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Il diritto all’identità personale: l’accertamento della paternità e della maternità

DELL’INFANZIA E DELL’ADOLESCENZA: IL VERSANTE INTERNO

4. Il diritto all’identità personale: l’accertamento della paternità e della maternità

Il diritto all’identità personale è un diritto fondamentale della personalità, che viene tutelato sotto il profilo dell’immagine sociale della persona, vale a dire di quell’insieme di valori rilevanti nella rappresentazione che di essa viene data nella vita di relazione. Esso si esprime con molteplici manifestazioni e dimensioni, la prima delle quali è l’identità familiare, che rende palese non solo l’identità fisica, ma anche le caratteristiche morali, sociali e relazionali dei genitori dell’interessato. È proprio con riguardo alla tematica del riconoscimento di figlio nato fuori dal matrimonio che il diritto all’identità personale del minore ha fatto il suo ingresso nelle aule giudiziarie. La disciplina normativa sul tema è posta dall’art. 250 cod. civ. che, premesso il principio generale secondo cui ciascun genitore può riconoscere il figlio e che il riconoscimento può avvenire tanto insieme quanto separatamente, prosegue delineando due diverse ipotesi. Quando il minore abbia già compiuto i quattordici anni, è necessario il suo assenso; quando invece sia infra-quattordicenne è necessario il consenso dell’altro genitore che abbia già effettuato il riconoscimento.29 Quest’ultima disposizione ha

dato luogo a numerose controversie nell’ipotesi in cui la madre che, in genere per prima riconosce il figlio, successivamente si opponga al riconoscimento giudiziale richiesto dal padre, magari dopo molti anni. La giurisprudenza, proprio facendo leva sull’art. 7 della CRC, ha ritenuto che l’acquisizione dell’identità personale del minore nella sua più completa dimensione psicofisica, e dunque come figlio di quella madre e di quel padre determinato, sia un valore preminente. Pertanto il sacrificio della genitorialità è ammissibile solo quando sia accertata l’esistenza di motivi gravi ed irreversibili, tali da far ritenere che lo sviluppo del minore sia compromesso per effetto del

29 La norma è stata modificata dalla legge 10 dicembre 2012 n. 219 (Riforma della

filiazione), che ha abbassato a quattordici l’età del minore, precedentemente fissata ai sedici anni.

riconoscimento. L’inidoneità del genitore ad essere tale, dunque, non può essere ravvisata solo nell’avere dimostrato scarso interesse verso il figlio, prima e dopo la nascita.30 In altri termini, il diritto all’identità del minore,

quale fondato sull’art. 7 della Convenzione, comporta che il diritto del padre a effettuare il riconoscimento debba prevalere sull’opposizione della madre. Lo sviluppo equilibrato della personalità individuale e relazionale si realizza dunque attraverso la costruzione sia della propria identità esteriore, di cui il nome e la discendenza giuridicamente rilevante e riconoscibile costituiscono elementi essenziali, sia di quella interiore. Quest’ultimo aspetto, più complesso, richiede la conoscenza e l’accettazione della discendenza biologica – e non solo di quella legale – in particolare quando il minore sia stato allevato e cresciuto da altri. Già si è detto come l’art. 8 tragga origine proprio dalla necessità storica di garantire al minore, dato in adozione, di conoscere le proprie origine biologiche, sul presupposto che solo così egli possa preservare la propria vera identità. La conoscenza dei propri ascendenti è infatti un diritto di primario rilievo nella costruzione dell’identità personale, che si completa con la scoperta della propria genealogia biologico-genetica, poiché questa incide in maniera determinante sul proprio patrimonio storico, genetico e sui tratti della propria personalità. La questione è sorta con riguardo all’istituto dell’adozione, e rispetto a tale istituto la norma è stata prevalentemente applicata in passato. Essa acquista però oggi nuova importanza con riguardo ai casi, sempre più numerosi, di filiazione mediante maternità surrogata. In tale ipotesi, in effetti, la ricerca della (o delle) persona/e il cui patrimonio genetico è stato utilizzato per generare il figlio diviene ancora più problematico, sia sotto il profilo fattuale sia sotto quello giuridico.

La ricerca della maternità biologica del figlio adottivo (e non solo quello) è questione particolarmente delicata proprio in Italia, dove la legge consente il parto anonimo, o meglio “il segreto sulle origini” come recita testualmente l’art. 27, comma 7, della legge n. 184/1983 sull’adozione. La norma consente infatti alla madre, che non voglia tenere il figlio, di partorire in un ospedale e di mantenere l’anonimato al momento della dichiarazione di nascita. L’anonimato dura cento anni e solo decorso tale tempo è possibile avere accesso agli atti. La previsione è posta evidentemente a tutela della donna,

30 In questo senso giurisprudenza costante v. Cass., 11 febbraio 2005, n. 2878; Cass., 3

garantendole di poter portare a termine la gravidanza senza poi doversi fare carico della crescita del figlio, e di poter partorire in un ambiente sicuro e protetto. Tutela quindi anche la vita del nascituro, riducendo sia l’incidenza di aborti, sia di abbandoni “selvaggi”. D’altra parte, però, il divieto assoluto di svelare le origini del minore sacrifica interamente il diritto all’identità personale di quest’ultimo. Proprio tale assolutezza è stata oggetto di valutazione e di condanna da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo. Nel caso Godelli c. Italia,31 la Corte ha infatti ricordato la necessità di trovare

una composizione equilibrata tra diritti contrapposti: quello della persona che vuole completare la costruzione della propria identità attraverso la ricerca delle proprie origini biologiche e quello della madre biologica che ha esercitato, al momento del parto, il diritto di non essere nominata, e che può voler conservare questo segreto proprio al fine di non alterare la sua propria identità anche relazionale costruita nel tempo, anch’essa meritevole di protezione. La legislazione italiana, a differenza di quella di altri paesi, sacrifica oltre misura il diritto all’identità personale del figlio, poiché, escludendo qualsiasi possibilità di conoscere le proprie origini, non consente di verificare se, decorso un adeguato lasso temporale, la madre non intenda revocare la sua scelta all’anonimato.

