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F) In particolare: l’art 35, comma 2 cod cons e l’art 1367 c.c.

INTERPRETAZIONE DEL CONTRATTO CON IL CONSUMATORE

S. T., La nuova disciplina delle clausole vessatorie nel codice civile, cit., in part 140.

III. F) In particolare: l’art 35, comma 2 cod cons e l’art 1367 c.c.

Ponendo in rapporto l’art. 35, comma 2 cod. cons. e l’art. 1367 c.c., si deve riconoscere nella prima norma il criterio fondamentale per l’interpretazione oggettiva dei contratti del consumatore, con la precisazione che la regola interpretativa opera con riferimento alla singola clausola dubbia, selezionandone il significato più favorevole al consumatore, mentre pare estraneo al criterio ermeneutico in parola l’obiettivo di realizzare – attraverso il giudizio di invalidità ex art 36 cod. cons. – un risultato pratico complessivo più vantaggioso per il consumatore133.

La regola codicistica dell’art 1367 c.c. spinge l’interprete a prediligere, in caso di dubbio, il senso idoneo a dare al contratto o alle singole clausole qualche effetto anziché il senso secondo cui non ne avrebbero, e pertanto viene indicato come il principio della conservazione, dato che oltre a chiarire il significato di un enunciato ambiguo mira anche a assicurarne l’efficacia. La regola, dunque, concerne sia il piano ermeneutico sia quello sostanziale. Ciò appare confermato dall’art 5:106 PECL ove è stabilito che le clausole contrattuali devono esser interpretate nel senso in cui esse sono lecite ed efficaci. Quest’ultima disposizione però, a differenza dell’art 1367 c.c., non fa espressi riferimenti al “dubbio”, scelta confermata anche, ad esempio, dall’art 4.5 Principi Unidroit e dall’art II.8:106 DCFR; tale scelta potrebbe spiegarsi considerando come implicito il dubbio interpretativo oppure considerando non essenziale detto richiamo in ragione dell’intrinseca vaghezza o ambiguità di qualsiasi testo da interpretare.

L’essere la sussistenza di un dubbio un presupposto di operatività del principio di conservazione a livello ermeneutico, implica che esso non possa essere sciolto mediante il

133 SCOGNAMIGLIO C., Principi generali e disciplina speciale nell’interpretazione dei contratti dei

consumatori, cit., in part. 962. Di contrario avviso SCIARRONE ALIBRANDI A, Prime riflessioni sulla direttiva comunitaria 93/13 (Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori),

ricorso alla comune intenzione delle parti, poiché essa, difatti, ancora non è stata determinata, o quantomeno non lo è stata nella sua interezza, né attraverso il richiamo di elementi presuntivi e probabilistici, quali la volontà in astratto o la volontà ipotetica134. Dal

rifiuto di una ricostruzione in chiave volontaristica, incentivato dalla sussistenza del dubbio, peraltro, deriva la collocazione dell’art 1367 c.c., da parte di una dottrina, tra le disposizioni di interpretazione oggettiva ed in funzione sussidiaria rispetto a quelle di interpretazione soggettiva135.

Si ritiene che il principio di conservazione abbia portata generale, applicandosi a tutti gli atti giuridici – dai legislativi ai negoziali, dagli amministrativi ai processuali – altrimenti destinati all’inefficacia, la cui formulazione sia, in grado maggiore o minore, sempre ambigua o vaga, e il cui significato si chiarisce solo alla fine del procedimento ermeneutico. Quanto appena detto parrebbe confermare la ragione dell’omissione di riferimenti espliciti al dubbio136.

Invero, si è osservato che il principio di conservazione non sembra influenzato dai principi della gerarchia o del gradualismo, che secondo l’orientamento classico, come detto, governerebbero il rapporto tra le varie regole interpretative, soggettive ed oggettive, codicistiche; anzi, detto canone sembra confermare la circolarità dell’interpretazione e la tendenziale contestualità nell’impiego dei criteri ermeneutici idonei alla ricostruzione del senso, produttivo di effetti, del regolamento contrattuale137.

Ci si deve domandare, però, se l’applicazione del criterio conservativo sia finalizzata a perseguire un qualche effetto oppure il massimo effetto utile.

134 RIZZO V., Interpretazione dei contratti e relatività delle sue regole, Napoli, 1985, in part. 347. 135 BIGLIAZZI GERI L., L’interpretazione del contratto , cit., in part. 287.

136 PENNASILICO M., Contratto e interpretazione. Lineamenti di ermeneutica contrattuale,

Torino, 2012, in part. 25.

