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Volendo ora creare un collegamento tra le diverse analisi proposte in quest’ultima parte non resta che considerare modalità e strategie adottate dalle imprese italiane nel contesto cinese. Dopo aver delucidato le principali caratteristiche del mercato cinese, delle modalità di entrata in quest’ultimo, della situazione del sistema industriale italiano e delle forme di internazionalizzazione delle imprese del nostro paese è necessario ora collegare i pezzi del puzzle.

In generale è innanzitutto possibile affermare che l’Italia negli ultimi anni ha costantemente perso competitività economica. Problemi strutturali quali la mancanza di adeguate politiche economiche e l’inefficienza delle infrastrutture, combinati al progressivo peggioramento del saldo commerciale con l’estero, si sono rivelati quali principali limiti per la crescita economica italiana. I rialzi del prezzo del petrolio, il peggioramento degli interscambi verso le principali nazioni europee, la maggiore concorrenza dei paesi emergenti e la crescita dei consumi di prodotti ad alto contenuto tecnologico hanno portato il nostro paese ad essere sempre meno incisivo sui mercati globali (Busato, 2011). Il fatto poi che la dimensione delle imprese

italiane è molto ridotta, che i settori di specializzazione italiana non comprendono quelli più avanzati e tecnologici e che le aziende non investono sufficienti risorse nella ricerca e sviluppo ha ulteriormente ostacolato lo sviluppo italiano. L’Italia ha registrato un marcato disavanzo commerciale verso i paesi europei, ma soprattutto verso i mercati asiatici. Negli ultimi anni le esportazioni italiane verso l’Asia orientale sono cresciute in modo pressoché irrilevante e l’export verso la Cina è fortemente rallentato (Busato, 2011). Secondo i dati forniti dall’ICE, nel corso del 2011 l’interscambio tra Italia e Cina ha raggiunto i 51,4 miliardi di USD, ma di questa somma 17,7 miliardi di USD rappresentano le vendite italiane nel continente asiatico e 33,7 miliardi di USD rappresentano le importazioni di prodotti cinesi. Analizzando dettagliatamente le esportazioni italiane del 2011 verso il principale mercato asiatico, è possibile constatare che il contributo maggiore è stato apportato dal settore della meccanica, il quale ha costituito il 50,6% del totale delle vendite italiane in Cina. L’Italia ha venduto macchinari in Cina per un valore di 9 miliardi di USD e si è attestata quale 10° fornitore del paese. Nel settore in questione l’Italia oltre che a godere di un’ottima reputazione può sfruttare una sviluppata ed efficiente rete distributiva (ICE, 2012). Secondo per importanza è il comparto dei semilavorati industriali, il quale ha esportato in Cina per una valore pari a 4,7 miliardi di USD. La buona reputazione di cui godono i semilavorati italiani ed il fatto che il sistema distributivo del settore sia ben sviluppato permettono una facile entrata nel mercato cinese. Per quanto riguarda la moda e gli accessori, sebbene la competitività nel settore sia elevatissima, i canali distributivi poco sviluppati e gli investimenti richiesti nella fase iniziale siano ingenti, il nostro paese è riuscito a vendere in Cina per un valore pari a 1,9 miliardi di USD. L’Italia nel 2011 si è poi attesta quale 11° fornitore cinese nel settore dell’automotive e dei mezzi di trasporto, quale 25° nel settore agroalimentare e delle bevande e 4° in quello dell’arredamento (ICE, 2012). In riferimento all’import-export tra Italia-Cina è possibile poi constatare che il nostro paese, essendo specializzato nella produzione manifatturiera, risulta essere particolarmente esposto alla concorrenza cinese. Al fine di prevenire o quantomeno contenere l’attacco cinese, l’Italia nel corso degli ultimi decenni ha di rado attuato

politiche finalizzate ad un rafforzamento delle relazioni con il continente asiatico. Tra le scelte economico politiche, al riguardo, sono sempre prevalse soluzioni di chiusura e difesa dall’export cinese, un elemento che ha tendenzialmente minato le possibilità di maturare collaborazioni commerciali strutturate (Busato, 2011). In merito agli IDE italiani in Cina è poi possibile osservare che il flusso di investimenti diretti verso il paese asiatico risulta essere particolarmente scarso se paragonato a quello di altre economie avanzate. Le differenze culturali e linguistiche tra i due paesi, l’insicurezza dell’imprenditore italiano nel contesto cinese e talvolta la mancanza di fondi necessari per l’avviamento di attività in Cina si configurano quali principali fattori alla base di tale tendenza (Busato, 2011). Il 2011 ha visto un marcata diminuzione degli IDE italiani in Cina, i quali si sono attestati attorno ai 387 milioni di USD. L’Italia dall’essere al 16° posto della classifica mondiale degli investimenti esteri diretti in Cina è scesa, in un solo anno, al 21° posto ed al 6° di quella europea (nella classifica degli IDE europei diretti verso la Cina l’Italia era 5° nel 2010)15. Volendo fare una classificazione delle metodologie di entrata delle imprese italiane nel mercato cinese si può innanzitutto rilevare che gli imprenditori italiani stanno dimostrando una crescente propensione ad investire attraverso l’uso di forme di investimento più strutturate ed autonome.

Source: ICE- Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane all’estero, Le imprese italiane della Cina orientale, 2010.

Se fino a qualche anno fa la tendenza principale era quella di approcciarsi al mercato cinese attraverso l’apertura di un Ufficio di Rappresentanza, attualmente un numero sempre maggiore di imprese sta adottando una forma più articolata e complessa di investimento. Secondo i dati del 2010 dell’ufficio ICE, il 47% delle imprese italiane è presente sul mercato cinese con unità operative a totale capitale estero (WFOE), il 31% con Uffici di Rappresentanza, il 14% con Joint Ventures ed il 9% con Società di Trading. In relazione alla distribuzione di tali investimenti è possibile constatare che la netta maggioranza delle imprese è localizzata nelle province costiere economicamente più sviluppate, ovvero Jiangsu, Zhejiang, Guangdong e Fujian. A livello settoriale la presenza italiana in Cina risulta essere più marcata nei comparti industriali (meccanico, tessile, dell’arredamento e dell’automotive) e nel settore dei servizi (consulenza ed assistenza legale). Oltre che nei quattro macro-settori di eccellenza del Made in Italy (4A: Agroalimentare, Abbigliamento-moda, Arredo casa, Automazione meccanica16) e dei comparti sopra menzionati, le imprese italiane sembrano essersi affermate in Cina in settori di nicchia (prodotti farmaceutici, chimici, biomedici, auto di lusso, difesa, settore aerospaziale) (Busato, 2011). L’attuale sviluppo economico cinese sta inoltre sempre più offrendo nuove opportunità commerciali in diversi settori, la cui penetrazione dovrebbe essere presa in considerazione da parte delle aziende italiane. La rapida espansione delle periferie urbane, a seguito del crescente fenomeno di urbanizzazione, ed il dinamismo del mercato immobiliare lasciano trasparire enormi possibilità economiche nel settore in questione; la nuova demografia e ricchezza del paese e la propensione del consumatore cinese ad acquistare prodotti importati sono elementi che stanno offrendo margini di crescita nel settore agroalimentare e del tempo libero; la maggiore attenzione alla questione ambientale sta infine aprendo le porte ad investimenti nel settore della tutela dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile.

ANALISI EMPIRICA SU MOTIVAZIONI, CANALI E STRATEGIE DI