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1.2 L’ARTE NELL’EDUCAZIONE 1 L’arte nell’educazione

1.2.5 L’arte come metodo

Il paragrafo precedente si è chiuso evidenziando la forza dell’impianto dell’educazione visiva come metodo del pensiero visivo. Se il mondo delle immagini è importante, come si è già visto, si cercano ora alcune risposte in merito al perché sia importante non solo conoscere l’arte, ma usarla, nei percorsi educativi:

- per scoprire un nuovo modo di vedere le cose, con quello stupore tanto celebrato da Bruner,

- “per curiosità,”67 come recita il titolo di un’affascinante biografia

che Cesare Segre ha pubblicato qualche anno fa, perché la curiosità è lo stimolo primario di chi pratica la ricerca,

- per il desiderio di educare alle culture, perché questo desiderio deve essere il requisito fondamentale di chi pratica l’insegnamento.

Convinti che poter indagare nell’apprendimento, come “un processo naturale con cui l’individuo persegue obiettivi per lui/lei significativi; […] attivo, volontario e mediato internamente, […] un processo di scoperta e di costruzione del significato dell’informazione e dell’esperienza, filtrato attraverso le percezioni, i pensieri e i sentimenti individuali dell’allievo”68 ,

66 O’ Keeffe Georgia, Memorie, Abscondita, Milano 2003, pag.11 67 Segre Cesare, Per curiosità, Einaudi, Torino 1999

68 McCombs Barbara L. & Whisler Jo Sue, Rapporto della Commissione dell’American Phsycological

sia processo utile per scoprire e ricostruire anche il significato degli insegnamenti.

È complesso definire il processo di apprendimento. Gli studi degli ultimi quarant’anni dimostrano itinerari sviluppati sulla base di teorie diverse, tutte con un denominatore comune: l’apprendimento che è un processo volontario e attivo che implica da parte dell’allievo una precisa disposizione e responsabilità. L’apprendimento non è mai il risultato speculare dell’insegnamento, non si trasmette, ma si costruisce nel soggetto con la sua partecipazione attiva a partire dalle proprie idee e conoscenze precedenti e coinvolge la sfera profonda dell’essere dello stesso allievo.

“Il fattore più importante che influenza l’apprendimento è ciò che l’alunno sa già. Accertatevi di questo e insegnate di conseguenza.”69

Perché i bambini apprendono con naturalezza gli strumenti dell’arte contemporanea?

I bambini riescono ad avvicinare il nuovo con estrema facilità perché il loro percorso di crescita è imperniato sulla scoperta, perché, come la pedagogia fenomenologica insegna, ogni discorso progettuale è un modo di sperimentare percorsi aperti a tutte le direzioni. Tutti i percorsi, però, mantengono la centralità del bambino dotato di corporeità e soprattutto di intenzionalità e di potenzialità critico-creative, come hanno insegnato le ricerche di Dewey.

“I grandi non capiscono niente da soli ed i bambini si stancano di spiegargli tutto ogni volta.70

La famosa citazione (Antoine de Saint-Exupery, 1943) è significativa dell’approccio all’apprendimento disponibile alla scoperta che è tipico dei bambini ed è anche associabile al sistema dello sviluppo delle intelligenze, indagato come sistema multiplo da Jerome Bruner in poi.

69 Ausubel David Paul, Educazione e processi cognitivi, Franco Angeli Milano, 1978, pag. 124 70 De Saint Exupery Antoine, Il piccolo principe, Bompiani editore, 2000, pag. 46

“Sin dall’infanzia sono stato incantato dal fatto e dal simbolo della mano destra e della mano sinistra: la prima rappresenta colui che fa, la seconda colui che sogna.

La destra è l’ordine e la legalità, le droit. Le sue bellezze sono quelle della geometria e delle rigide connessioni. Cercare la conoscenza con la mano destra è scienza. Eppure, dire soltanto ciò della scienza significa trascurare alcune delle sue fonti, poiché le grandi ipotesi della scienza sono doni che provengono dalla mano sinistra. […] Dovremmo allora dire che ricercare la conoscenza con la mano sinistra sia arte?

Ancora una volta questo non basta, perché come il racconto di una fantasticheria differisce da un resoconto ben costruito, così vi è una barriera fra la fantasia indisciplinata e l’arte. E per superare questa barriera è richiesta una mano destra capace di tecnica e artificio.”71

Questa attenzione allo sviluppo delle intelligenze è una grande novità nel panorama degli studi pedagogici degli anni 80, perché la ricerca nel settore neuro-fisiologico comporta ricadute in quello delle impostazioni educative e viceversa.

