I BRICS hanno vissuto esperienze politico-economiche molto differenti, nel corso del novecento, tuttavia, grazie a riforme strutturali delle governance politiche, e di conseguenza dei sistemi economici, oggetto di drastici cambiamenti negli ultimi anni, tali nazioni si sono sempre più affermate in qualità di soggetti di rilievo, a livello internazionale. I progetti di riforma, attuati negli ultimi decenni, hanno portato ad un generale smantellamento delle politiche economiche vigenti in Brasile, Russia, India e Cina, negli anni compresi tra il 1945 e il 1980, provvedimenti, che pur essendo inseriti in contesti profondamente differenti, risultavano accomunati da fattori identificati quali limiti all’espansione economica dei BRICS.
I controlli sul funzionamento dei mercati e sui prezzi di beni, servizi e fattori produttivi, le limitazioni ai flussi di capitali, sia in entrata che in uscita, l’esteso intervento pubblico nella sfera economica, combinati ad interventi di natura protezionistica, quali l’introduzione di dazi e barriere alle importazioni, sono stati progressivamente sostituiti da provvedimenti atti a liberalizzare l’economia nelle nazioni BRICS.
In particolare, è stato constato che in Brasile, Russia, India e Cina, numerose misure, finalizzate ad una progressiva apertura all’economia di mercato, hanno iniziato ad entrare in vigore attorno al 1990-1992, all’indomani della caduta del Muro di Berlino ed al termine della Guerra fredda (Goldstein, 2011). Con l’approvazione di un provvedimento volto all’eliminazione delle barriere doganali ed agli ostacoli al commercio estero, nel 1990, il governo brasiliano Collor, iniziò ad indirizzare la politica nazionale in ottica sempre più liberista. La negoziazione di un piano di salvataggio economico, intrapresa dal governo indiano, nel 1991, con il Fondo Monetario Internazionale, i progetti di stabilizzazione economico-finanziaria, discussi dal parlamento russo, nel 1991, e la necessità di avviare riforme per accelerare la crescita nazionale, definita quale priorità nazionale, da parte di Deng Xiaoping, nel corso del suo viaggio nel sud della Cina, nel 1992, possono essere eventi storici in grado di supportare l’ipotesi secondo la quale, i quattro principali paesi BRICS abbiano imboccato la strada del libero mercato all’inizio degli anni ’90 (Goldstein, 2011). Sebbene il percorso economico, intrapreso dai singoli stati, ed i metodi d’attuazione delle riforme liberiste, differiscano tra le diverse nazioni dei BRICS, ciascuna di esse ha progressivamente dato ordine alla propria politica fiscale, riducendo deficit e debiti pubblici, ed ha ridimensionato il ruolo dello stato, all’interno della sfera economica, grazie all’approvazione di parziali piani di privatizzazione.
In merito all’attuazione di politiche fiscali, i mercati emergenti in questione hanno optato per la creazione di sistemi federali, in grado di conferire maggior poteri decisionali e politici alle diverse aree del paese, con l’obiettivo di incrementare l’efficienza del sistema e di utilizzare le risorse pubbliche in maniera più funzionale. Il
federalismo fiscale ha registrato un maggior successo in Cina, dove l’organizzazione territoriale in “province”, ha permesso di dar vita ad un apparato statale, indipendente a livello locale, ma pur sempre inserito in un sistema di regole e obiettivi nazionali. Il governo brasiliano, nel 2000, ha approvato una serie di leggi volte ad implementare il sistema federale nazionale, conferendo maggior poteri e libertà ai singoli “stati”, mentre per quanto riguarda l’India, dove vige una complicata, e difficilmente controllabile, articolazione territoriale, e la Russia, dove tuttora prevalgono politiche centraliste, i benefici derivanti da una gestione locale delle risorse sembrano essere minori.