137 PENNASILICO M., Contratto e interpretazione. Lineamenti di ermeneutica contrattuale, cit.,

Secondo un primo orientamento, ogni atto giuridico, nel dubbio, deve esser inteso nel suo massimo significato utile, poiché l’ordinamento tende a conservare per quanto possibile lo scopo perseguito dalle parti.

Secondo un altro orientamento, invece, la dichiarazione ambigua o plurivoca andrebbe intesa nel senso che le consenta di avere un effetto, e non invece il massimo effetto utile. Tuttavia la norma codicistica in parola non fornisce indicazioni precise circa l’estensione dell’ambito applicativo del principio in essa contenuto. Invero, il legislatore si mostra consapevole della portata, potenzialmente molto ampia, dell’articolo in oggetto, come si evince dalla Relazione del Guardasigilli al progetto preliminare del libro delle obbligazioni (n. 215) ove si afferma che al principio conservativo è stata data una formulazione che riesce a farlo intendere nel suo massimo contenuto utile.

Peraltro detto principio deve essere considerato oggi anche in relazione all’attuale contesto normativo, caratterizzato dalla centralità della disciplina di derivazione comunitaria sulla protezione del contraente debole, la quale si può pensare che necessiti della massima realizzazione possibile del principio di conservazione del regolamento negoziale, proprio in funzione di tutela del soggetto svantaggiato138.

Pertanto, secondo parte della dottrina, il principio di conservazione impone di scegliere, tra più effetti possibili, l’effetto che può dirsi migliore, nel senso di più conveniente alla soluzione pratica del problema ermeneutico; in altri termini, si tratta di selezionare il miglior effetto possibile in relazione al caso concreto, con una risposta che risulta relativizzata rispetto alle differenti concrete situazioni. In quest’ottica, il migliore effetto utile può esser anche talvolta quello minore perché meno gravoso per il soggetto interessato, se si considera l’ipotesi di un contratto con obbligazioni a carico del solo proponente. In

138 PENNASILICO M., Contratto e interpretazione. Lineamenti di ermeneutica contrattuale, cit., in

definitiva, pare non potersi neppure escludere che il principio di conservazione possa essere attuato in modi differenti sulla base delle diverse figure e discipline contrattuali. L’effetto migliore, in relazione al caso concreto, potrà essere colto attraverso un giudizio di meritevolezza, che dunque pare assumere la funzione di limite del principio di conservazione; del resto, se gli interessi non appaiono meritevoli di tutela, non ci potrà essere conservazione del contratto o di singole clausole. L’art 1367 c.c. presuppone, difatti, la serietà degli intenti negoziali, e non opera affatto se tali intenti si rivelino illeciti, futili o irrilevanti o comunque non conformi ai valori normativi dell’ordinamento.

Del resto, se si pensa che il principio di conservazione deve esser riferito al complessivo regolamento contrattuale il quale ovviamente è aperto all’integrazione anche da parte di fonti esterne, il limite all’operatività del principio di conservazione costituito dal controllo di meritevolezza va ricondotto non tanto alla volontà o all’intento pratico delle parti, quanto piuttosto ai valori di fondo cui si ispira l’ordinamento.139

Si è osservato, già in relazione al rapporto tra 1367 e 1370 c.c., che la possibilità di arrivare a un risultato più favorevole al consumatore attraverso una ricostruzione della clausola che sia idonea a portare all’eliminazione della stessa dal contratto, perché ad esempio qualificata vessatoria e non specificamente approvata, costituirebbe applicazione del criterio ex art 1370 c.c., che dovrebbe, dunque, prevalere rispetto al principio di conservazione del contratto. Mutatis mutandis, si potrebbe riportare detto interrogativo e detto ragionamento alla normativa attuale, concludendo per la prevalenza dell’art 35, comma 2 cod. cons. sull’art 1367 c.c.; in tale ordine di idee, l’esigenza di mantenimento degli effetti giuridici dei contratti dei consumatori potrebbe venire in considerazione solo all’esito dell’eliminazione dal contratto delle clausole abusive, per assicurare il bene o il servizio avvertito dal consumatore come necessario per il soddisfacimento dei propri bisogni.

