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INTERPRETAZIONE DEL CONTRATTO CON IL CONSUMATORE

S. T., La nuova disciplina delle clausole vessatorie nel codice civile, cit., in part 140.

III. N) L’art 34 cod cons.

Secondo alcuni, dunque, il legislatore all’art. 34 cod. cons. ha fatto applicazione del criterio della trasparenza di cui all’art. 35, comma 1 del medesimo testo; conseguentemente, il mancato rispetto della chiarezza e comprensibilità nell’individuazione dell’oggetto del contratto e dell’adeguatezza del corrispettivo aprirebbe la strada al giudizio di vessatorietà, sebbene ciò possa apparire in contrasto con la logica del menzionato art. 35, comma 1, che sembra invece ispirata ad un principio di separazione tra i concetti di intrasparenza e di vessatorietà197.

Dunque, come accennato, vi è chi ritiene che, seppur con formulazione equivoca, il legislatore abbia inteso applicare nell’art. 34 cod. cons. il criterio di trasparenza di cui all’art. 35198.

196 CRISCUOLO F., Diritto dei contratti e sensibilità dell’interprete, Napoli, 2003, in part. 74;

MINERVINI E., Tutela del consumatore e clausole vessatorie, cit., in part. 135

197 GIAMMARIA P., op. cit., in part.1019-1020.

198 Così MASUCCI S.T., sub art. 1469-quater, cit., in part. 163 e GIAMMARIA P., sub art.

Difatti, costituisce un’espressione di quell’obbligo di trasparenza nella redazione delle clausole contrattuali e nella loro prospettazione al consumatore – sancito in via generale dall’articolo 35 cod. cons. – anche l’art. 34 del medesimo testo, norma che, peraltro, fornisce un ulteriore esempio di come inesorabilmente si tocchino i campi applicativi della trasparenza e della vessatorietà. Può dirsi che il menzionato art. 34, in caso di violazione dell’obbligo di trasparenza, estende il campo del giudizio di vessatorietà. L’articolo in questione, difatti, sottrae al sindacato giudiziale di vessatorietà le clausole relative alla determinazione dell’oggetto del contratto ed all’adeguatezza del corrispettivo, ove le stesse siano formulate in modo chiaro e comprensibile. L’ambiguità e l’assenza di chiarezza legittimano pertanto, in applicazione del principio di buona fede, un ampliamento del potere conoscitivo dell’interprete alla congruità economica del contratto ed a quelle previsioni che sono direttamente espressione dell’autonomia negoziale delle parti.

Quanto precede si inscrive in un’ottica di tutela sostanziale della parte debole, proprio attraverso l’espansione del controllo e della valutazione giudiziale al cuore del negozio nel caso in cui vi sia il sospetto di un comportamento contrario a buona fede che si traduca nell’ambiguità della formulazione e nella difficoltà per il consumatore di comprendere il preciso significato del rapporto cui si vincola199 .

Meritano approfondimento due questioni a riguardo: in primo luogo, i presupposti per la declaratoria di vessatorietà della clausola di determinazione dell’oggetto del contratto formulata in termini ambigui200; in secondo luogo, il problema delle conseguenze per il caso

in cui, legittimato il sindacato di vessatorietà sulle clausole, questo abbia esito positivo, implicando in tal modo la nullità della pattuizione determinativa dell’oggetto e, pertanto,

199 cfr Trib. Firenze 19 agosto 2004; Trib. Firenze 4 febbraio 2003.

200 La problematica in oggetto si propone in termini analoghi anche per le ipotesi di

violazione dell’obbligo di trasparenza di cui all’art. 35: si tratta cioè di stabilire se a tale violazione consegua automaticamente la dichiarazione di nullità, ovvero se essa rilevi quale criterio a sé stante di valutazione della vessatorietà.

dell’intero contratto. A quest’ultimo riguardo va precisato, invero, che ove l’oggetto, al di là della formulazione non chiara né comprensibile, sia indeterminato o indeterminabile, troverà applicazione la disciplina generale della nullità del contratto di cui all’art. 1418 comma 2 c.c..

Invero, arduo appare il compito di tracciare una netta distinzione tra le clausole concernenti l'oggetto e l'entità delle prestazioni principali dedotte in contratto e le clausole dedicate alla regolamentazione degli altri profili dell'accordo.