Relativamente ai piani di privatizzazione è poi stato constatato che, se il governo cinese, nel corso del processo di transizione verso l’economia socialista di mercato, ha mantenuto il controllo delle principali imprese del paese, privatizzando quelle di dimensioni inferiori ed aprendo le porte agli investitori esteri, il governo russo ha optato per la distribuzione, semi-gratuita, di certificati di proprietà, al fine di introdurre la componente privata nella gestione dei soggetti commerciali in Russia. Per quanto riguarda il percorso di privatizzazione, intrapreso dal Brasile, quest’ultimo si è sostanzialmente configurato in incentivi alla creazione di partnership tra imprese statali e soggetti privati, oltre che nella vendita, a privati, di azioni e di aziende statali. L’attuazione di politiche e riforme, finalizzate all’introduzione di sistemi di mercato, ha progressivamente comportato l’apertura delle nazioni BRICS al sistema globalizzato, ed ha permesso loro di stabilire un numero sempre maggiore di relazioni commerciali, con i diversi soggetti internazionali. Il grado di apertura di ciascuno dei paesi BRICS, considerati ancor oggi economie relativamente chiuse dalle organizzazioni internazionali, presenta tuttavia notevoli variazioni tra Brasile, India, Russia e Cina, ed in particolar modo, secondo i dati proposti dalla WTO, relativamente all’anno 2009, la nazione sudamericana si attesta un coefficiente di apertura del 30%, l’India e la Russia del 50% e la Cina del 65%. Il saldo commerciale cinese presenta un enorme avanzo, nonostante tale paese importi un’elevata percentuale di materie prime, funzionali ai processi produttivi, al punto tale che la Cina si è aggiudicata, nel 2009, il primo posto in qualità di esportatore mondiale ed il
terzo come fornitore, a livello internazionale.
In merito alla bilancia commerciale brasiliana e russa, è stata rilevata una maggior fragilità, di tali paesi, nel mantenere costante il surplus commerciale, a causa delle notevoli variazioni dei prezzi di mercato dei beni primari, di cui essi sono principali esportatori. L’India che, sin dall’indipendenza, ha vissuto una lenta crescita delle esportazioni rispetto alle importazioni, per ragioni strutturali quali la qualità delle infrastrutture e la vulnerabilità dei raccolti dovute alle condizioni climatiche dell’area, presenta invece un saldo commerciale in disavanzo, deficit parzialmente mitigato, negli ultimi anni, dall’aumento delle esportazioni nel settore dei servizi. I BRICS, la cui crescita economica è stata sorprendente, oltre ad aver aumentato, in termini quantitativi, il valore delle esportazioni, e di aver sempre più agevolato le importazioni estere, eliminando barriere di natura protezionistica, hanno progressivamente iniziato a partecipare alla nuova geografia produttiva, definita “gobal value chains” (Sanfilippo, 2013).
Il termine utilizzato sta ad indicare l’insieme delle attività che impegnano imprese e lavoratori nel processo di creazione di un dato prodotto, dalla sua concezione all’uso finale; esso è stato introdotto nel linguaggio economico, al fine di definire la frammentazione dei processi produttivi sempre più articolati tra diversi soggetti commerciali ed aree geografiche. Le global value chains, che hanno portato ad una sempre maggiore disintegrazione della produzione, ed hanno consentito di raggiungere maggiori livelli di specializzazione nelle singole fasi produttive, hanno permesso, alle singole nazioni ed imprese, di sfruttare le economie di scala, grazie alla possibilità di diminuire il costo unitario di produzione. La Cina è il primo membro BRICS ad avere introdotto, in maniera estesa, questa modalità produttiva in diversi settori (dall’abbigliamento all’elettronica) e ad avere lanciato sul mercato un numero sempre maggiore di prodotti a basso costo. La progressiva estensione globale della produzione, pratica che ha fatto gradualmente ingresso anche negli altri BRICS, ha permesso ai soggetti commerciali dei paesi emergenti di beneficiare sempre più dei vantaggi legati all’internazionalizzazione delle operazioni economiche, e di accedere a risorse competitive, in precedenza inaccessibili. L’introduzione di riforme di
mercato e l’adozione di metodologie commerciali, in conformità con le caratteristiche economiche e strutturali del sistema globalizzato, hanno determinato la crescita e lo sviluppo delle economie emergenti, nelle quali, oltre ad avere fatto comparsa un numero sempre crescente di imprese multinazionali, si è assistito ad un costante aumento dei flussi di capitale, sia in entrata che in uscita.