“Cercando il caso decisamente più semplice decisi di studiare l’apprendimento e l’insegnamento della matematica. Ma ben presto mi fu chiaro che l’apprendimento matematico era piuttosto rivolto dalla parte sinistra. A volte, alquanto scoraggiato dalla complessità della psicologia della conoscenza, ho sospirato di evadere attraverso la neuro-fisiologia, per scoprire poi che il neurofisiologo può darci un aiuto soltanto nella misura in cui sappiamo porgli intelligenti domande di psicologia.”72

Non è solo Bruner che si muove in questa ricerca complessa, sono in molti studiosi con professionalità diverse che studiano le potenzialità delle intelligenze. Edgar Morin, ad esempio, ritiene che l’intelligenza promossa finora sia riduzionista e incapace di far fronte alla multidimensionalità e complessità dei problemi odierni.

71 Bruner Jerome, Il conoscere, Saggi per la mano sinistra, Armando Editore Roma 2005, pag. 21 72 Bruner Jerome, op. cit. pag. 22

I saperi della nostra società sembrano essere inadeguati a formare un’intelligenza capace di comprendere il contesto.

“C’è un’inadeguatezza sempre più ampia, profonda e grave tra i nostri saperi disgiunti, frazionati, suddivisi in discipline da una parte, e realtà o problemi sempre più polidisciplinari, trasversali, multidimensionali, transnazionali, globali, planetari, dall’altra.”73

Secondo Morin non ci sarebbe solo la parcellizzazione della cultura ma anche un problema più profondo che consiste nella “grande disgiunzione tra la cultura umanistica e quella scientifica.”74

Questa divisione è erede di una radicata separazione che vede relegate al campo del sapere scientifico le forme di conoscenza più alte, in forza di un metodo in grado di garantire prove di verità.

Non stupisce quindi che il bambino cresciuto in quest’epoca sia “il bambino che impara la scienza, quello che si preparerà a diventare uomo della verità provata, della concretezza empirica per cui il reale è fisica e la legge è matematica”.75

A questa diversità di trattamento dei saperi, secondo alcune interpretazioni che Marco Dallari cita dal filosofo Jean-François Lyotard, si aggiunge anche la modalità con cui vengono comunicati e definiti i saperi scientifici e narrativi. Queste modalità toccano anche il campo della comunicazione in generale e del linguaggio in particolare.

Secondo Lyotard il linguaggio, come modalità della trasmissione del sapere, “influisce largamente sul sapere stesso, poiché è chiaro che una notizia, una informazione, un principio, una regola morale o una regola scientifica, acquisteranno valore e a volte addirittura, almeno parzialmente, significato diverso dipendentemente dal modo e dal codice (o dai codici) che permettono il passaggio del sapere stesso da un uomo all’altro, dall’ambiente all’uomo e anche nel rapporto uomo – natura.”76

73 Morin Edgar, La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero, Cortina Editore, Milano, 2000, pag. 5

74 Morin Edgar, La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero, Cortina Editore, Milano, 2000, pag. 10

75 Dallari Marco, Guardare intorno, La Nuova Italia, Firenze, 1986, pag. 16 76 Dallari Marco, Guardare intorno, La Nuova Italia, Firenze 1986, pag.17

Ma è Daniel Goleman che punta l’attenzione delle sue ricerche sulla capacità di comunicare, intesa come modalità anche dell’imparare, con una forte dotazione di contenuti non solo culturali, ma soprattutto emotivi ed affettivi, che se gestiti male, compromettono gli interventi educativi a qualsiasi età.

Per questo diventa prioritaria in Goleman la ricerca di un’educazione emotiva che si basa sul processo comunicativo. Il riconoscimento e la convalida delle emozioni ubbidisce alle leggi dell’empatia e dei modi e linguaggi che la caratterizzano. Goleman ritiene che i contenuti dell’insegnamento emotivo siano l’autoconsapevolezza, cioè il riconoscimento delle proprie emozioni; il controllo, cioè la comprensione delle implicazioni delle emozioni e l’accettazione e il superamento attivo delle emozioni negative; l’empatia, cioè l’abilità sociale fondamentale per assumere e comprendere il punto di vista altrui.

Questo tipo di insegnamento fa parte di quella che l’autore chiama “Scienza del Sé”77, programma educativo sperimentale già in opera in alcune scuole

statunitensi.

Questo programma si basa principalmente sulla comunicazione e ha come obiettivo di fornire quelle abilità essenziali come la sicurezza di sé e l’ascolto attivo necessari per saper stare al mondo.