Infatti, da un lato vi è quasi sempre una reciproca interferenza tra la determinazione del contenuto strettamente economico dell'affare ed il regolamento negoziale attinente alle modalità, alle formalità, ai termini, alle condizioni di cui sono intessuti l'attuazione ed il funzionamento del rapporto contrattuale.

D'altronde, la determinazione dell’oggetto principale della prestazione, e il profilo dell'entità del prezzo o comunque del corrispettivo, risultano frequentemente dalla combinazione di una serie di clausole, la cui inerenza al profilo economico invece che a quello normativo è dubbia.

Di poca utilità appare la distinzione tra clausole che esprimono il contenuto economico dell'accordo e clausole che ne esprimono invece il regolamento norrnativo.201

Il punto è, infatti, che permane sempre un certo margine di dubbio circa l'ascrivibilità di talune clausole all'una o all'altra categoria, proprio perché non è chiara, o può essere controversa, la reale portata della clausola o dei suoi effetti.

201 Questa distinzione in alcune esperienze giuridiche è ancor più precisamente tratteggiata

dalla legge. Ad esempio, in Germania, il § 8 dell'AGB-Gesetz delimita l'applicazione

dell'Inhaltskontrolle alle «clausole delle condizioni generali di contratto mediante le quali vengono pattuite regolamentazioni che derogano a disposizioni di legge o le integrano», con espressione volta a definire

le clausole «norrnative», invece che ad indicare i caratteri delle clausole relative alle prestazioni «principali», come fanno la Direttiva comunitaria n. 93/13 e le nostre norme di attuazione di essa.

Si pensi, per avere un esempio della difficoltà di riconoscere ad una clausola il ruolo di determinare l'oggetto principale del contratto, non soltanto alle divergenze esistenti in dottrina circa la definizione della nozione stessa di “oggetto del contratto” ma specialmente alle numerose controversie pratiche che sovente sorgono attorno al quesito se una certa clausola giovi a definire e a determinare l'oggetto del contratto (o della prestazione in esso dedotta) oppure no.

Anche con riguardo al profilo dell' adeguatezza del prezzo, anch'esso in linea di principio escluso dal controllo sotto il profilo della vessatorietà e dal conseguente emendamento del contratto, si danno ipotesi nelle quali il profilo attinente all'entità del corrispettivo subisce dirette e pesanti ripercussioni dall'operare di clausole dirette ad aggravare il rischio, la garanzia o i costi complessivi dell'affare sopportati dal consumatore o ad alterare, comunque, di fatto il prezzo indicato.

Queste clausole sovente soggiacciono alla valutazione di vessatorietà. Difatti, il legislatore, pur proclamando l'insindacabilità dell'adeguatezza del corrispettivo, non esita a dettare una presunzione di vessatorietà, ad esempio, per le clausole che consentono che il prezzo dei beni o dei servizi sia determinato al momento della consegna o della prestazione o che consentono al professionista di aumentare il prezzo del bene o del servizio senza che il consumatore possa recedere se il prezzo finale è eccessivamente elevato rispetto a quello originariamente convenuto.

Tale difficoltà nel fissare un preciso limite tra clausole che esprimono il contenuto economico insindacabile del contratto e clausole che ne regolano 1'assetto normativo, trova un componimento proprio attraverso l'operare della regola di trasparenza, ribadita nella disposizione dettata sulle c.d. core provisions.

La rilevanza della trasparenza si manifesta, in tale ambito, anzitutto nel caso nel quale la formulazione di una clausola, apparentemente volta a definire 1'oggetto del contratto o della prestazione, sia in realtà preordinata, mediante un’insidiosa formulazione, ad

espropriare il consumatore di prerogative la cui sottrazione è da considerarsi vessatoria o abusiva. In tale ipotesi, in altri termini, si finisce per incorporare surrettiziamente nella definizione dell'oggetto o della prestazione principale profili attinenti piuttosto ai diritti ed alle facoltà azionabili dal consumatore nell'attuazione del rapporto.

Analogamente, essendo la determinazione dell'oggetto della prestazione utile a circoscrivere il rischio contrattuale assunto dall'autore della clausola, è necessario che la stessa sia priva di elementi tali da ostacolare l'operatività dei rimedi apprestati a tutela dell'interesse del consumatore a conseguire la prestazione o ad evitare di venire danneggiato dalle modalità di svolgimento del rapporto.

