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L’applicazione dei principi in Italia Diritto alla registrazione alla nascita e diritto al nome

DELL’INFANZIA E DELL’ADOLESCENZA: IL VERSANTE INTERNO

3. L’applicazione dei principi in Italia Diritto alla registrazione alla nascita e diritto al nome

L’applicazione in Italia dei principi ora enunciati risente in parte del parallelo dato normativo contenuto nella Convenzione dei diritti dell’uomo. L’art. 8 CEDU, infatti, pur essendo testualmente dedicato alla tutela della vita privata, è stato nel tempo interpretato in via evolutiva dalla Corte europea dei diritti dell’uomo così da comprendere molteplici profili, incluso il diritto all’identità personale e alla salvaguardia delle relazioni familiari.15

Invero, la presenza del sistema CEDU – costituito da un quadro normativo forte, nell’ambito del quale è possibile attivare un ricorso individuale di fronte ad una Corte che garantisce la costante evoluzione del dato normativo ed è suscettibile di sanzionare lo Stato nel caso concreto – ha finito per lasciato biologici, parimenti dati in adozione. Infra par. 4

14 Il diritto all’identità personale è completato dal diritto all’immagine, disciplinato dall’art.

16 CRC, al cui commento si rimanda.

15 La bibliografia sul punto è sterminata. Per tutti, si vedano i riferimenti contenuti nel bel

volume di W. sChabas, The European Convention on Human Rights: A Commentary, Oxford,

nell’ombra il parametro della Convenzione, in verità non distante dall’art. 8 CEDU quanto al suo tenore normativo.

Molte delle questioni relative al diritto al nome e all’identità personale dei minori sono state infatti affrontate nell’ordinamento italiano proprio facendo ricorso al parametro CEDU, alla capacità di tale Corte di interpretare le nuove esigenze emergenti nella società contemporanea, e alla maggiore efficacia che principi direttamente applicabili in giudizio producono nel caso concreto. A tali indicazioni occorrerà fare riferimento nei paragrafi che seguono.

Ciò non significa però che l’impatto della Convenzione nell’ordinamento italiano sia limitato. Non va trascurato infatti come CEDU e CRC finiscano per influenzarsi e rinforzarsi vicendevolmente, posto che la stessa Corte europea dichiara di dovere interpretare la Convenzione del 1950 quale diritto vivente, alla luce degli obblighi internazionali gravanti sugli Stati in virtù dei successivi parametri convenzionali.

Il parametro più rilevante con riguardo ai diritti dei minori è indubbiamente la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del 1989, per mezzo della quale è possibile modellare una disposizione a portata generale, applicabile indifferentemente ad adulti e bambini, sulle esigenze specifiche del minore. Una lettura specifica e child-oriented delle norme CEDU è tanto più opportuna, poiché è ormai generalmente acquisito che le esigenze e i diritti dei minori non sono tutelabili solo mediante l’applicazione dei diritti degli adulti, ma necessitano di una conformazione e elaborazione specifica. La reciproca interdipendenza dei due atti convenzionali, e l’impatto che la CRC produce sulla CEDU, sono questioni di carattere generale che esulano dal presente scritto e per i quali si rinvia al contributo più appropriato.16

Nell’ordinamento italiano i problemi legati all’attribuzione alla nascita del diritto al nome, e dunque il diritto alla registrazione del nuovo nato, sono sostanzialmente limitati. La registrazione alla nascita, oggi regolata dal DPR 3 novembre 2000, n. 396,17 è fenomeno diffuso e capillare e sostanzialmente

16 Sul punto si veda, in questo volume, il contributo di a. annoni.

17 Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile.

