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B).1 “Chiarezza” e “comprensibilità”

INTERPRETAZIONE DEL CONTRATTO CON IL CONSUMATORE

III. B).1 “Chiarezza” e “comprensibilità”

Il primo comma dell’art. 35 cod. cons. pone a carico del professionista una prescrizione di chiarezza e comprensibilità delle clausole del contratto, frequentemente compendiata nel cd. obbligo di trasparenza, che dovrebbe esser tale da consentire al consumatore di prestare

76 L’art. 5 della menzionata direttiva dispone che “nel caso di contratti di cui tutte le clausole o

talune clausole siano proposte al consumatore per iscritto, tali clausole devono essere sempre redatte in modo chiaro e comprensibile. In caso di dubbio sul senso di una clausola, prevale l’interpretazione più favorevole al consumatore. Questa regola di interpretazione non è applicabile nell’ambito delle procedure previste all’articolo 7, § 2”.

un’adesione consapevole e informata, e da evitare così che il soggetto forte del negozio, mediante formule vaghe o tecniche, possa falsare le conseguenze derivanti dalla stipulazione77.

Peraltro, opportunamente il criterio della trasparenza è richiamato anche dall’art. 2, comma 2 cod. cons. e collocato, dunque, tra i diritti fondamentali dei consumatori e degli utenti. Dalla lettera della norma da ultimo menzionata si percepisce subito che intercorrono delle differenze tra obbligo di informazione e obbligo di trasparenza, le quali si manifestano anzitutto nell’osservazione che l’obbligo di trasparenza sussiste nella sola area del contratto unilateralmente predisposto e delle condizioni di contratto, grava sul predisponente a tutela della controparte e ha ad oggetto elementi del contratto, mentre invece gli obblighi informativi prescindono dalle modalità di conclusione del negozio, hanno carattere reciproco e riguardano circostanze esterne al contratto stesso78 .

Il menzionato obbligo di trasparenza, sulla base dell’art. 35, comma 1 cod. cons., sembra poter essere tradotto nell’obbligo gravante sul professionista di predisporre la clausola in modo che essa sia leggibile tipograficamente, che ne sia comprensibile il significato senza necessità di sforzi particolari, competenze specifiche, aiuti esterni qualificati, e, dunque, in altri termini, che abbia un significato inequivocabile, non ingannevole ed esauriente.

Tuttavia, la definizione dei concetti di chiarezza e comprensibilità è un’operazione tutt’altro che semplice e definitiva, ed infatti ha dato origine ad accesi dibattiti.

A titolo di esempio, si può ricordare che vi è chi esclude che l’art. 35 cod. cons. possa configurare un obbligo di non utilizzare termini tecnici e giuridici, data la rilevanza proprio

77 SIRGIOVANNI B., Interpretazione del contratto non negoziato, cit., in part. 757.

78 BENUCCI S., sub art. 2, in Vettori G. (a cura di), Commentario Codice del Consumo

di detti termini per identificare correttamente le operazioni ed apparendo, peraltro, ragionevole pensare che, in questi casi, al contratto si accompagnino materiali esplicativi 79 .

Invero, occorre osservare come “chiarezza” e “comprensibilità” (riunite di frequente, come anticipato, nell’espressione “obbligo di trasparenza”) non sono concetti sovrapponibili e fungibili, seppure tra loro connessi e spesso ritenuti endiadi. Infatti, esemplificando, dalla prescrizione in termini di chiarezza emerge la necessità dell’utilizzo, da parte del professionista, di meccanismi redazionali semplici e leggibili nella presentazione del contratto (con riferimento, per fare un esempio, alla dimensione dei caratteri tipografici, rimanendo, dunque, escluse le grafie microscopiche in quanto ostative alla formazione di una volontà conforme del consumatore) mentre dal requisito della comprensibilità discende l’imperativo di accessibilità della lingua e della terminologia utilizzate; quest’ultima, in particolare, deve risultare intelligibile secondo parametri di ordinaria diligenza e corrispondere ad un livello di tecnicità ragionevole, non eccessivamente complesso e che comunque consenta, anche mediante spiegazioni o rinvii ad elementi extratestuali, un’effettiva comprensione80 .

Resta fermo che ciascuno dei citati attributi dell’informazione ha natura fortemente indeterminata e pertanto rimessa in definitiva all’interprete, che dovrà analizzarne la

79 MASUCCI S.T., sub art. 1469-quater, in Barenghi A. (a cura di), La nuova disciplina delle

clausole vessatorie nel codice civile, Napoli, 1996, 138 ss. , in part. 150; RIZZO V., Trasparenza e contratti del consumatore (la novella al codice civile), Napoli, 1997, in part. 1191.

