemporanea di tale strumento performativo e la sua interazione fluida con i protagonisti, mentre il canto a cappella si discostava notevolmente dall’antico greco per avvicinarsi all’esecuzione liturgica:
un canto sempre uniforme, che non lasciava intender le parole, [...] rosembrava frati o preti che cantassero le lamentazioni di Ieremia224.
In definitiva il rapportarsi con lo sconosciuto aveva causato, in questo caso, ad un’invenzione fallita. Il coro tragico aveva assunto connotazioni che non convincevano sul piano scenico e da qui ebbe inizio la mera identificazione con il dramma per musica e gli intermedi almeno fino ad una nuova riflessione sulla natura della tragedia nel Settecento. Uguale destino subiscono lo spazio e la scenografia (che non verrà rimossa) creati ex novo per la sperimentazione rappresentativa. Il «sogno pietrificato di Andrea Palladio»225
cadde in disuso sino al 1847 quando, complice anche il clima di rinnovato interesse nei confronti dell’epoca classica secondo un’archeologia rappresentativa, l’Olimpico di Vicenza ospiterà nuovamente una rappresentazione dell’Edipo re226
.