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Il diritto al nome (art 7) e all’identità personale (art 8) nella Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza

DELL’INFANZIA E DELL’ADOLESCENZA: IL VERSANTE INTERNO

2. Il diritto al nome (art 7) e all’identità personale (art 8) nella Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza

La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del 1989 è tra i pochi strumenti internazionali a tutela dei diritti fondamentali che contiene un esplicito riferimento al diritto al nome, oggetto di esplicita disciplina nell’art. 7. Tale disposizione è invero modellata sull’art. 24, comma 2, del Patto sui diritti civili e politici, firmato a New York nel 1966, che a sua volta riprende il Principio n. 3 della Dichiarazione delle Nazioni Unite del 1959 sui diritti del fanciullo.3 Analoga menzione manca

invece nella Convenzione, firmata a Roma nel 1950, sulla salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (in prosieguo “CEDU”). In tale ordinamento, peraltro, l’interpretazione evolutiva fornita dalla Corte europea

3 Una disposizione analoga si trova anche nella Convenzione ONU del 13 dicembre 2006

sui diritti delle persone con disabilità (art. 18, comma 2). La norma ricalca testualmente l’art. 7 della Convenzione di New York, riferendola esplicitamente al bambino con disabilità.

dei diritti dell’uomo garantisce analoga protezione per il tramite della norma sul rispetto della vita privata, l’art. 8 CEDU.4

L’art. 7 CRC ha riguardo all’attribuzione del nome, ancorandolo al momento in cui il neonato è iscritto in un pubblico registro. L’attribuzione del nome è dunque il segno esteriore dell’essere identificato e riconosciuto come soggetto di una comunità sociale. Nome e registrazione sono così intimamente connessi, da non potersi dare una registrazione senza un nome. In altre parole, l’attribuzione del nome costituisce la pre-condizione per la stessa registrazione nell’atto pubblico del nuovo nato. D’altra parte, al momento della registrazione occorre fare menzione anche di altre due informazioni, che assurgono così a veicolo di tutela: la cittadinanza e l’identità dei genitori. L’appartenenza del minore, da un lato, a quel nucleo sociale più ristretto che è la famiglia e, dall’altro, a quella più ampia comunità sociale costituita dallo Stato di cittadinanza, rappresenta così lo strumento e la garanzia per il rispetto dei diritti fondamentali contemplati dalla Convenzione. Diritto al nome, alla registrazione e alla cittadinanza sono dunque strettamente connessi e volti a costituire il nocciolo essenziale degli strumenti a tutela del minore.5

La registrazione del nome è dunque momento fondamentale per l’esistenza giuridica di un soggetto, funzionale e prodromica (anche) alla sua tutela. In effetti, la predisposizione e la tenuta di un registro dell’anagrafe è obbligo che discende direttamente dalla Convenzione – come pure la presenza di personale opportunamente formato a tale funzione – che è stato opportunamente enfatizzato dai primi commentatori e, successivamente, sempre richiamata nei rapporti statali sull’applicazione della Convenzione.6

4 Sui rapporti tra CRC e CEDU, si veda, in questo volume, il contributo di A. annoni.

5 Va osservato che nel contesto storico della convenzione l’attenzione era soprattutto

incentrata sulla necessità che ogni minore fosse riconosciuta una cittadinanza, ritenuto il principale veicolo di tutela, e di cui il diritto alla registrazione e al nome fornivano i presupposti e il corollario. Si veda ad esempio s. DeTriCK, A Commentary on the United

Nations Convention on the Rights of the Child, The Hague-Boston-London, 1999, p. 145; i.

Ziemele, “Article 7: The Right to Birth Registration, Name and Nationality, and the Right to

Know and Be Cared for by Parents”, in A Commentary on the United Nations Convention

on the Rights of the Child, a cura di A. Alen, J. Vande Lanotte, E. Verhellen, F. Ang, E.

Berghmans and M. Verheyde, Leiden, 2007, p. 23, Il presente contributo non si sofferma però né sul diritto alla cittadinanza né su quello ad essere allevato dai propri genitori, per il quale vedi infra il commento di m. bianCa.

