• Non ci sono risultati.

M) Clausole ambigue e giudizio di vessatorietà

INTERPRETAZIONE DEL CONTRATTO CON IL CONSUMATORE

S. T., La nuova disciplina delle clausole vessatorie nel codice civile, cit., in part 140.

III. M) Clausole ambigue e giudizio di vessatorietà

Una problematica certo molto interessante e complessa, come sopra accennato, è quella relativa al criterio da ritenere prevalente nel caso in cui una clausola ambigua possa dar luogo ad un giudizio di vessatorietà.

In dottrina, pur nella varietà delle ricostruzioni prospettate168, si è sottolineato come la

soluzione alla problematica così posta possa desumersi dal terzo ed ultimo comma dell’art. 35 cod. cons.169, a mente del quale il principio della interpretatio contra proferentem non si

applica nei procedimenti inibitori instaurati ai sensi dell’articolo 37 cod. cons.

167 GIAMMARIA P., sub 1469 quater, cit., in part.1026.

168 Sul punto, DI GIOVANNI D., sub art. 1469 quater, cit., in part. 375 ss., il quale

sottolinea la necessità di distinguere da un lato la questione della validità della clausola e dall’altro quella della sua interpretazione.

169 Tale norma è stata introdotta nel 1999, e precisamente dall’art. 25 della legge 21

A fondamento di tale ultima norma vi è chiaramente l’esigenza di evitare che i professionisti, in sede di ricorso avverso clausole dagli stessi predisposte, possano evitarne la declaratoria di vessatorietà sostenendo l’applicazione del criterio dell’interpretazione più favorevole al consumatore, e garantendosi in tal modo la sopravvivenza della clausola medesima e della situazione in concreto ad essi più vantaggiosa.

Il legislatore sembra, così, aver rafforzato l’efficacia rimediale dell’inibitoria, prendendo posizione per la rimozione della clausola di dubbia interpretazione e non per il suo mantenimento.

Pertanto, pare che il comma 3 dell’art. 35 cod. cons. debba essere interpretato come se dicesse che in caso di dubbio sul senso di una clausola debba prevalere l’interpretazione più sfavorevole al consumatore, ma solo ove ci si trovi nei casi di cui all’art. 37 cod. cons.: in tal modo, si escluderebbe l’applicazione della regola dell’interpretazione contro l’autore della clausola, oltre al principio di conservazione di cui all’art. 1367 c.c. – che condurrebbero ai medesimi risultati – e si garantirebbe l’esperibilità dell’inibitoria170.

In considerazione della menzionata previsione in tema di azione inibitoria, volta ad evitare usi pretestuosi della stessa, si è osservato come, in caso di possibile duplice interpretazione delle clausole ambigue, il criterio da seguire sia quello volto ad effettuare una valutazione comparativa fra i diritti e gli obblighi che ciascuna interpretazione può far sorgere in capo al consumatore. Sulla base di tale comparazione si dovrebbe verificare quale interpretazione conduce all’esito concretamente più favorevole per il consumatore stesso, il che può anche tradursi nella declaratoria di vessatorietà.

occasione di un procedimento di infrazione avviato contro lo Stato italiano per imperfezioni nel recepimento della Direttiva 93/13.

170 DE CRISTOFARO G., Le modifiche apportate dalla legge comunitaria 1999 al capo XIV-bis

del titolo II del libro IV del codice civile: ultimo capitolo della tormentata vicenda dell’attuazione della direttiva 93/13/CEE?, in Studium iuris, 2000, 4, 398 ss., in part. 398 ss..

Tuttavia, si è fatto notare che la finalità perseguita dal legislatore europeo, attraverso la direttiva 93/13/CEE, consiste nel ripristinare l’equilibrio tra le parti, salvaguardando al contempo, in linea di principio, la validità del contratto nel suo complesso, e non nell’annullamento di qualsiasi contratto contenente clausole abusive. Difatti, occorre rilevare che sia il tenore letterale dell’articolo 6, par. 1, della direttiva 93/13/CEE sia le esigenze di certezza giuridica delle attività economiche depongono a favore di un approccio obiettivo in sede di interpretazione di detta disposizione, e conseguentemente la peculiare posizione di una delle parti del contratto, ossia il consumatore, non può essere presa in considerazione quale criterio determinante per disciplinare la sorte futura del contratto. Dunque, l’art. 6, par. 1, della direttiva 93/13/CEE non può essere interpretato nel senso che, nel valutare se un contratto contenente una o diverse clausole abusive possa essere mantenuto in vigore in assenza di dette clausole, il giudice adito può basarsi unicamente sull’eventuale vantaggio, per il consumatore, derivante dall’annullamento di detto contratto nel suo complesso171.