È Jerome Bruner che, riprendendo un pensiero di Dewey relativo alla definizione dell’educazione come strumento di riforma e progresso sociale, revisiona quel credo pedagogico in funzione della situazione contemporanea. Bruner sottolinea proprio che “L’educazione non deve soltanto trasmettere una cultura, ma deve anche portare a contatto con visioni del mondo diverse da quella cultura, e spingere l’individuo ad esplorarle.78

È così che l’educazione può tendere “a sviluppare la sensibilità e la forza della mente”79tramite alcunicompiti, come trasmettere ad ogni persona ciò

che fa parte della cultura di appartenenza, e come sviluppare processi

77 Goleman Daniel, Intelligenza emotiva. Che cos’è. Perché può renderci felici, Rizzoli, Milano 1996, pag. 303

78 Bruner Jerome, Il conoscere: saggi per la mano sinistra, Armando, Roma 1968, pag. 156 79 Bruner Jerome, Il conoscere: saggi per la mano sinistra, Armando, Roma 1968, pag. 154

intellettivi utili a permettere ad ognuno di differenziarsi, grazie alle innovazioni, per crearsi un sapere personale. Solo così si può pensare ad una partecipazione della cultura in vista della creazione del proprio punto di vista e non solo per il progresso della società, ma per ogni persona.

Ecco perché è necessario promuovere un sapere “organizzato”80 per cui il

soggetto sia in grado di padroneggiare le conoscenze che derivano dall’incontro con la cultura.

È sempre Bruner a sottolineare:

“una cosa è diventata per me sempre più chiara nel proseguire le indagini sulla natura della conoscenza: l’apparato convenzionale dello psicologo (sia i suoi strumenti di indagine, sia i mezzi concettuali da lui usati per interpretare i dati che ha a disposizione) non riesce ad esplorare tutte le vie di accesso alla psiche; una di esse resta inesplorata, ed è una via di accesso il cui mezzo di comunicazione sembra essere la metafora, cioè lo strumento conoscitivo offerto dalla “mano sinistra” , […] è mia impressione, osservando me stesso e i miei colleghi, che questo passare gradualmente da intuizioni metaforiche ad ipotesi controllabili sia un processo continuo.”81

Se si prova ad unire le ipotesi di Bruner e Morin si avrà questa teoria: solo se la mente possiede la struttura di un contenuto si potrà dominare una materia, ma non può dirsi altrettanto se si cerca di possedere i contenuti nella loro interezza. Quindi una “testa ben fatta” (Morin, 2000) sarà quella in grado di gestire dei contenuti grazie alla comprensione delle strutture che li caratterizzano, mentre una testa riempita di contenuti senza alcuna organizzazione sarà solo “una testa ben piena” (Morin, 2000), incapace di riutilizzare ciò che le appartiene.

È importante il passaggio che Bruner dedica alla forma di insegnamento che incoraggia il bambino a conoscere, perché è mediante la personale scoperta

80 Bruner Jerome, Il conoscere: saggi per la mano sinistra, Armando, Roma 1968, pag. 163 81 Bruner Jerome, op. cit. pag. 22

che si crea “una relazione unica fra la conoscenza e il suo possessore,”82

relazione che può raggiungere quel livello di comprensione tale da permettere di creare prodotti nuovi, così incontrando anche quello che viene chiamata la sorpresa.

La scoperta e la sorpresa sono le due facce della stessa medaglia: l’azione educativa mediante l’azione euristica.

L’euristica viene perseguita mediante le operazioni della scoperta e della sorpresa in quanto entrambe implicano uno sforzo di ricerca, che è quell’esercizio di soluzione dei problemi attivabile tramite una riorganizzazione dei fatti basata sulla scelta.

Allontanarsi dal modello della testa “ben piena” per una “ben fatta” implica inoltre la necessità di liberare il bambino dal controllo immediato dell’adulto tramite il processo di punizione- ricompensa.

Tale meccanismo non permette al bambino di trasformare l’apprendimento in efficienti strutture di pensiero, capaci di creare collegamenti con il resto della “vita conoscitiva”83.

Così facendo si attiva un’educazione che porta all’autonomia del bambino, in modo che possa vivere l’apprendimento come una continua scoperta. “Soltanto esercitandosi alla soluzione dei problemi e grazie allo sforzo della scoperta si […] (può) apprendere l’euristica, cioè l’arte e la tecnica dello scoprire: più una persona si è esercitata in tal senso, più è in grado di generalizzare ciò che ha appreso traducendolo in uno stile di ricerca e di soluzione dei problemi applicabile a tutti i compiti che possa incontrare o quasi a tutti.”84