Si veda in particolare l’art. 30, che dispone tra l’altro che la dichiarazione alla nascita debba essere resa, entro dieci giorni dalla nascita, presso il comune nel cui territorio è avvenuto il parto o, in alternativa, entro tre giorni, presso la direzione sanitaria dell’ospedale. Nel caso in cui la dichiarazione venga fatta dopo il decimo giorno dalla nascita, devono essere indicate le ragioni per cui la denuncia viene fatta in ritardo. In questo caso, l’ufficiale dello stato civile procede alla formazione tardiva dell’atto di nascita e segnala quest’anomalia al Procuratore

ben organizzato in relazione alla popolazione italiana. Qualche difficoltà si è posta piuttosto in relazione al parto delle donne migranti irregolari, a seguito dell’introduzione del reato di immigrazione clandestina sancito dalla legge n. 94/2009, c.d. pacchetto sicurezza.18 Per effetto del combinato disposto con

gli articoli 361-362 cod. pen., infatti, il pubblico ufficiale (ivi compresi il personale medico di un ospedale o l’ufficiale di stato civile) che venga a conoscenza di una situazione di irregolarità del migrante è tenuto a farne denuncia. Le conseguenze di tale previsione costituiscono evidentemente un forte effetto deterrente sui genitori in situazione irregolare, che non si presentano agli uffici anagrafici per la registrazione del figlio per timore di essere identificati e poi espulsi. Il punto è stato in effetti tempestivamente corretto dal Ministero dell’interno, che, con apposita circolare, ha precisato che ai fini della dichiarazione di nascita (e del riconoscimento di filiazione) non devono essere esibiti documenti inerenti alla regolarità del soggiorno, sul presupposto che si tratti di dichiarazioni rese nell’interesse pubblico della certezza delle situazioni di fatto e a tutela del minore.19

Sebbene la precisazione contenuta nella circolare sia senz’altro opportuna e vada nella direzione giusta, deve sottolinearsi che la circolare ministeriale è un atto subordinato all’atto avente forza di legge, privo di adeguata pubblicità e per definizione revocabile dalla pubblica amministrazione. Essa non costituisce dunque strumento idoneo a sanare una situazione che appare di impedimento e ostativa alla registrazione del minore nato in Italia, diritto contemplato dalla CRC in relazione ai nati in Italia a prescindere da qualsiasi nazionalità.

La scelta del (pre)nome con il quale registrare un figlio rientra nella sfera privata dei genitori, ma la loro libertà deve esercitarsi nel rispetto del DPR n. 396/2000, che stabilisce alcuni requisiti che deve avere il nome scelto per il neonato. Il (pre)nome infatti deve corrispondere al sesso; non può essere lo stesso del padre vivente, né di un fratello o di una sorella viventi; della Repubblica. Se il dichiarante non giustifica il motivo per la denuncia tardiva oppure non presenta il certificato di assistenza al parto, la denuncia della nascita può essere ricevuta dall’ufficiale dello stato civile solo dopo che il Tribunale ne autorizzi la registrazione, in se- guito agli accertamenti e alle indagini eseguite per l’emissione del decreto di “procedimento della rettificazione”.

18 Legge n. 94/2009, Disposizioni in materia di sicurezza pubblica.

19 Circolare del Ministero dell’interno (Dip. Affari Interni e Territoriali) n. 19 del 7 agosto

2009, Legge 15 luglio 2009, n. 94, recante ‘Disposizioni in materia di sicurezza pubblica”. Indicazioni in materia di anagrafe e di stato civile.

non può essere un cognome, né può essere imposto un nome ridicolo o vergognoso.20 I nomi stranieri assegnati ai neonati devono essere espressi

con le lettere contenute nell’alfabeto italiano e, laddove possibile, anche con i segni diacritici. Infine, è possibile assegnare fino ad un massimo di tre nomi. L’ufficiale di stato civile che registra la nascita del bambino può opporsi alla trascrizione di un nome, ma non può rifiutarne la registrazione. In questo caso l’ufficiale avverte del divieto al dichiarante e, se quest’ultimo insiste, forma l’atto di nascita e informa il Procuratore della Repubblica, il quale può, a sua discrezione, attivarsi per chiedere una sentenza di rettifica del nome.