Tale impostazione veniva confermata l’anno successivo dalla Corte costituzionale,32 che dichiarava l’illegittimità costituzionale della norma in

esame per contrasto con l’art. 8 CEDU e con l’art. 3 Cost., nella parte in cui non prevede la possibilità per il giudice di verificare, su richiesta del figlio, la disponibilità della madre a revocare la scelta fatta al momento della sua nascita. Dall’illegittimità del divieto assoluto, disposto dalla norma così abrogata, non deriva però il riconoscimento in capo al figlio di un diritto potestativo a conoscere sempre e comunque le proprie origini.

31 Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 25 settembre 2012, ric. n. 33783/09, Godelli c. Italia.

32 Corte cost., sentenza 22 novembre 2013, n. 278. Di peculiare rilievo è la metodologia

indicata dalla Corte Costituzionale per procedere ad un adeguato bilanciamento degli interessi confliggenti. La tecnica prescelta non è stata quella di attribuire al giudice la valutazione in concreto del bilanciamento ma di predefinire un modulo procedimentale ritenuto idoneo allo scopo, fondato sulla verifica della volontà e della disponibilità a rimuovere il segreto sulla propria identità da parte della madre biologica in modo da rendere possibile, per la persona che è stata adottata a causa di questa scelta, di completare il quadro della propria genealogia ed identità personale. Sulla pronuncia si veda, tra i molti, g. lisella, “Volontà della madre

biologica di non essere nominata nella dichiarazione di nascita e diritto dell’adottato di conoscere le proprie origini”, in Dir. Fam e Pers., 2014, p. 27 ss.

Il bilanciamento delle posizioni potenzialmente confliggenti è piuttosto effettuato prevedendo la necessità di interpellare la madre biologica, al fine di verificare la sua eventuale disponibilità alla revoca della scelta dell’anonimato fatta al momento della nascita. In altri termini, viene confermato il diritto di quest’ultima a conservare l’identità costruita anche mediante il segreto sull’abbandono del figlio al momento del parto, ma è stata eliminata l’intangibilità della scelta, sul rilievo dell’intrinseca mutabilità delle tappe dello sviluppo e consolidamento della personalità umana.

Sebbene la sentenza della Corte costituzionale assegnasse al legislatore il compito di introdurre disposizioni idonee a garantire detto bilanciamento, diversi tribunali hanno dato immediata attuazione al disposto della Corte, delegando i propri giudici a verificare l’attuale volontà della madre biologica dei soggetti ricorrenti. Tale prassi, variamente articolata ed eterogenea sul territorio nazionale,33 è stata infine confermata dalla Cassazione, che ha

stabilito che, in attesa dell’intervento del legislatore, è il giudice che deve dare attuazione al diritto del figlio di conoscere le proprie origini.34

Infine, in tempi recentissimi, proprio facendo leva sugli articoli 7 e 8 della CRC e sul diritto del minore a preservare le proprie relazioni familiari, la Suprema Corte ha ritenuto che un’interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata della norma interna debba includere, oltre alla possibilità di avere conoscenza dell’identità dei genitori biologici – e proprio nella particolare ipotesi in cui non sia possibile risalire ad essi – anche quella di risalire ai più stretti congiunti come i fratelli e le sorelle. Nel caso in esame, il ricorrente aveva scoperto di avere delle sorelle di sangue che erano state date in adozione a famiglie diverse dalla sua e si era rivolto all’autorità giurisdizionale per conoscerne l’identità. Il rigetto del Tribunale per i minorenni veniva impugnato di fronte alla Cassazione che, rilevata la funzione di primario rilievo nella costruzione dell’identità

33 Per un’ampia illustrazione delle diverse modalità procedimentali adottate in concreto nei

numerosi protocolli elaborati dai diversi Tribunali per i minorenni si veda la sentenza Cass. n. 1946/2017, citata alla nota seguente, par. 11.

34 Cassazione, s.u., 25 gennaio 2017 n. 1946. Successive pronunce (tra cui Cass. 21 luglio

2016 n. 15024; Cass. 7 febbraio 2018 n. 3004) hanno chiarito che il diritto dell’adottato a conoscere le proprie origini attraverso l’accesso alle informazioni sull’identità della madre biologica sussiste nonostante la morte di costei. Per una valutazione critica delle delicate problematiche che si aprono in tale ipotesi, si veda: v. lo voi, Mors omnia solvit? Parto

anonimo e valutazione circa l’attualità del diritto all’anonimato della madre biologica nel capo di morte della stessa, in Dir. Fam e Pers., 2018, p. 1120 ss.

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