In detto contesto, il difetto di trasparenza esclude l'insindacabilità della clausola e consente la valutazione di vessatorietà della stessa.202

Invero, la violazione della regola di trasparenza vale ad escludere l'insindacabilità delle c.d. core provisions allorché la determinazione dell' oggetto o dell'entità del corrispettivo risultino non enunciati chiaramente, direttamente ed univocamente, ma risultanti da un meccanismo disciplinato nel contratto o da una combinazione di clausole.

In tal caso, ove la clausola manchi di trasparenza, l’assoggettabilità della stessa al sindacato circa la rispondenza del suo contenuto all'equilibrio richiesto dalla buona fede si spiega proprio con 1'esigenza di salvaguardare il corretto funzionamento dei meccanismi del mercato, esigenza soddisfatta quando lo scambio cui è preordinato il contratto sia suscettibile di venir apprezzato, nella sua reale portata economica, grazie alla piena consapevolezza di tutti gli elementi che influiscono su tale aspetto.

202 Cfr. DI GIOVANNI F., La regola di trasparenza nei contratti dei consumatori, Torino, 1998,

in part. 91 ss. , il quale porta ad esempio il caso in cui un operatore turistico adotti, nel concludere il contratto con il cliente, una definizione delle prestazioni promesse tale da eludere, tramite mere ambiguità verbali, le conseguenze del proprio inadempimento, come se promettesse una «sistemazione nell' albergo X in camera disponibile alla data di arrivo, dotata dei

seguenti servizi ... »: dove non si capisce se la disponibilità a cui si accenna venga garantita o

Potrebbe sembrare, del resto, paradossale alla luce delle regole del mercato che il consumatore sia tutelato contro le insidie introdotte nell’assetto normativo del rapporto, e non anche quando la stessa portata economica dell’affare sia celata attraverso una rappresentazione oscura ed ingannevole.

Pertanto, è consentita una piena esplicazione dell’autonomia negoziale solo quando la determinazione degli elementi fondamentali dello scambio sia diretta, aperta, esplicita ed inequivoca.

Invece, le clausole mediante le quali non si fissa in modo chiaro e preciso il contenuto di quegli elementi, ma si predispone un congegno contrattuale complesso e di non immediata comprensibilità da cui questi ultimi dovrebbero ricavarsi, non attengono all’ambito dell’autonomia contrattuale bensì sollevano una questione di tutela dell'equilibrio tra i contraenti.

In altre parole, nei casi di formulazione non trasparente delle c.d. core prouisions finiscono per venire meno le stesse premesse per un corretto funzionamento del mercato e della concorrenza; la chiarezza e la comprensibilità nel definire 1'oggetto della prestazione o l'entità del corrispettivo configurano, in definitiva, il contenuto di un onere del professionista, il mancato adempimento del quale provocherà la sottoposizione degli elementi fondamentali del contratto al controllo di vessatorietà.

Nel caso in cui sia accertato, sul presupposto del difetto di trasparenza, il carattere vessatorio di una clausola di determinazione dell' oggetto o dell’entità del corrispettivo, ci si può chiedere se, almeno in tale ipotesi, il difetto di trasparenza sia stato considerato dalla legge una ragione autonoma ed autosufficiente di abusività della clausola (prospettandosi così una distinzione tra casi di vessatorietà per squilibrio e casi di vessatorietà per difetto di trasparenza).

La norma in parola viene in evidenza, invero, quando le clausole volte a determinare l'oggetto della prestazione o l'entità del corrispettivo siano congegnate in modo tale da

esporre tali elementi a modificazioni impreviste od imprevedibili da parte del consumatore, che alterano a sorpresa il peso economico del contratto e comunque il sinallagma contrattuale.

Si pensi, ad esempio, a meccanismi di adeguamento automatico del prezzo o di indicizzazione dello stesso contemplati nella clausola di determinazione del corrispettivo contrattuale, e che, per la loro formulazione, rendano oscuro tale elemento e non agevolmente percepibile il reale onere economico del negozio.

In ipotesi di questo tipo, la possibilità di dare ingresso al controllo di vessatorietà apre altresì la via ad una correzione non distruttiva del contratto, trattandosi semmai di disapplicare quei congegni di insidiosa o surrettizia deformazione del contenuto dei patti, conservando esclusivamente gli aspetti non controversi di essi.