La Corte europea dei diritti dell’uomo è intervenuta più volte sul necessario bilanciamento tra la libertà dei genitori di determinare il nome del figlio quale espressione della loro vita privata e l’interesse pubblico a una regolamentazione del nome, ivi incluse le sue modalità di scrittura. Alla ricerca di un equilibrio in ciascun caso concreto, la Corte ha così ritenuto che non costituisce violazione della CEDU il rifiuto di registrare un nome quando da ciò derivi un rischio di pregiudizio per il minore; viceversa, viola la Convenzione il rifiuto di registrare un bambino con un nome che non è inadeguato e di cui, in passato, è già stata autorizzata l’attribuzione.21

Questioni più articolate e complesse si pongono con riguardo alle vicende del nome di famiglia (o cognome), sia sotto il profilo del diritto a mantenere il proprio nome (e dunque a non subire l’ingerenza dello Stato volta a modificarlo, ad esempio per il nome della donna a seguito di matrimonio), sia a modificarlo in funzione della mutata situazione di fatto o di diritto (ad esempio, in relazione al cognome del figlio). In entrambi i casi la questione

20 A tal riguardo si ricorda la vicenda relativa al nome Andrea, a lungo ritenuto ridicolo e

vergognoso se attribuito ad una persona di sesso femminile. Così ad esempio il Tribunale di Catanzaro, 14 aprile 2009, proprio facendo leva sull’art. 8 della CRC, ha ritenuto che, nell’interesse del minore, lo Stato dovesse in tal caso procedere alla rettifica, anteponendo in via provvisoria altro nome tradizionalmente femminile (in Riv. dir. int. priv. proc., 2009, p. 959 ss.). La questione è successivamente stata definita in senso opposto dalla Cass. 20 novembre 2012 n. 20385, che ha viceversa ritenuto che, in un contesto culturale ormai in continua evoluzione e non più rigidamente nazionalistico, il nome Andrea non sia più riconducibile esclusivamente al genere maschile e non sia dunque fonte di ambiguità nel riconoscimento del genere. La successiva circolare del Ministero dell’Interno (Dip. Affari Interni e Territoriali, Dir. Centrale per i Servizi Demografici) n. 31 del 12 dicembre 2012, Nome Andrea - sentenza

Corte Suprema di Cassazione del 20 novembre 2012, ha definitivamente chiuso la questione. 21 Così, ad esempio, Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 6 settembre 2007, ric. n.

10163/02, Johansson c. Finlande, in relazione alla scelta dei genitori di registrare il nome “Axl”, ritenuto dalle autorità nazionali non conforme alla grafia finnica. La Corte europea ha viceversa deciso che il rifiuto di registrazione integrasse una violazione dell’art. 8 CEDU.

è stata esaminata e risolta anche dalla Corte CEDU con riguardo al diritto all’identità personale (sulla base dell’art. 8 CEDU), e a quello all’eguaglianza tra genitori (art. 3 CEDU).

Senza potere qui ripercorrere tutta la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in particolare con riguardo al nome della moglie e del figlio,22 è di perdurante interesse per l’ordinamento italiano la questione del

diritto (del minore) a vedersi attribuito il cognome della madre, in modo da essere identificato anche da terzi come figlio della stessa.

Come noto, in Italia vige la regola del patronimico, secondo la quale si trasmette ai figli il solo cognome paterno. Da tempo la Corte di cassazione e numerosi tribunali di merito hanno censurato tale regola, sia perché realizza una discriminazione tra i due genitori, sia perché viola la piena identità del figlio, occultando un ramo della sua ascendenza.23 Anche la

Corte costituzionale, abbandonata l’iniziale cautela,24 nel 2016 ha dichiarato

la natura discriminatoria della regola del patronimico, e dunque la sua illegittimità costituzionale, ritenendola frutto di una “concezione patriarcale della famiglia e di una tramontata potestà maritale, non più coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna”.25

Una spinta decisiva in questa direzione era peraltro provenuta proprio dalla Corte europea dei diritti dell’uomo che, con la nota pronuncia Cusan

e Fazio,26 nel 2014 aveva condannato l’Italia ritenendo che costituisca una

inammissibile discriminazione fondata sul sesso dei genitori la norma che fa obbligo di trasmettere il cognome paterno, senza possibilità di attribuire

22 Per le quali questioni sia però consentito rinviare a C. honoraTi (a cura di), Diritto al nome

e all’identità personale nell’ordinamento europeo, Milano, 2010; nonché g. rossolillo,

Identità personale e diritto internazionale privato, Padova, 2009.

