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I CARDINI DELLA CRESCITA CINESE: IL COMMERCIO E GLI INVESTIMENTI ESTER

I principali elementi ad aver determinato la sorprendente crescita cinese, nel corso degli ultimi decenni, possono essere identificati nel processo di progressiva apertura internazionale, iniziato con il programma di riforme e culminato nell’entrata della Cina nella WTO (2001) e negli investimenti esteri. La scelta di abbandonare le politiche di autarchia e indipendenza economica, che caratterizzarono il periodo compreso tra gli inizi degli anni cinquanta e la fine degli anni settanta, e che spinsero il governo cinese a definire quale obiettivo l’aumento della capacità produttiva al fine di ridurre la dipendenza dall’estero, ha portato ad un sostanziale incremento degli scambi internazionali e ad un forte sviluppo dell’economia cinese. Come sottolineato in precedenza, a partire dagli anni ’80, il governo cinese ha implementato una serie di misure, quali la creazione delle Zone Economiche Speciali (ZES) e lo stanziamento di incentivi in altre città costiere, atte a stimolare e sviluppare l’economia cinese attraverso l’apertura del mercato al commercio e ai capitali esteri. A seguito delle riforme, gli scambi ed i rapporti commerciali tra la Cina e il resto del mondo son andati via via intensificandosi, al punto che il “grado di apertura” cinese, ovvero l’indicatore economico in grado di registrare l’apertura di una data economia agli scambi esteri, attraverso la misurazione del rapporto tra la somma di esportazioni ed importazioni e il PIL, tra il 1980 e il 2000 è passato dal 12,5% al 39,7%, per poi raddoppiare e raggiungere il 63,2% con l’adesione della Cina alla WTO (Lemoine,

2001). Dopo l’entrata del principale paese asiatico nell’Organizzazione Mondiale del Commercio, il commercio estero cinese è andato espandendosi ad una velocità del 20% annua, fino a rappresentare, oggi, una percentuale superiore al 60% del prodotto interno lordo. L’apertura internazionale della Cina è stata portata avanti attraverso un processo graduale, caratterizzato dall’integrazione di politiche di sostituzione delle importazioni, di espansione delle esportazioni e di stimolo degli investimenti esteri4. Inoltre, a partire dalla prima metà degli anni ottanta, pur mantenendo un sistema di misure tariffarie, finalizzato alla protezione dell’economia interna e ad evitare un eccessivo aumento delle importazioni, si è proceduto al progressivo coinvolgimento di un numero sempre maggiore di imprese nel commercio estero, ad un’ulteriore promozione delle esportazioni e all’adozione di politiche di svalutazione, abbandonate negli anni novanta, del tasso di cambio. Il processo di apertura della Cina può definirsi quale combinazione di provvedimenti finalizzati allo stimolo delle esportazioni e allo sviluppo degli investimenti dall’estero. In merito all’espansione delle esportazioni, a partire dal 1979, il PCC si è sostanzialmente concentrato sullo sviluppo dell’industria leggera e dell’industria ad alta intensità di lavoro, con l’obiettivo di sfruttare il principale vantaggio comparato del paese, ovvero l’abbondanza di manodopera. In una prima fase la crescita economica è stata fondamentalmente trainata dall’industria manifatturiera, in particolare dell’abbigliamento e del tessile, mentre successivamente, grazie alla capacità di riadattamento delle esportazioni cinesi alla domanda internazionale, la quota principale dei prodotti venduti all’estero è stata progressivamente fornita dall’industria elettrica ed elettronica. Grazie all’abilità di raddoppiare le quote di mercato in questi settori ed inserirsi in altri, la Cina ha potuto, nel corso degli anni novanta, acquisire un certo dinamismo nelle esportazioni, un elemento rivelatosi decisivo per garantirle uno strutturale surplus commerciale. L’apertura internazionale della Cina ha permesso al paese di stabilire relazioni commerciali con il resto del mondo ed in particolare con le principali economie avanzate quali Giappone, Taiwan, Stati Uniti ed Unione Europea. L’inserimento della RPC nell’economia mondiale è poi stato accompagnato da un’esponenziale crescita dei flussi di capitale esteri diretti

verso il grande mercato asiatico, un afflusso fortemente motivato dall’introduzione di progetti di liberalizzazione e dalla sostenuta crescita economica del paese, oltre che dalla tendenza globale ad investire in paesi in via di sviluppo. Quindi, se da un lato la prorompente crescita economica cinese è stata principalmente guidata dalle esportazioni, in particolare di beni manifatturieri e macchinari elettronici, dall’altro essa è stata infatti fortemente determinata dagli investimenti esteri diretti, i quali hanno registrato un costante aumento a partire dagli anni novanta: nel 2000 il flusso di investimenti diretti dall’estero ha raggiunto i 40 miliardi di dollari, nel 2005 i 60 miliardi, nel 2009 i 90, per poi attestarsi ad una quota di 105 miliardi di dollari nel 2010 (Musu, 2011). L’entrata della Cina nella WTO ha incisivamente stimolato lo sviluppo degli investimenti esteri, con specifico riferimento al settore dei servizi (servizi assicurativi, bancari, commerciali e delle telecomunicazioni), ed ha spinto un numero sempre maggiore di investitori provenienti in particolare da Stati Uniti, Giappone, Unione Europea e Taiwan, ad impegnare capitali in Cina.

Promozione delle esportazioni e sviluppo degli investimenti possono essere quindi considerati quali elementi cardini del processo di apertura internazionale della Cina, il quale si è caratterizzato per il forte legame intercorrente tra questi due aspetti: gli investitori esteri, specialmente nella fase iniziale dello sviluppo cinese, vennero incentivati ad impegnare capitali nelle cosiddette Fie (Foreign Invested Enterprises), ovvero in imprese orientate verso l’esportazione (Musu, 2011). Tali soggetti, ancora oggi colonne portanti delle esportazioni cinesi, hanno goduto e possono tuttora beneficiare del fatto che l’importazione di materiali e componenti, destinati ad essere trasformati nel processo produttivo delle imprese nazionali, per poi essere esportati, sono esenti da dazi e tariffe. Al fine di espandere le esportazioni cinesi, il governo ha fortemente incoraggiato le attività internazionali di subfornitura ed assemblaggio, esentando le importazioni, destinate ad essere riesportate dopo essere state trasformate nei processi produttivi, dai dazi doganali5. Tale scelta di politica commerciale oltre ad avere trasformato la Cina nella “fabbrica del mondo”, permettendole di impegnare grandi quantità di manodopera, ha permesso al paese di diversificare le sue esportazioni, di penetrare nuovi mercati e raggiungere un

consistente avanzo commerciale. Inoltre, se in precedenza le modalità istituzionali di investimento nel paese e di connessione tra capitali esteri e imprese erano limitate alle sole Joint Ventures o a progetti di collaborazioni con partner locali, nel corso del tempo è stata introdotta in Cina la possibilità di impegnare i capitali esteri secondo diverse modalità, le quali saranno dettagliatamente prese in analisi nel paragrafo seguente.