Invero, una valutazione in termini di vessatorietà della clausola relativa agli elementi fondamentali dello scambio è concepibile solo quando la clausola stessa non sia già di per sé caduca in ragione dell’assoluta mancanza di intelligibilità, e l'eventuale giudizio di vessatorietà metterà a rischio la sopravvivenza dell'intero contratto soltanto quando i profili che rendono la clausola oscura non siano distinguibili all'interno del suo complessivo contenuto.

A questo proposito, non va sottaciuto il rischio che detto effetto espansivo della vessatorietà della clausola finisca per andare contro lo stesso consumatore, che vedrebbe sacrificato il proprio interesse nell' affare.

Come già accennato, la diretta relazione istituita dall'art. 34 cod. cons. tra difetto di trasparenza e valutazione concernente il carattere vessatorio della clausola può far pensare che, nella fattispecie disciplinata dalla norma, tale ultimo carattere dipenda essenzialmente proprio dalla mancanza dei requisiti di chiarezza e comprensibilità che la regola di trasparenza esige.

Da qui a ravvisare nel difetto di trasparenza una causa di vessatorietà autonoma il passo è stato breve per parte della.

Tale indirizzo, tuttavia lascia perplessi nella misura in cui esso sembra risolversi si risolve in un contestuale travisamento sia del multiforme ruolo della trasparenza sia del concetto di significativo squilibrio.

Anche sotto il profilo testuale, la norma in parola, nella quale si collegano il difetto di trasparenza e la valutazione di vessatorietà, non considera la mancanza dei requisiti di chiarezza e comprensibilità come oggetto e contenuto del controllo circa il carattere abusivo della clausola, bensì come premessa di tale controllo: la violazione della regola di trasparenza apre la questione della vessatorietà ma non la risolve.

Inoltre, facendo del difetto di trasparenza una causa di vessatorietà, si perde la complessità della regola di chiarezza e di comprensibilità delle clausole, finendo per appiattirne il significato sul controllo circa la validità del contratto concluso.

Peraltro, il carattere vessatorio della clausola non dipende dall'esistenza di un qualsivoglia squilibrio sostanziale, bensì dalla circostanza che lo squilibrio sia qualificato dall'incompatibilità con il requisito della buona fede. Invero, uno dei modi in cui si manifesta la contrarietà a buona fede dell'assetto di interessi realizzato dalla clausola consiste proprio nel carattere in trasparente di questa.

Il carattere abusivo della clausola, perciò, si ricava dall'esame sintetico dello squilibrio che essa introduce e del modo in cui esso è introdotto, e rispetto a quest'ultimo profilo viene in considerazione anche (e talora soprattutto) la regola di trasparenza.

Ne deriva che il ruolo peculiare del difetto di trasparenza ai fini del controllo circa il carattere vessatorio della clausola sia quello di indizio o elemento sintomatico di tale carattere, in considerazione del fatto che la trasparenza altro non è che un aspetto della buona fede, ossia del parametro alla stregua del quale va valutata la giuridica rilevanza dello squilibrio sostanziale introdotto dalla clausola.

Il controllo circa il carattere vessatorio della clausola non ha, dunque, un duplice possibile oggetto (lo squilibrio oppure il difetto di trasparenza), bensì sempre il medesimo oggetto (lo squilibrio caratterizzato dalla contrarietà a buona fede, della quale il difetto di trasparenza è elemento sintomatico). D'altro canto, non si potrebbe nemmeno adottare una appagante definizione di «squilibrio contrattuale» se non collegandola alle regole dell'agire correttamente, regole tra le quali la trasparenza occupa una posizione di rilievo preminente. Quanto ai rapporti tra vessatorietà e trasparenza, con specifico riferimento all’art. 34 cod. cons., varie sono state le ricostruzioni.

Un primo orientamento dottrinario ha sostenuto come l’assenza di chiarezza e di comprensibilità della formulazione sia di per sé idonea a fondare il giudizio di vessatorietà. Anzitutto si può obiettare a questo orientamento che, così ragionando, si potrebbe determinare una situazione peggiorativa per il consumatore: dalla predisposizione non trasparente dell’oggetto del contratto deriverebbe in via automatica la declaratoria di vessatorietà, quindi la nullità della clausola e, come indicato, dell’intero contratto. Si aprono, in tal modo, spazi per possibili abusi ed elusioni da parte del professionista, mentre si priva il consumatore delle utilità che potrebbero venirgli dal contratto203 . La conseguente

nullità della clausola ambiguamente formulata, colpendo un elemento essenziale e strutturale del contratto, ne determina la caducazione globale.