E’ innegabile che vi possano essere dei casi in cui, in concreto, gli interessi dei consumatori potrebbero concretamente essere meglio tutelati dalla qualificazione della clausola come

171 Ciò posto, occorre nondimeno rilevare che la direttiva 93/13/CEE ha effettuato solo

un’armonizzazione parziale e minima delle legislazioni nazionali relativamente alle clausole abusive, riconoscendo al contempo agli Stati membri la possibilità di garantire un livello di tutela per i consumatori più elevato di quello previsto dalla direttiva stessa, potendo essi (art. 8) «adottare o mantenere, nel settore disciplinato dalla (…) direttiva, disposizioni più severe,

compatibili con il Trattato, per garantire un livello di protezione più elevato per il consumatore» (Corte di

Giustizia, 3 giugno 2010, Caja de Ahorros y Monte de Piedad de Madrid, C-484/08, Racc. pag. I-4785, punti 28 e 29). Di conseguenza, niente osta a che uno Stato preveda una normativa che, nel rispetto del diritto dell’Unione, permetta di dichiarare la nullità complessiva di un contratto stipulato tra un professionista ed un consumatore e contenente una o più clausole abusive, qualora ciò risulti garantire una migliore tutela del consumatore (Corte di Giustizia

Jana Pereničová,Vladislav Perenič contro SOS financ, spol. s r.o.. Corte Giust., I sez., 15 marzo

abusiva, con conseguente sanzione di nullità, piuttosto che da una sua interpretazione secondo il significato in astratto più favorevole al consumatore e dunque tale da espungerne i profili di vessatorietà172.

Del resto sembra essere questo il motivo, ossia assicurare l’eliminazione dai contratti del consumatore delle clausole abusive, per cui l’art 5 della direttiva esclude la possibilità di una simile interpretazione nelle procedure ex art 72 della medesima direttiva, e cioè nelle azioni di inibitoria173.

Il paradosso di un’interpretazione favorevole al consumatore che si risolve in un pregiudizio concreto agli interessi dello stesso non sembra comunque poter condurre a contestare radicalmente l’adeguatezza dello strumento ermeneutico di cui all’art. 35, comma 2 cod. cons. alla tutela del consumatore, e in quest’ottica174 sembrerebbe un mero

fraintendimento addebitare alla direttiva e alla disciplina di attuazione di essersi limitate a prevedere, come conseguenza della violazione del dovere di chiarezza, non una regola sostitutiva della volontà delle parti in via di integrazione eteronoma ma solo un’interpretazione contra proferentem175. Seguendo questo orientamento si finirebbe per

accreditare la possibilità che una regola di comportamento – l’obbligo di redigere le clausole in modo chiaro e comprensibile – si trasformi in una regola di validità e dia luogo, in caso di violazione, ad un’eterointegrazione della regola privata da parte dell’ordinamento176.

Poniamo che, dinanzi alla clausola oscura, si pongano come alternative due interpretazioni: la prima che circoscrive il vantaggio del professionista senza compromettere la validità della

172 ROPPO V., La nuova disciplina delle clausole abusive nei contratti tra imprese e consumatori, cit.,

in part. 106 s.

173 SCOGNAMIGLIO C., Principi generali e disciplina speciale nell’interpretazione dei contratti dei

consumatori, cit., in part. 963; RIZZO V., Trasparenza e contratti del consumatore (la novella al codice civile), cit., in part. 99.

174 SCOGNAMIGLIO C.,op. cit., in part. 963

175 SCIARRONE ALIBRANDI A, op. cit., in part. 727s. 176 SCOGNAMIGLIO C., op. cit., in part., 963s.

clausola; la seconda, almeno all’apparenza la meno favorevole, che giudica abusiva la clausola stessa.

A parere di alcuni177 è paradossale considerare la seconda interpretazione, che conduce alla

declaratoria di vessatorietà e dunque di nullità, quella con effetti in concreto più vantaggiosi per il consumatore, in quanto sarebbe come ammettere che l’art. 36, comma 3 cod. cons. possa assorbire l’ambito di operatività dell’art. 35, comma 2 cod. cons. Difatti, perlomeno rari, se non residuali, sarebbero i casi in cui la conservazione della clausola opaca, nella sua accezione più favorevole al consumatore, verrebbe a prevalere sulla sua elisione178.

Ovviamente, il quadro muterebbe se si ritenesse che quando una clausola preformulata opaca si presti a due interpretazioni debba prevalere sempre quella che esclude l’abusività. Detta soluzione, però, sembrerebbe sottendere che si continui a riservare un ruolo di rilievo all’art. 1367 c.c. nell’area dei rapporti tra consumatore e professionista.