6 s. DeTriCK, A Commentary cit., p. 145; i. Ziemele, Article 7 cit., p. 21 sottolinea che sugli

Stati grava un’obbligazione positiva di garantire un sistema di registrazione efficiente anche in zone geografiche rurali e disagiate, e che la negligenza dei genitori nel non procedervi non giustifica l’inadempimento dello Stato. Sull’autonoma rilevanza della registrazione v. anche

Una registrazione completa e tempestiva (“immediatamente” recita la norma) dà infatti visibilità a minori che altrimenti resterebbero invisibili all’ordinamento giuridico e che sarebbero altrimenti maggiormente esposti a violazioni dei loro diritti. Si creano così le condizioni per una tutela più efficace ed effettiva, in particolare quando il nuovo nato si trovi in una situazione svantaggiata per la sua provenienza geografica o sociale o per le condizioni della sua nascita.7 È bene però precisare i reali confini della

registrazione: da un lato, questa non esaurisce l’obbligo internazionale volto a garantire la tutela effettiva del diritto al nome e, dall’altro, non assurge nemmeno a presupposto necessario per la tutela. Infatti la titolarità dei diritti prescinde da qualsiasi atto formale di registrazione e consegue alla mera esistenza dell’individuo. È il diritto sostanziale all’attribuzione e al mantenimento del nome che costituisce oggetto dell’obbligo internazionale, in quanto autonomo diritto che è espressione non solo dell’identità individuale del soggetto, ma anche della sua cultura e della minoranza etnica o religiosa di appartenenza. Sotto tale profilo, il nome non deve avere effetti discriminatori, come per esempio può accadere con riguardo ai figli nati fuori dal matrimonio; parimenti, sullo Stato grava l’obbligo di rispettare le particolarità specifiche delle minoranze etniche e religiose, così come quello di consentire la registrazione del nome con particolare segni grafici che siano espressione della cittadinanza o dell’etnia del minore.8 Come è stato bene

rilevato, tuttavia, gli Stati godono di un ampio margine di discrezionalità con riguardo alla disciplina del nome, cosicché la questione si riduce a delineare i limiti per un esercizio legittimo di tale discrezionalità.9

L’art. 8 ha riguardo alle successive vicende del nome, mettendo l’accento le numerose decisioni del Comitato citate in p. newell, r. hoDgKin (eds), Implementation

Handbook for the Convention on the Rights of the Child, Article 7, 3rd ed, New York, 2007, p. 98

7 Già il Comitato dei diritti dell’uomo, organo delle NU per il monitoraggio del Patto del

1966, nell’interpretare l’art. 24, rilevava l’importanza della registrazione ai fini della tutela dei diritti del minore, in particolare con riguardo ai minori nati fuori dal matrimonio e ai minori rifugiati o richiedenti asilo.

8 Si vedano anche gli esempi tratti dalle decisioni del Comitato riportati in p. newell, r.

hoDgKin (eds), Implementation Handbook cit., p. 102, tra l’altro con riguardo al Belgio (per la

disciplina del nome dei figli nati fuori dal matrimonio), o alla Grecia (per la registrazione del nome con segni grafici diversi da quelli dell’alfabeto greco). Si veda anche, in questo volume, il contributo di G. biagioni.

9 Il punto è correttamente sottolineato da i. Ziemele, Article 7 cit., p. 11 e p. 23, che rinvia

sul fatto che attraverso il nome si delinea, si afferma e si esprime l’identità personale del suo portatore. La norma impone agli Stati l’obbligo di tutelare e preservare l’identità personale del bambino (par. 1), nonché di ristabilirla al più presto quando questa venga violata (par. 2).

Anche in questo caso, si tratta di un diritto fortemente innovativo per l’epoca, codificato per la prima volta in un atto internazionale. La proposta della norma si deve all’Argentina, che, uscita dalla dittatura militare degli anni 70 e 80, stava affrontando lo scandalo dei minori desparecidos, bambini nati da donne detenute e stuprate, oppure sottratti alle loro famiglie e dati in adozione. La proposta mirava dunque ad affermare il diritto inalienabile del minore a conoscere la sua “true and genuine personal, legal and family identity”.10 Il riferimento all’identità familiare del minore – invero elemento

caratterizzante la proposta argentina – è stato però ritenuto di difficile definizione poiché ignoto alla maggior parte delle delegazioni. L’espressione è così stata sostituita con il più neutro – ma non meno problematico – richiamo alle “relazioni familiari, così come riconosciuto dalla legge”.

La Convenzione dunque non definisce direttamente la nozione di “identità personale”, ma ne indica, a solo titolo esemplificativo, tre ambiti in cui questa si manifesta: il nome, la cittadinanza e le relazioni familiari. Benché ne siano le componenti principali, l’identità personale non si esaurisce però in queste manifestazioni e la tutela predisposta dalla Convenzione risulta completata da altre disposizioni, tra cui, oltre al già menzionato art. 7 (diritto al nome), l’art. 16 (diritto alla privacy, all’immagine e alla corrispondenza), l’art. 20 (diritto a che, quando il minore debba essere allontanato temporaneamente o definitivamente dalla sua famiglia d’origine, a che quella sostitutiva sia selezionata nel rispetto della sua origine etnica, religiosa, culturale e linguistica) e l’art. 30 (rispetto dei diritti delle minoranze etniche, religiose o linguistiche).