Altro orientamento osserva come si debba dare della norma una lettura tale da escludere l’automatico giudizio di vessatorietà come conseguenza dell’ambiguità e della mancanza di chiarezza nella formulazione delle clausole determinative dell’oggetto o della congruità del corrispettivo204: la violazione dell’obbligo di trasparenza, invero, apre la possibilità per il

203 Così tra gli altri, PODDIGHE E., I contratti con i consumatori. La disciplina delle clausole

vessatorie , cit., in part. 141.

204 Così BARENGHI A., op. cit., in part. 47; CASOLA M., op. cit., in part. 130; LENER

G., La nuova disciplina delle clausole vessatorie nei contratti dei consumatori, cit., in part. 152; Contra SIRENA P., sub art. 1469 bis, in Alpa G., Patti S. (a cura di), Le clausole vessatorie nei contratti

giudice di sindacare clausole contrattuali altrimenti precluse, estendendo il generale giudizio di vessatorietà.

La lettera del comma 2 dell’art. 33 cod. cons., si osserva, non sembra spingersi fino a fondare ipso iure un giudizio positivo di abusività di pattuizioni formulate in modo oscuro – a tutto danno del consumatore – ma si limita ad ampliare l’oggetto del sindacato giudiziale alla dimensione della congruità economica del sinallagma: la mancanza di trasparenza espande la valutazione sottoponendovi anche quelle clausole che, altrimenti, in ossequio al principio di autonomia privata, risultavano escluse.

Se questo è il significato e la ratio della disposizione, quelle clausole – generalmente sottratte al giudizio di vessatorietà – vi saranno sottoposte secondo gli ordinari canoni e metodi interpretativi.

L’accertamento di vessatorietà non assume, cioè, carattere automatico, ma occorrerà verificare in concreto la sussistenza di un significativo squilibrio tra le parti, contrario a buona fede, facendo ricorso ai meccanismi di accertamento, ivi compresi i criteri ermeneutici di cui all’art. 34 cod. cons..

Deve tuttavia considerarsi come le differenze tra le due interpretazioni tendano a sfumare nel momento in cui, anche accedendo al secondo orientamento e rigettando l’automaticità di giudizio, l’ambiguità e l’oscurità della redazione delle clausole non possono non assumere, in concreto, particolare rilievo nella valutazione giudiziale di vessatorietà delle stesse.

Ad ogni modo, qualora si pervenga (in modo automatico o a seguito di valutazione espletata secondo i criteri di legge) alla declaratoria di vessatorietà, il carattere strutturale ed essenziale delle clausole dichiarate vessatorie assume una rilevanza particolare: la nullità che

con i consumatori. Commentario agli articoli 1469 bis – 1469 sexies del codice civile, Milano, 2003, 563

colpisce la previsione (per esempio, quella relativa alla determinazione dell’oggetto del contratto) determinerebbe la caducazione del contratto nella sua globalità.

Parte della dottrina, al fine di tutelare anche in questa sede la parte debole e, segnatamente, l’interesse del consumatore alla conservazione del contratto, osserva come tale conclusione si ponga in contrasto con l’esigenza di fornire una protezione rafforzata al consumatore medesimo e con il principio di conservazione del contratto che – sempre per ragioni di tutela del contraente debole – fonda la scelta sottesa all’art. 36, comma 1 cod. cons.

Si è proposto quale soluzione alternativa il ricorso alla determinazione giudiziale dell’oggetto del contratto, strumento che consentirebbe al giudice di sostituirsi alle parti e di salvare il contratto e l’interesse del consumatore205 .

In senso contrario si è osservato come un intervento giudiziale correttivo, che incida sull’assetto negoziale del contratto in modo così rilevante, non trova, allo stato, alcun fondamento giuridico206; invero, pur nel vivace dibattito tuttora aperto ed alimentato dalle

istanze di provenienza europea sul ricorso a strumenti correttivi giudiziali, il nostro ordinamento conosce tecniche ben definite e delimitate di intervento equitativo e di integrazione delle clausole.