80 Vi è dunque, da un lato, l’onere del professionista di evitare una terminologia criptica,

mentre dall’altro è richiesto al consumatore di attivarsi, nei limiti della diligenza media, per comprendere il significato delle singole clausole. Si precisa che, in caso di relatio, l’obbligo di trasparenza gravante sul professionista si amplia: esso, infatti, comprende la clausola negoziale di rinvio, nonchè il documento relato. La recente giurisprudenza di merito (vedasi Trib. Ravenna, 22 febbraio 2012, in Contratti, 2012, 4, 283) ha ritenuto di estendere l’esigenza di chiarezza e trasparenza ex art. 35 cod. cons. anche agli articoli 1341 e 1342 c.c.

presenza per capire se ricorra o meno un’informazione adeguata alla concreta fattispecie e, dunque, soddisfacente le esigenze di trasparenza.

La ragione giustificatrice della prescrizione di trasparenza può essere, dunque, individuata nell’esigenza di garantire al consumatore un effettivo accesso al contenuto del contratto: la chiarezza nella redazione e la comprensibilità della terminologia utilizzata sono funzionali alla comprensione effettiva del rapporto contrattuale cui lo stesso consumatore va a vincolarsi81.

In particolare, si può notare come il legislatore ricorra di frequente alla prescrizione della trasparenza proprio in funzione di tutela della parte contrattuale debole, di riduzione dell’asimmetria e dello squilibrio di informazioni, conoscenze e mezzi in generale che fatalmente vanno ai danni di quest’ultimo.

Una parte della dottrina riconduce l’obbligo di chiarezza e comprensibilità di cui all’art. 35 cod. cons. al generale dovere di buona fede gravante sui contraenti, creando un collegamento da cui fa derivare un’integrazione del citato obbligo di chiarezza e comprensibilità, rendendolo tale da ricomprendere anche un dovere di sintesi e di considerazione dei fattori soggettivi di ciascun consumatore idonei a rendere più difficile la comprensione del contratto82. Quanto al menzionato dovere di sintesi, si può notare che

esso, peraltro, è stato già previsto nella legislazione bancaria e nella delibera CICR del 4 marzo 2003, mentre, per ciò che concerne il secondo degli obblighi appena citati, questo si tradurrebbe nel dovere per il predisponente di attivarsi al fine di rendere il contratto

81 In questo senso è assai indicativo il Considerando n. 20 della direttiva 93/13/CEE:

“considerando che i contratti devono essere redatti in termini chiari e comprensibili, che il consumatore deve

avere la possibilità effettiva di prendere conoscenza di tutte le clausole e che, in caso di dubbio, deve prevalere l’interpretazione più favorevole al consumatore”.

82 In tal senso, v. MORELATO E., Nuovi requisiti di forma nel contratto: trasparenza

comprensibile al singolo consumatore, tenendo in considerazione svariati elementi quali, ad esempio, l’età oppure gli impedimenti fisici o psichici.

La chiarezza e la comprensibilità costituiscono, quindi, attribuiti da riconoscere alla trasparenza, ossia a quella informazione utile alla formazione di un consenso responsabile del consumatore83, esaustiva (o completa), chiara e comprensibile, leale ed accessibile.

Evidentemente, una volta identificati i caratteri della trasparenza, il problema diviene capire quando un’informazione soddisfa e, dunque, merita dette qualifiche.

Peraltro, non vi è una sola nozione di trasparenza ma tante diverse nozioni di trasparenza dipendenti dal contesto interessato. Difatti, l’art. 5, comma 3 cod. cons. prescrive la chiarezza e la comprensibilità delle informazioni, costituendo così una norma di chiusura riassuntiva degli obblighi specifici di cui alla normativa consumeristica e impositiva di uno standard informativo adeguato per le ipotesi in cui invece la legge tace. Invero, manca un coordinamento adeguato tra l’enunciazione di principio di cui all’art. 5 cod. cons. e le singole ipotesi relative ai vari settori in cui l’obbligo in parola è operante (ad esempio, cfr. artt. 47 ss. e 52 ss. cod. cons.).

Tuttavia, l’interprete è comunque tenuto a vagliare se il diritto del consumatore ad essere informato è stato soddisfatto nei modi e con i contenuti previsti dalla normativa.

In ogni caso, si è evidenziato che la legislazione consumeristica non ha del tutto azzerato il dovere di autoinformazione emergente dall’art. 1341, comma 1 c.c., per sostituirlo con un incondizionato diritto del consumatore a venire informato. Difatti, dovendosi il canone della diligenza pur sempre iscriversi nell’ambito della correttezza, attraverso l’art 1337 c.c. potrà esser sanzionato il consumatore che deliberatamente si sia mostrato negligente e che ciononostante abbia chiesto la declaratoria di nullità causata da una sua ignoranza colpevole.

83 PAGLIANTINI S., voce Trasparenza contrattuale, in Enc. dir., Annali V, Milano, 2012,

Peraltro, a giudizio di alcuni va sottolineato che, quando un contratto tra professionista e consumatore è concluso con modalità tali da far maturare in chiunque la consapevolezza che il futuro rapporto sarà regolato da condizioni generali, la legge si limita tendenzialmente a fissare i presupposti necessari affinché un qualsiasi aderente possa trovarsi nelle condizioni di informarsi. Si pensi, a quest’ultimo proposito, alle fattispecie di conclusione del contratto a mezzo di distributori automatici o di impianti meccanici di lavaggio, ovvero ai quotidiani rapporti di massa84.