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IMPRESE MULTINAZIONALI E FLUSSI DI CAPITALE DI BRASILE, RUSSIA, INDIA, CINE E SUDAFRICA

Negli ultimi anni è stato possibile assistere ad un fenomeno di crescente rilievo, ovvero la comparsa di un numero sempre maggiore di imprese multinazionali, provenienti dai paesi BRICS, le quali hanno potuto gradualmente affermarsi, nel contesto internazionale, grazie all’attuazione, in tali nazioni, di riforme di mercato. Gli IDE attivi dei BRICS, frutto di progetti d’internazionalizzazione delle operazioni commerciali, da parte di soggetti privati e statali, hanno registrato un costante aumento nel periodo compreso tra il 2007 ed il 2012.

La percentuale dei flussi in uscita, riconducibili ai principali mercati emergenti, da un 4,1% del 2007, ha raggiunto il 9,1% nel 2009, un valore che, ad oggi, ha subito un incremento tale, da poter affermare che dai paesi BRICS proviene il 23% degli investimenti mondiali, e che essi si sono trasformati nella maggiore fonte di IDE, a livello internazionale (UNCTAD 2012).

La portata di queste espansioni commerciali, spazia da grandi a modeste dimensioni: operazioni superiori al miliardo di dollari, quali quelle sostenute da imprese di notevole rilievo, tra le quali è possibile citare la Tata Steel indiana o la Haier cinese, si sono alternate a progetti d’internazionalizzazione più modesti, ma non di minor valenza. Gli investimenti esteri diretti, provenienti dai BRICS, oltre ad essersi principalmente manifestati sotto forma di fusioni ed acquisizioni in svariati settori economici (molti dei quali sembravano essere, a livello globale, maturi e con limitate prospettive di crescita), sono stati indirizzati anche verso imprese dei paesi sviluppati

che presentavano condizioni economico-finanziarie difficili.

Queste scelte strategiche sono, tendenzialmente, state attuate al fine di accedere, in maniera istantanea e prescindibile da una crescita per stadi, a mercati, risorse, tecnologie e canali di distribuzione, di cui tali imprese non disponevano, nella nazione di provenienza. Il percorso di crescita, intrapreso dalle imprese multinazionali dei paesi BRICS, presenta, infatti, le principali caratteristiche proprie dei soggetti, definiti dalla recente letteratura, latecomers (Mathews, 2006), i quali si sono, sostanzialmente, concentrati sull’internazionalizzazione delle attività commerciali, con l’obiettivo di accedere a beni intangibili, vantaggi competitivi e risorse, inaccessibili nella fase precedente l’espansione economica. Come discusso nella parte iniziale di questo progetto, uno dei tratti salienti, della crescita commerciale dei soggetti, provenienti dai mercati emergenti, consiste nella necessità di sviluppare, piuttosto che sfruttare, le risorse e capacità dell’impresa. Le multinazionali dei BRICS, in qualità di principali esempi di tale tendenza, propria delle realtà emergenti, stanno investendo all’estero, pur disponendo di modesta esperienza, generale mancanza di competenze gestionali e conoscenze, al pari dei competitors dei paesi sviluppati, con lo scopo di stabilire partnership ed alleanze, funzionali a sopperire le suddette carenze. Se le multinazionali tradizionali, grazie allo sfruttamento di specifici vantaggi competitivi, derivanti dal fatto di possedere beni di proprietà strategici, quali tecnologie e brand, hanno potuto raggiungere superiori livelli di produttività, le nuove multinazionali stanno cercando di affermarsi, utilizzando le loro capacità di creare networks ed alleanze estere.

Questo tratto non convenzionale, delle multinazionali dei paesi emergenti, con particolare riferimento alla loro espansione in nazioni economicamente avanzate, è stato definito quale strategia di asset-exploring, piuttosto che asset-exploiting (Mathews, 2002), ed ha progressivamente determinato una serie di peculiari aspetti, propri delle performances commerciali di tali soggetti.

La relativa arretratezza delle competenze organizzative e gestionali, proprie delle imprese dei BRICS, ha determinato, da un lato, l’inferiore produttività di tali aziende, rispetto a quelle dei paesi avanzati (Bloom and Van Reenen, 2010), e dall’altro,

un’inversione dei flussi di conoscenze, tra le unità dell’impresa, (Narula, 2010), che sta progressivamente comportando una sempre maggior specializzazione delle sussidiarie, piuttosto che della casa madre (Chen et al., 2012).

In merito alla produttività delle multinazionali di nuova generazione, lo studio portato avanti da Marco Sanfilippo, dell’istituto BOFIT (Institute for Economies in Transition Bank of Finland), ha dimostrato come l’internazionalizzazione, caratterizzata da carenti conoscenze organizzative, gestionali e riguardanti i diversi contesti economico-culturali, determini prestazioni economiche inferiori, in particolare se gli investimenti sono diretti verso nazioni avanzate. I risultati dell’analisi proposta, dall’economista in questione, nella quale più di 2000 multinazionali dei BRICS, aventi sussidiarie in Europa, sono state oggetto di studio, hanno rivelato che, tali imprese, registrano tassi di produttività più bassi del 20-30%, rispetto a quelli delle multinazionali americane ed europee. Sebbene dai dati, sia emersa una certa eterogeneità in termini settoriali, di distribuzione geografica, e di dimensioni delle multinazionali emergenti, molte delle quali si attestano a livelli di produttività simili ai cosiddetti incumbents (Mathews,2006), la tendenza principalmente manifestatasi, consiste in una minore produttività totale dei fattori delle imprese provenienti da Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica. Sono stati riscontrati rilevanti differenziali di produzione, tra le multinazionali tradizionali e quelle dei mercati emergenti, in particolare nelle attività ad alta intensità tecnologica e nel settore manifatturiero, mentre trascurabili divergenze nelle performances economiche caratterizzano i settori a basso livello tecnologico e dei servizi.

