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IL DIBATTITO TEORICO SULLA CRESCITA DELLE REALTÀ EMERGENT

Negli anni 2000, con l’emergere di imprese multinazionali provenienti da nazioni in via di sviluppo e con l’affermarsi di queste ultime quali leader mondiali in diversi settori industriali, si è potuto assistere ad un rinnovato interesse nello studio dei soggetti emergenti. Una più profonda comprensione delle strategie commerciali e gestionali delle nuove multinazionali, ha acceso un animato dibattito su come le esistenti teorie, riguardanti l’internazionalizzazione economica, possano effettivamente spiegare questo recente fenomeno. La creazione o meno di teorie innovative, maggiormente adeguate allo studio dei nuovi protagonisti mondiali, è stata l’oggetto principale della discussione ancora in corso. Se diversi ricercatori sostengono che l’avvento delle corporation, dei paesi in via di sviluppo, debba essere analizzato attraverso la formulazione di nuove teorie in grado di spiegare in maniera più esaustiva la crescita delle multinazionali emergenti, altri restano della posizione secondo la quale le teorie esistenti permettano di studiare adeguatamente lo sviluppo dei suddetti soggetti. Posizioni intermedie, sostenute in particolare da Ramamurti e Cuervo-Cazurra, vedono, poi, la presa in esame di tali realtà quale elemento che possa semplicemente contribuire ad un’estensione delle teorie esistenti.

Secondo i sostenitori del primo punto di vista, tra i quali spiccano Mathews, Guillen e Garcia-Canal, una serie di peculiarità nell’espansione internazionale delle imprese

emergenti, può essere spiegata con la sola formulazione di nuove teorie. La necessità di quest’ultime di posizionarsi rapidamente sul mercato internazionale e di accedere a risorse in precedenza inaccessibili, ha spinto, per esempio, alla formulazione, del precedentemente preso in analisi, LLL framework da parte di Mathews. Il bisogno di competere con le multinazionali dei paesi avanzati e di aggirare deficienze istituzionali e di mercato nella nazione d’origine, ha portato, poi, studiosi quali Luo e Tang ad abbracciare l’idea secondo la quale gli investimenti delle imprese emergenti siano da considerare quale trampolini di slancio per compensare svantaggi competitivi, superare barriere commerciali e vincoli governativi. L’innovativo modello di internazionalizzazione sostenuto da Garcia-Canal e Guillen, secondo il quale i protagonisti economici delle realtà in via di sviluppo intraprendono un’espansione simultanea in altre nazioni emergenti ed in economie avanzate, si è posto come obiettivo la spiegazione della tendenza a creare partnership e a prediligere metodi di penetrazione dei mercati tramite fusioni ed acquisizioni.

In contrasto a tali posizioni, altri ricercatori hanno mostrato una maggior propensione a spiegare la comparsa e le modalità d’azione dei nuovi soggetti attraverso l’uso delle teorie economiche esistenti. Rugman, per esempio, si è fatto sostenitore dell’idea secondo la quale il modello sugli specifici vantaggi competitivi di un’impresa o nazione possa esaustivamente spiegare l’espansione delle multinazionali emergenti. Il suo pensiero muove dalla concezione secondo la quale quest’ultime, non possedendo peculiari vantaggi competitivi, tendono a sfruttare i vantaggi competitivi tipici del paese di provenienza (manodopera a basso costo, risorse finanziarie o naturali), quali strumenti funzionali all’internazionalizzazione. Pensatori di rilievo quali Dunning, Kim e Park si sono, inoltre, fatti portavoce del concetto secondo il quale i cambiamenti strutturali e tecnologici che hanno investito il sistema globale, negli ultimi sessant’anni, siano la causa del differente sviluppo dei nuovi soggetti rispetto a quello delle multinazionali dei paesi avanzati. Infine, è con l’uso del modello OLI che tali pensatori spiegano l’internazionalizzazione dei soggetti commerciali emergenti, i quali hanno potuto trasformarsi in multinazionali sfruttando il vantaggio di localizzazione piuttosto che di proprietà.

Il terzo punto di vista, i cui principali sostenitori sono Ramamurti e Cuervo-Cazurra, muove, invece, dall’idea secondo la quale la formulazione di nuove teorie non escluda la combinazione di quest’ultime a quelle già esistenti. Secondo tale visione, lo studio delle multinazionali emergenti permette una sostanziale estensione delle teorie classiche sui metodi d’internazionalizzazione. Le differenze legate ai diversi contesti nazionali ed alle metodologie d’espansione conducono le imprese dei paesi in via di sviluppo ad attuare diverse strategie d’internazionalizzazione, le quali, tuttavia, si discostano solo parzialmente da quelle tipicamente adottate. Considerare le differenze comportamentali dei soggetti emergenti, nate da specificità socio-politiche, geografiche ed economiche, quali elementi in grado di espandere le teorie esistenti, è quanto propongono gli studiosi appartenenti a questa terza “corrente”. La capacità delle nuove imprese di creare innovazioni adeguate a soddisfare le necessità di consumatori a basso reddito, e di conseguenza, di penetrare abilmente sparuti mercati, combinata ad abilità politiche, abilità di sopperire a carenti sistemi infrastrutturali e di mercato ha contribuito ad un ampliamento di diversi aspetti delle teorie esistenti.