Tuttavia, gli ambiti applicativi dell’abusività e dell’intrasparenza, ed in altri termini quelli della disciplina della vessatorietà e dell’interpretazione più favorevole al consumatore, pur nominalmente distinti appaiono toccarsi ed anzi fatalmente impingere l’uno nell’altro, tant’è che spesso l’intrasparenza viene ritenuta sinonimo o sintomo di abusività.

Ci si è chiesti in dottrina, invero, se la differenziazione tra i primi due commi dell’art. 35 cod. cons. si rifletta sulla diversa sanzione da collegare alle due ipotesi ivi previste in caso di loro violazione179, tenendo comunque presente che, effettivamente, l’art. 35 cod. cons. non

si esprime riguardo ad una sanzione diretta per la violazione dell’obbligo di predisporre

177 Così, ROPPO V., La nuova disciplina delle clausole abusive nei contratti tra imprese e

consumatori,cit., in part. 295.

178 Elisione che comporta una lacuna del regolamento contrattuale colmabile, a parere dei

più, mediante quel diritto dispositivo più utile al consumatore.

179 Nella vigenza del 1469 quater c.c., GIAMMARIA P., sub 1469 quater, cit., in part.1026,

riteneva che fosse inefficace la clausola non trasparente o non chiara ed efficace, ma con il limite dell’interpretazione sfavorevole al professionista la clausola conoscibile ma di dubbia interpretazione.

clausole chiare e comprensibili, e che del resto l’art. 36, comma 1 cod. cons. dichiara vessatorie soltanto le clausole di cui agli artt. 33 e 34 cod. cons.

In dottrina sono state formulate diverse teorie circa le conseguenze della violazione del generale precetto di cui al primo comma della norma e dunque dell’obbligo di trasparenza. Ci si è chiesti, in particolare, se l’obbligo di “parlare chiaro” individui un requisito a sé stante che possa autonomamente fondare il giudizio di vessatorietà, o se, piuttosto, sia da qualificare in termini di presupposto o di elemento indicativo della vessatorietà medesima. …una prima tesi: il difetto di trasparenza come un mero indice

Una prima tesi considera il difetto di trasparenza un mero indice da affiancare ad altri parametri al fine di far scattare una sanzione. Detta tesi viene usualmente supportata con il mancato richiamo tra l’articolo in esame ed il successivo art. 36, o con la considerazione che lo squilibrio determinante la vessatorietà di una clausola è tutto da dimostrare dinanzi ad una clausola incomprensibile o non chiara, dovendo l’interprete, prima di dichiarare la vessatorietà, fare una verifica ulteriore sulla presenza dello squilibrio a vantaggio del predisponente180.

…una seconda tesi: il difetto di trasparenza come un’autonoma ipotesi di vessatorietà

Da alcuni si argomenta che leggere il difetto di trasparenza quale indice di vessatorietà condurrebbe ad uno svuotamento sostanziale della norma in parola: la non trasparenza individuerebbe, infatti, un ambito più ampio ed esteso della vessatorietà e non la presupporrebbe; pertanto, introdurre la distinzione tra clausole non trasparenti vessatorie e non vessatorie apparirebbe scarsamente rilevante da un punto di vista operativo.

A tale premessa conseguirebbe l’idoneità della violazione dell’obbligo di trasparenza a fondare autonomamente la declaratoria di nullità della clausola, essendo tale da impedire la

180 LENER G., La nuova disciplina delle clausole vessatorie nei contratti dei consumatori, cit., in

valida formazione dell’accordo, a prescindere da ogni altra valutazione in termini di vessatorietà181.

Questa tesi, dunque, fa discendere immediatamente e direttamente dalla violazione del precetto una sanzione, affermando che la clausola intrasparente integra un’autonoma ipotesi di vessatorietà, da sanzionarsi con un’autonoma pronuncia di inefficacia182.

Invero, l’opinione appena riferita non pare trovare supporto nel dato positivo, in quanto l’art 35, comma 1 cod. cons. non fa riferimento al termine vessatorietà e nell’art. 33 cod. cons., del resto, non viene menzionata la trasparenza183.

Tuttavia, sembra orientata in quest’ultimo senso quella giurisprudenza per la quale, se per applicare la sanzione il giudice dovesse fare un accertamento ulteriore sulla concreta esistenza del pregiudizio, rimarrebbe privo di significato l’obbligo di trasparenza, e che conseguentemente ritiene la non trasparenza un’ipotesi di vessatorietà della clausola in quanto detto requisito è uno strumento per il raggiungimento dell’equilibrio contrattuale184 .