23 Cfr., tra le molte, Cass., ord. 17 luglio 2004 n. 13298; 22 settembre 2008 n. 23934. 24 v. Corte cost., ordinanze 11 febbraio 1988 n. 176 e 19 maggio 1988 n. 586.

25 V. Corte cost., 21 dicembre 2016 n. 286 dove si legge anche che: “La piena ed effettiva

realizzazione del diritto all’identità personale, che nel nome trova il suo primo ed immediato riscontro, unitamente al riconoscimento del paritario rilievo di entrambe le figure genitoriali nel processo di costruzione di tale identità personale, impone l’affermazione del diritto del figlio ad essere identificato, sin dalla nascita, attraverso l’attribuzione del cognome di entrambi i genitori. Viceversa, la previsione dell’inderogabile prevalenza del cognome paterno sacrifica il diritto all’identità del minore, negandogli la possibilità di essere identificato, sin dalla nascita, anche con il cognome materno”.

26 Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 7 gennaio 2014, ric. n. 77/07, Cusan e Fazzo c. Italia.

ai figli comuni il nome della madre neppure nell’ipotesi in cui entrambi i genitori manifestino un consenso in tal senso.

Conviene sottolineare come la Corte non sanzioni in modo diretto la norma che attribuisce ai figli il nome del padre. È piuttosto la rigidità della norma italiana che viene sanzionata come discriminatoria, laddove non contempla la possibilità di una deroga in favore del cognome della madre, soprattutto quando vi è in tal senso il consenso di entrambi i genitori. Nelle numerose precedenti pronunce, infatti, la Corte europea si era rivelata molto cauta nel riconoscere al ricorrente un “diritto al nome”, lasciando viceversa ampio spazio alle ragioni di natura generale adottate dallo Stato per regolare la determinazione del cognome dei propri cittadini, sebbene tale intervento indubbiamente comporti un’interferenza nel diritto individuale del cittadino.27

La norma italiana, però, cela un’inammissibile discriminazione di genere ed è sotto tale profilo che essa viene dichiarata illegittima. Il governo italiano aveva giustificato la normativa in vigore argomentando non sull’esigenza pubblicistica di garantire l’unità familiare ricorrendo al nome del padre, profilo oramai ampiamente abbandonato sia in dottrina sia in giurisprudenza, quanto piuttosto sul rilievo pratico che l’ordinamento contempla al proprio interno uno strumento per modificare o sostituire il nome (il già citato DPR n. 396/2000, che consente di cambiare il proprio nome o cognome facendo istanza al prefetto e esponendone le ragioni). Secondo il governo italiano sarebbe così realizzato un giusto equilibrio tra l’interesse pubblico alla determinazione del cognome e il diritto individuale all’identità personale.

27 V. le decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo, 7 dicembre 2004, ric. n.

71074/2001, Mentzen alias Mencena c. Lettonia; 11 settembre 2007, ric. n. 59894/00,