139 PENNASILICO M., Contratto e interpretazione. Lineamenti di ermeneutica contrattuale, cit., in

Invero, in alcune ipotesi gli interessi dei consumatori potrebbero essere meglio tutelati dalla qualificazione della clausola come abusiva con conseguente sanzione di nullità piuttosto che da una sua interpretazione secondo il significato più favorevole al consumatore e dunque tale da espungerne i profili di vessatorietà140. Del resto sembra essere questo il motivo (per

assicurare l’eliminazione dai contratti del consumatore delle clausole abusive) che l’art 5 della direttiva esclude la possibilità di una simile interpretazione nelle procedure ex art 72 della direttiva e cioè nelle azioni di inibitoria141. Il paradosso di un’interpretazione

favorevole al consumatore che si risolve in un pregiudizio agli interessi dello stesso non sembra poter condurre a contestare radicalmente l’adeguatezza dello strumento ermeneutico dell’art 35 comma 2 alla tutela del consumatore, e in quest’ottica142 sembra

essere un mero fraintendimento addebitare alla direttiva e alla disciplina di attuazione di essersi limitate a prevedere, come conseguenza della violazione del dovere di chiarezza, non una regola sostitutiva della volontà delle parti in via di integrazione eteronoma ma solo un’interpretazione contra proferentem143. Seguendo questo orientamento si finirebbe per

accreditare la possibilità che una regola di comportamento (l’obbligo di redigere le clausole in modo chiaro e comprensibile) si trasformi in una regola di validità e dia luogo, in caso di violazione, ad un’eterointegrazione della regola privata da parte dell’ordinamento144.

140 ROPPO V., La nuova disciplina delle clausole abusive nei contratti tra imprese e consumatori, in

Riv. Dir. Civ., 1994, I, in part. 106 s.

141 SCOGNAMIGLIO C., Principi generali e disciplina speciale nell’interpretazione dei contratti dei

consumatori, cit., in part. 963; RIZZO V., Trasparenza e contratti del consumatore (la novella al

codice civile), cit., in part. 99.

142 SCOGNAMIGLIO C. Principi generali e disciplina speciale nell’interpretazione dei contratti dei

consumatori, cit., in part. 963

143 SCIARRONE ALIBRANDI A, Prime riflessioni sulla direttiva comunitaria 93/13 (Clausole

abusive nei contratti stipulati con i consumatori), cit., in part. 727 s.

144 SCOGNAMIGLIO C., Principi generali e disciplina speciale nell’interpretazione dei contratti dei

Alcuni autori sostengono che l’aver fatto dell’interpretatio contra proferentem di cui all’art. 35, comma 2 cod. cons. il criterio ermeneutico principale per i contratti dei consumatori, consente di affermare che in questa materia la gerarchia delle norme ermeneutiche sarebbe stata profondamente mutata: per alcuno nel senso di una supremazia di detto criterio nell’ambito delle regole di interpretazione oggettiva, ferma restando la priorità delle regole di interpretazione soggettiva; per altri, rovesciando la tradizionale gerarchia, nel senso di anteporre le regole oggettive rispetto a quelle soggettive e, nell’ambito del gruppo delle regole oggettive, di anteporre alle altre la norma di cui all’art. 35, comma 2 cod. cons.145.

In tema di contratti dei consumatori può apparire arduo ragionare in termini di comune intenzione determinabile concretamente, ma non pare – almeno per parte della dottrina146

condivisibile la soluzione consistente nell’escludere in detto campo le norme di interpretazione soggettiva. Piuttosto, potrebbe sostenersi che l’interpretazione dei contratti

145 Così, COSTANZA M., Note introduttive. Coordinamento tra vecchia e nuova disciplina, cit., in

part. 792. C’è da chiedersi, in effetti, se la disciplina di matrice europea più che novità effettive abbia comportato un’inversione dell’ordine tradizionale dei criteri ermeneutici. Gli artt. 4 e 5 della citata direttiva suggeriscono di compiere il procedimento interpretativo all’interno del contratto, affidando alla valutazione degli interessi di una parte una funzione di regola di chiusura, da intendersi come strumento di riordino degli interessi, in alternativa più che in applicazione, rispetto al canone di buona fede. Nei contratti dei consumatori quell’affidamento, che nei contratti tra eguali rappresenta il mezzo per stabilire l’equilibrio tra contraenti, viene superato per definire degli equilibri che vanno oltre ciò che la stessa buona fede consentirebbe. Il giudizio interpretativo accentua la sua funzione integrativa e pone in ulteriore secondo piano i profili soggettivi.

Se ne ricava che la disciplina di origine comunitaria in argomento pone un incentivo alla rimeditazione dell’ermeneutica contrattuale, anteponendo alla volontà inespressa la volontà espressa, sollevando tendenzialmente il giudice dalla ricerca degli intendimenti dei contraenti non desumibili dal regolamento convenzionale ma rimettendogli una funzione correttiva.

146 SCOGNAMIGLIO C., Principi generali e disciplina speciale nell’interpretazione dei contratti dei

dei consumatori apre la strada alla rimeditazione di questioni classiche in materia, quali il rapporto tra tenore letterale e comune intenzione, la rilevanza dei comportamenti dei contraenti e del complesso delle circostanza nel cui ambito si inserisce l’operazione contrattuale.