Premesso che dalla lettura dell’art. 34, comma 2 cod. cons. emerge come la mancanza di trasparenza delle clausole relative all’oggetto del contratto e all’adeguatezza del corrispettivo estenda la valutazione di vessatorietà anche a suddette previsioni, una parte della dottrina individua nella non trasparenza della formulazione delle clausole negoziali un elemento idoneo a fondare il giudizio di vessatorietà, ma in quanto manifestazione di contrarietà a buona fede, seppure da valutarsi nel più ampio ambito di detto sindacato. In tal modo, si evidenzia un nesso tra la valutazione della vessatorietà e l’indagine sulla

181 GIAMMARIA P., sub 1469 quater, cit., in part. 1023-1025.

182 MASUCCI S.T., Art. 1469 quater, cit., in part. 155; GIAMMARIA P., sub art. 1469

quater, cit., MORELATO E., Nuovi requisiti di forma nel contratto: trasparenza contrattuale e neoformalismo, cit., Trib. Roma 7.07.1999.

183 SIRGIOVANNI B., Interpretazione del contratto non negoziato con il consumatore, cit., in part.

758; DI GIOVINE G., sub art 1469 quater, cit., in part. 595.

184 App. Roma, 24.09.2002; Trib. Roma, 21.01.2000; Trib. Bergamo, 10.05.2005; Trib.

mancanza di trasparenza, nesso che, nelle varie ricostruzioni, può manifestarsi più o meno stretto185.

Nell’ambito di detta teoria, è da segnalare quell’orientamento che intende l’obbligo in parola quale estrinsecazione del più generale obbligo di comportamento secondo buona fede e correttezza rilevante nella fase precontrattuale e, pertanto, quale criterio di valutazione del comportamento del contraente-professionista186 .

Per altri, in virtù di un collegamento sistematico tra 35, comma 1 e 36, comma 1 cod. cons. e tra i principi di trasparenza e di prevenzione dello squilibrio, la sanzione diretta rispetto al difetto di trasparenza sarebbe un’ipotesi di vessatorietà della clausola ex art. 36, comma 1 cod. cons.187

185 RIZZO V., Trasparenza e contratti del consumatore (la novella al codice civile), cit., in part. 59 ss.;

BARENGHI A., sub art. 1469-bis, cit., in part. 44. Per le questioni relative, in particolare, al rapporto tra validità e regole di correttezza, vedasi. D’AMICO G., “Regole di validità” e

principio di correttezza nella formazione del contratto, Napoli, 1996.

In giurisprudenza, Trib. Roma, 21 gennaio 2000.

186 Cfr. SIRENA P., sub art. 1469 quinquies, in (a cura di) E. Gabrielli, E. Minervini(a cura

di), I contratti dei consumatori., Torino, 2005, in part. 152.

187 RIZZO V., Trasparenza e contratti del consumatore (la novella al codice civile), Napoli, cit., in

part. 59 ss., per il quale la violazione dell’obbligo di trasparenza farebbe sorgere in capo al consumatore il diritto di azionare, anche in via cumulativa, il rimedio risarcitorio (secondo la disciplina della responsabilità precontrattuale), l’interpretazione più favorevole nonchè quello invalidatorio poiché l’assenza di trasparenza potrebbe configurarsi come una forma di vessatorietà. Così anche SIRGIOVANNI B., op. cit., in part. 759, purchè la scelta tra i rimedi sia data al solo consumatore e purchè il difetto di trasparenza sia da considerare non elemento sintomatico della vessatorietà bensì, in base al combinato disposto tra 35, comma 1 e 34 comma 2, un presupposto per assoggettare al giudizio di vessatorietà clausole che ne sarebbero altrimenti sottratte e cioè le clausole che individuano oggetto e corrispettivo; BARENGHI A., sub art. 1469-bis, cit., in part. 44. Per le questioni relative, in particolare, al rapporto tra validità e regole di correttezza,V. D’AMICO, “Regole di validità” e principio di

Tra le varie opinioni, inoltre, ve ne è una che fa discendere dalla violazione della prescrizione di trasparenza la mera applicazione dell’interpretatio contra stipulatorem188,

con ciò creando una sovrapposizione tra i primi due commi dell’art. 35 cod. cons., che tuttavia non è affatto scontata: difatti, da una parte, il dubbio potrebbe non derivare dalla mancanza di chiarezza e, d’altra parte, un testo non comprensibile non comporta dubbio ma soltanto oscurità.