La mancanza di vantaggi di proprietà, da poter sfruttare in mercati esteri, sembra essere la principale causa dell’inferiore produttività dei latecomers (Mathews, 2006), i quali mostrano, tuttavia, una costante propensione ad investire in nazioni geograficamente e culturalmente più distanti, al fine di accedere a risorse funzionali alla riduzione dei gaps esistenti con i competitors internazionali. Lo studio, proposto da Sanfilippo, mette inoltre in evidenza una minore capacità di generare profitti e sostenibilità finanziaria da parte delle imprese emergenti, recentemente impegnatesi in investimenti esteri in nazioni economicamente più sviluppate. In qualità di

latecomers (Mathews, 2006), operanti in mercati internazionali, le imprese dei BRICS necessitano di maggior tempo per generare reddito, elemento parzialmente dipendente dalla loro carente esperienza in contesti esteri, e traducibile, talvolta, in deludenti performances economiche nei paesi avanzati (Goldstein, 2013). Quest’ultimo aspetto, e la generale attitudine a raggiungere livelli di produttività inferiori, possono essere considerati quali principali elementi distintivi dell’espansione commerciale, delle multinazionali dei paesi emergenti, ed in particolare dei BRICS, i quali tendono, tuttavia, a propendere, nel trade-off tra produttività e accesso a nuove risorse, per questo secondo aspetto.

Ulteriore peculiarità delle multinazionali dei BRICS, consiste poi nella natura strategica degli investimenti, che oltre ad essere finalizzati all’acquisizione di beni intangibili, vengono stanziati con l’obiettivo di penetrare e controllare il mercato a cui vengono destinati. Analisi empiriche ed il dettagliato studio di rilevanti casi, hanno messo in evidenza come gli investimenti delle multinazionali, dei principali mercati emergenti, siano sostanzialmente motivati dalla volontà di affermarsi nel mercato estero, a prescindere dalla localizzazione di quest’ultimo (Amighini et al., 2010). La propensione di tali soggetti emergenti, a piazzare i propri prodotti sul mercato di investimento, ha determinato valori comprensivi di vendite ed esportazioni di molto superiori a quelli di altre aziende impegnate nell’internazionalizzazione delle operazioni commerciali. Ciò è sostanzialmente dovuto al fatto che i latecomers (Mathews, 2006), oltre ad investire in previsione di un eventuale accesso a nuovi beni intangibili, sembrano indirizzare capitali all’estero, motivati da ciò che viene definito market-seeking.

Se l’effetto di tali strategie economiche può essere interpretato negativamente, dal momento che esse possono configurarsi quali potenziali minacce al rispetto dei diritti di proprietà ed ai settori in competizione con le importazioni, al contempo, gli investimenti provenienti da nazioni in via di sviluppo, sembrano essere sempre più ben accolti, dalle economie più avanzate, in particolare in settori stagnanti e maggiormente colpiti dalla crisi economico-finanziaria del 2008.

specifici vantaggi competitivi in termini di tecnologie o brand, esse dispongono della capacità di operare in particolari e, talvolta, difficili contesti economico-istituzionali. L’abilità di sapersi muovere in mercati in via di sviluppo, nei quali spesso le infrastrutture logistiche sono carenti, i mercati sono meno strutturati ed i consumatori assumono comportamenti particolari (quali l’acquisto in piccole quantità di un prodotto), ha conferito alle multinazionali dei BRICS superiori capacità politico-istituzionali che permettono loro di adeguarsi più facilmente a situazioni differenti da quelle della nazione di provenienza. Le società, provenienti da realtà in via di sviluppo, rivelano spesso una maggiore predisposizione al risk management ed ad instabili situazioni politiche, elementi che hanno permesso loro di prosperare in svariati contesti economici.

E’ inoltre possibile affermare che, se da un lato diverse imprese dei BRICS hanno progressivamente imboccato la strada dell’internazionalizzazione, incrementando sempre più gli investimenti all’estero, e dalla quale hanno saputo trarre vantaggi o meno, dall’altro è stato possibile assistere ad un progressivo aumento dei flussi di capitale passivi nelle nazioni in questione, le quali si sono, nel corso del tempo, delineate quale meta preferenziale degli investimenti esteri. Negli ultimi vent’anni, i principali mercati emergenti, grazie alla loro sostenuta crescita, all’ascesa dei ceti medi, alla riduzione di barriere e ostacoli al commercio internazionale, all’introduzione di riforme di mercato ed alla loro notevole disponibilità di risorse naturali e manodopera, si sono trasformati nelle maggiori destinazioni degli investimenti globali. Lo stanziamento di ingenti incentivi economici e la creazione di zone speciali d’investimento, da parte dei governi BRICS, con l’obiettivo di attrarre crescenti quantità di capitali esteri, hanno ulteriormente favorito progetti d’investimento in tali nazioni, le quali hanno progressivamente scalato le classifiche degli investimenti internazionali. La quota complessiva dei flussi di capitale in entrata dei BRICS, tra il 2007 e il 2009, è aumentata dal 9,4% al 17,4%, ed in particolar modo in Cina, paese collocatosi, negli ultimi anni, al vertice delle mete commerciali di imprenditori e multinazionali, con il volume degli investimenti esteri che ha registrato considerevoli aumenti.

LE RELAZIONI COMMERCIALI TRA I BRICS E LE PRINCIPALI