Spetta dunque all’interprete definire l’ambito di applicazione della norma, ma questo si rivela compito non facile, sia perché la norma, pur traendo origine da un contesto storico e fattuale molto specifico, non può

10 V., per tutti, J. Doep, “Article 8, The Right to Preservation of Identity”, in A Commen-

tary on the United Nations Convention on the Rights of the Child, cit., pp. 6-8. La questione

delle sparizioni forzate è successivamente riemersa anche in altri Stati del Sudamerica. Lo stesso a. ritiene che l’art. 8 ponga un obbligo specifico sugli Stati di prevenire e reprimere il fenomeno delle sparizioni forzate, in quanto forma di violazione del diritto all’identità perso- nale (op. cit., p. 10)

essere limitato a questo, sia perché il concetto di identità personale è andato evolvendo negli ultimi decenni in modo molto marcato, ma anche molto differenziato, nelle diverse aree geografiche e culturali. Il risultato è che oggi la norma ha probabilmente una portata stratificata, con una base testuale e storica accertata e unanimemente condivisa, cui si aggiungono alcune proposte di applicazione che fanno leva su un’interpretazione dinamica ed evolutiva volta ad adattare la norma alla situazione presente, ma sulla cui attuale cristallizzazione come norma giuridica è tuttavia legittimo dubitare.11

È certo ad esempio che l’identità oggetto di tutela trascende e supera la mera identità legale, quale risultante dalla documentazione ufficiale, o dall’applicazione delle norme giuridiche.12 Sotto tale profilo appare

particolarmente delicata la situazione dei minori migranti o in fuga dal proprio Stato d’origine, sia quando essi arrivino con la famiglia e ne siano poi separati, sia quando partano non accompagnati. Nella maggior parte di questi casi la reale identità personale di questi minori va ricostruita con indagini e strumenti conoscitivi che prescindono da qualsiasi documentazione formale, il più delle volte inesistente.

Parimenti, il diritto all’identità personale non si riduce al diritto di conoscere i propri genitori (e dunque alla conoscenza delle proprie origini) già enunciato dall’art. 7, ma ha un contenuto più ampio, abbracciando la molteplicità di relazioni affettive che possono intrecciarsi nei moderni contesti di famiglia. L’identità familiare è infatti veicolata anche dai rapporti con nonni, fratelli, zii, e altri parenti.13

11 Nel senso della necessità di un’interpretazione dinamica, non cristallizzata sul dato

storico, si esprime J. Doep, Article 8, The Right to Preservation of Identity, p. 10, il quale

propone di estendere alla CRC il metodo già delineato dalla Corte europea in relazione alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Su tale base afferma che l’art. 8 CRC comprende il diritto del minore nato da maternità surrogata a conoscere l’identità dei propri genitori biologici. In proposito si osserva tuttavia che il parallelo con quanto avviene nell’ordinamento CEDU non appare del tutto calzante, posta la presenza in quell’ordinamento (ma non in quello della NU) di una corte capace di adeguare il testo della convenzione al diritto vivente mediante interpretazioni vincolanti per gli Stati. A parere di chi scrive, si tratta di un elemento strutturale forte, in assenza del quale non è possibile traslare il metodo interpretativo adoperato per la CEDU alla CRC.

12 s. DeTriCK, A Commentary cit., p. 294; p. newell, r. hoDgKin (a cura di), Implementation

Handbook cit., p. 112. Ciò in considerazione della specifica ratio della proposta argentina che

mirava a recuperare l’identità familiare di minori strappati alle famiglie d’origine e dati in adozione a terzi, e a tutti gli effetti figli di questi.

13 p. newell, r. hoDgKin (a cura di), Implementation Handbook cit., p. 114. Si veda sul

Il rispetto dell’identità personale è in genere realizzato garantendo la stabilità e la continuità del nome e dunque vietando modifiche e ingerenze ad opera dello Stato; tuttavia, soprattutto con riguardo ai minori, l’identità personale può anche realizzarsi nella forma opposta, e dunque garantendo il diritto a ottenere il cambiamento del nome attribuito alla nascita, al fine di assumere quello che esprime la verità dei fatti e dunque la reale identità personale del minore.14

Si osservi però che la Convenzione, in aderenza al suo essere un atto internazionale destinato ad un’applicazione quanto più universale, si limita a porre un obbligo di risultato, lasciando gli Stati liberi quanto ai mezzi da utilizzare per conseguire lo stesso. In altre parole, fermo restando l’obbligo di registrare il minore mediante l’attribuzione di un nome, per la disciplina del diritto al nome si rinvia pienamente alle norme statali. Può così dispiegarsi appieno l’interesse pubblico in tale ambito, con la libertà di graduarne contenuto e mezzi. La libertà e discrezionalità dei singoli Stati va però esercitata nel rispetto e nei limiti degli obblighi internazionali.

3. L’applicazione dei principi in Italia. Diritto alla registrazione alla

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