Da ciò discende, per alcuni Autori, che il secondo comma della norma in parola sarebbe soltanto una delle sanzioni riconducibili alla violazione dell’obbligo di trasparenza189,

mentre per altri190 il medesimo sarebbe non un canone ermeneutico della mancanza di

trasparenza prevista dal comma precedente bensì un criterio indipendente, non concernendo le ipotesi di mancanza di chiarezza e comprensibilità di cui al comma 1 (ossia ipotesi di oscurità) ma ipotesi di ambiguità (e dunque ipotesi di pluralità di possibili significati di una clausola).

Ancora, per alcuni l’art. 35, comma 1 cod. cons. costituirebbe un’ipotesi speciale di responsabilità precontrattuale che potrebbe definirsi oggettiva, in quanto si realizzerebbe per il solo fatto che il professionista abbia usato un testo non chiaro ovvero non comprensibile.

Il consumatore, dato lo stretto collegamento tra tale comma e quello successivo, in presenza di una clausola non trasparente avrebbe la facoltà di scegliere tra l’attribuzione alla clausola del significato più favorevole e l’invalidità191.

Se è vero che detta tesi ha il pregio di collegare i commi 1 e 2 della norma in parola evitandone la sovrapposizione, tuttavia essa da un lato non prende in considerazione il

188 SALANITRO N., La direttiva comunitaria sulle clausole abusive e la disciplina dei contratti

bancari, in Banca borsa tit. cred., 1993, I, 550 ss.

189 SIRGIOVANNI B., op. cit., in part. 757.

190 STELLA RICHTER G., op. cit., in part. 1027 ss.

rapporto esistente tra gli artt. 35, comma 1 e 34, comma 2 cod. cons. e dall’altro, considerando l’assenza di trasparenza una causa di inefficacia di una o più clausole, esula dal dato positivo, visto che non sembra rinvenibile nel sistema alcuna disposizione che colleghi all’obbligo di redigere le clausole in modo chiaro e comprensibile la sanzione dell’inefficacia.

Riconnette all’inadempimento dell’obbligo di chiarezza e comprensibilità il rimedio risarcitorio altra Dottrina192, escludendo che il dovere incombente sul professionista possa

configurarsi quale mero onere di parlare chiaro, il mancato assolvimento del quale semplicemente gli precluderebbe la possibilità di far prevalere il significato a lui più favorevole193.

Altra ipotesi194 ricostruttiva ritiene che la violazione dell’obbligo di trasparenza faccia

sorgere in capo al consumatore il diritto di esperire diversi rimedi, i quali, laddove compatibili, potrebbero operare cumulativamente. Sarebbero configurabili, quindi: il risarcimento del danno secondo la disciplina della responsabilità precontrattuale; l’applicazione dell’interpretazione più favorevole; la sanzione della nullità, in quanto l’assenza di trasparenza potrebbe configurarsi quale forma di vessatorietà. Peraltro la mancanza di chiarezza e comprensibilità non comporterebbe necessariamente e automaticamente la presenza della vessatorietà, che andrebbe invece verificata caso per caso, ma potrebbe comunque costituire uno degli elementi sintomatici di quest’ultima. Tra i seguaci di detta tesi c’è, altresì, chi195 precisa, in primo luogo, che la scelta tra i

possibili rimedi andrebbe rimessa solo al consumatore e, in secondo luogo, che il difetto di

192 SCOGNAMIGLIO C., Principi generali e disciplina speciale nell’interpretazione dei contratti dei

consumatori, cit., in part. 947 ss.

193 SIRGIOVANNI B., op. cit., in part. 758.

194 RIZZO V., Art. 1469 quater c.c., cit., in part., 788; RIZZO V., Trasparenza e contratti del

consumatore (la novella al codice civile), cit., in part. 54;

trasparenza non potrebbe atteggiarsi a elemento sintomatico della vessatorietà di una clausola, in quanto tale conclusione non sarebbe coerente col dato positivo, bensì potrebbe soltanto costituire, in base al combinato disposto degli artt. 35, comma 1 e 34, comma 2 cod. cons., un presupposto per assoggettare al giudizio di vessatorietà clausole che altrimenti ne sarebbero sottratte. Difatti, per l’art. 34, comma 2 cod. cons. le clausole relative al contenuto delle prestazioni, e in particolare quelle che fissano il corrispettivo di beni e servizi, sono sottratte al giudizio di vessatorietà purchè individuino detti elementi in modo chiaro e comprensibile; in questo caso il difetto di trasparenza svolgerebbe la funzione di estendere il campo di applicazione del giudizio di vessatorietà dallo squilibrio normativo a quello economico196.