Bulgakov c. Ucraina, che tutte hanno ritenuto la legittimità dell’intervento dello Stato nella

regolamentazione del nome, in particolare con riferimento alle modalità di scrittura del nome. Solo in casi molto particolari si è affermata la violazione dell’art. 8, disposizione che garantisce il rispetto della vita privata e dunque dell’identità personale (v. ad es. 1° luglio 2008, ric. n. 44378/05, Daróczy c. Ungheria). In fattispecie analoghe, infatti, nelle quali parimenti si chiedeva di registrare un minore con un cognome composto da quello del padre e da quello della madre, la Corte ha ritenuto che, stante la discrezionalità che va riconosciuta agli Stati membri nella determinazione dei nomi dei propri cittadini, il rifiuto di registrare un doppio cognome non costituisce necessariamente una violazione dell’art. 8. (v. ad es. i casi, decisi il 6 maggio 2008, Heidecker-Tiemann, ric. n. 31745/02 e von Rehlingen, ric. n. 33572/02, entrambi promossi contro la Germania, le cui norme consentono ai coniugi la scelta di quale nome trasmettere ai figli, purché essi scelgano l’uno o l’altro ma non entrambi. Si trattava però di casi promossi contro la Germania, le cui norme consentono ai coniugi di scegliere in piena libertà quale dei due nomi trasmettere ai figli, purché essi scelgano l’uno o l’altro ma non entrambi).

La Corte ha però respinto questo tipo di considerazione, sottolineando come una discriminazione di genere sia particolarmente odiosa e dunque, pur essendo sopportabile quando realizzi un interesse oggettivo e ragionevole e sia proporzionata all’obiettivo da raggiungere, essa necessiti di ragioni particolarmente imperiose, che viceversa non risultano integrate nel caso di specie. La Corte condanna così l’Italia non solo a porre rimedio nel caso concreto, ma soprattutto a modificare la normativa interna al fine di introdurre una disciplina rispettosa della parità tra coniugi.

A oltre due anni dalla pronuncia di condanna e di monito al legislatore, poi reiterata dalla Corte costituzionale nella già citata sentenza del 2016, la situazione è però ancora invariata. L’alto numero di disegni di legge presentati ad oggi sul tema del cognome dei minori, se da un lato conferma la convergenza di consensi sulla necessità di una nuova disciplina, dall’altro dà conto delle difficoltà da affrontare. Il punto controverso oggi non è più quello di consentire la trasmissione del nome della madre, quanto piuttosto quello di stabilire quanto spazio lasciare all’autonomia delle parti in un ambito, quello del nome, nel quale lo Stato vanta certamente un rilevante interesse pubblico. In altre parole, si tratta di determinare se sia giunto il momento di lasciare ai genitori coniugati la piena libertà di determinare il cognome dei propri figli (scegliendo se trasmettere solo quello del padre, solo quello della madre o un cognome doppio, variamente determinato), ovvero se sostituire alla rigidità attuale (quella del solo cognome del padre), un’altra rigidità (il cognome è sempre quello doppio, quale composto da nome del padre e da quello della madre. L’autonomia dei genitori, o del figlio, esercitandosi tutt’al più sull’ordine da seguire).28

Fino ad oggi l’art. 7 della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza è stato utilizzato in misura molto modesta con riguardo al diritto all’attribuzione del nome alla nascita, per lo più ad abundantiam per rinforzare argomentazioni sviluppate sulla base del più incisivo art. 8 CEDU, come accennato all’inizio del paragrafo. Stante l’attuale situazione di immobilismo normativo, però, non è da escludersi che la norma possa

28 Si osservi che la prima apertura normativa nel senso di una facoltà di scelta del nome

della coppia si ritrova nella recente legge 20 maggio 2016 n. 76, sulla regolamentazione delle unioni civili, c.d. legge Cirinnà. Questa dispone il diritto della coppia dello stesso sesso che contragga un’unione civile di assumere un cognome comune scegliendolo tra i loro cognomi, eventualmente anteponendo o posponendo quello comune al nome di ciascuna di esse (v. art. 1 par. 10). Tale facoltà di scelta è ovviamente prevista per il solo nome comune della coppia, non essendo allo stato contemplato che la coppia same-sex abbia figli.

essere in futuro utilmente utilizzata, magari facendo leva sulla parte che impone la registrazione del nome (di famiglia) alla nascita, così da garantire la piena identità del minore, e dunque così da rendere riconoscibile non solo l’ascendenza paterna, ma anche quella materna.

4. Il diritto all’identità personale: l’accertamento della paternità e della

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