In merito al ciclo di vita del prodotto, proposto da Vernon, i sopranominati pensatori sono giunti ad affermare che gli studi sulle nuove multinazionali hanno cooperato ad un’espansione di tale teoria sulle metodologie d’introduzione di innovazioni e prodotti in altre nazioni. Il fatto di sviluppare, sin da subito, prodotti in grado di soddisfare molteplici tipologie di consumatori, ha permesso ai nuovi soggetti commerciali di abbandonare la diffusione, secondo stadi incrementali, delle innovazioni, e di mantenere la produzione di quest’ultime, anche una volta standardizzate, nella nazione di provenienza, essendo già nella condizione di operare a costi ridotti. La minore avversità ai rischi legati all’internazionalizzazione, dei manager delle imprese emergenti, risulta essere un fattore che ha spinto quest’ultime a penetrare, sin da principio, diverse tipologie di mercati, non necessariamente simili a quelli della nazione d’origine. La tendenza ad indirizzare notevoli investimenti verso mercati caratterizzati da consumatori a basso reddito e di conseguenza da una limitata attrattività commerciale ed, al contempo, verso nazioni

culturalmente più distanti, ma i cui potenziali consumatori dispongono di medio-alto reddito, ha contribuito ad un’espansione del modello d’internazionalizzazione incrementale, proposto da Johanson e Vahlne. Secondo i sostenitori di questa posizione intermedia, all’interno del dibattito, sulla possibile espansione delle teorie esistenti, il framework OLI può essere utilizzato per la spiegazione delle modalità d’internazionalizzazione delle nuove multinazionali, ma necessita di includere una serie di altri elementi teorici.

Se l’espansione estera delle realtà emergenti può essere parzialmente descritta dal modello, è necessario, tuttavia, tenere presente che quest’ultime investono in altri paesi non solo con lo scopo di sfruttare i vantaggi di proprietà di cui dispongono, ma anche di acquisirne di nuovi, quali efficienti ed innovativi metodi di business. La volontà, poi, di tali soggetti di operare in migliori condizioni istituzionali e di avere accesso ad input produttivi, senza stabilire sussidiarie di produzione in una nazione estera, sono aspetti che sembrano condurre ad una parziale rivisitazione della teoria OLI in merito all’analisi dei vantaggi di localizzazione.

Un ulteriore contributo apportato dagli studi sulle multinazionali dei paesi in via di sviluppo, alla teoria classica sul modello d’internazionalizzazione delle multinazionali, è legato alle diverse decisioni alla base dell’internalizzazione delle attività commerciali. Se le imprese delle economie avanzate ritengono necessario rendere interne le operazioni commerciali nel momento in cui ciò permette una sostanziale riduzione dei costi e di sfruttare i vantaggi competitivi a disposizione, le imprese dei paesi emergenti, maggiormente abituate a sopportare elevati costi di transizione, internalizzano le attività al fine di prevenire rischi legati ad una carente protezione contrattuale ed istituzionale.

Il modello di integrazione-differenziazione, proposto da Bartlett e Ghoshal, secondo il quale un’impresa multinazionale sia sostanzialmente esposta ad una duplice pressione, integrazione e standardizzazione delle attività per poter competere in economie di scala e differenziazione strategica in risposta alle peculiarità dei mercati locali, può essere parzialmente ampliato, se usato per spiegare la crescita dei nuovi protagonisti mondiali. Oltre a dover risolvere la tensione tra politiche d’integrazione

e reattività nazionali, le imprese multinazionali dei paesi in via di sviluppo devono far fronte ad un ulteriore elemento di pressione, che si configura con l’influenza della nazione d’origine, in particolare in materia di gestione delle risorse naturali e di pianificazione delle strategie locali. Il peso decisionale delle istituzioni, nel processo d’internazionalizzazione, ha spinto le multinazionali di seconda generazione a preferire metodologie d’entrata dei mercati che permettano loro di proteggere più efficacemente risorse e conoscenza, senza contare sulla protezione legislativa e contrattuale garantite a livello istituzionale.

L’interpretazione della crescita delle imprese multinazionali dei paesi emergenti, secondo la logica di espandere le teorie esistenti, piuttosto che la creazione di nuovi sistemi teorici, riconoscono tuttavia i limiti dei contributi apportati da tale analisi alle teorie classiche. La comprensione delle modalità d’azione dei nuovi soggetti, oltre a dover essere relazionata alle peculiarità economico-politico delle nazioni di provenienza, deve tener conto dei mutamenti strutturali a cui è soggetto l’attuale sistema economico globale. Le notevoli divergenze riscontrate nell’attuazione delle strategie d’internazionalizzazione devono essere analizzate tenendo in ogni caso presente che i soggetti presi in considerazione fanno comunque parte del cosiddetto gruppo delle imprese multinazionali, anche se stanno vivendo fasi espansive differenti. Divergenze comportamentali, che risultano essere più marcate nello stadio iniziale dell’internazionalizzazione, tendono, infatti, a ridursi nelle fasi più avanzate di tale processo, tant’è che multinazionali dei paesi sviluppati, da poco affacciatesi sulla scena mondiale tendono a presentare tratti comuni a quelle dei paesi in via di sviluppo. L’affermarsi delle nuove multinazionali deve, inoltre, essere strettamente contestualizzato nella presente situazione economica, nella quale la caduta delle barriere istituzionali agli investimenti diretti e l’avanzamento tecnologico, dei trasporti e delle comunicazioni hanno esteso gli orizzonti delle modalità commerciali, rispetto ai decenni precedenti, dando luogo a sistemi d’espansione che seguono diversi percorsi. L’analisi sulla sempre maggior interconnessione economica globale, sulla necessità di adottare strategie multidimensionali, e sull’emergere di nuove multinazionali, sempre più influenti a livello mondiale, si sta traducendo, nella pratica,

in un sensibile aumento delle relazioni economico-commerciali tra i diversi soggetti globali, i quali stanno sempre più indirizzando gli investimenti in nazioni differenti da quelle d’origine, al fine di sfruttare ed acquisire vantaggi e risorse.

PARTE II