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“Si dovrebbe quindi affermare subito che i materiali della storia dell’arte ‘sono’ esattamente la storia che cerchiamo; così come questa storia per nulla può discostarsi dall’essere implicitamente organizzazione di un modo di conservazione, di filologica restituzione, e dunque capace di interessare già allora le trame strumentali che saranno più tardi illuminate dal cammino della scienza: il restauro come attività conoscitiva, il ripristino come modello d’uso e infine il museo come strutturazione del metodo generale e fondamentale del confronto e del paragone. Materiali della storia dell’arte potranno essere considerate sia le materie lavorate dai trattamenti tecnici dell’homo faber, sia le tipologie che, nell’allineare questi oggetti costituiti dalle diverse materie l’esperienza storica viene formando.”20

L’opera d’arte è l’oggetto e il campo di riferimento di questa ricerca: è quell’opera narrata nei testi all’interno di percorsi cronologici o tematici

20 Emiliani Andrea, I materiali e le istituzioni, in Storia dell’arte italiana, Questioni e metodi, vol. I, Torino, Einaudi 1979, pag. 103

oppure quell’opera esposta nei musei, all’interno di percorsi ambientati nel ‘confronto’. Sono solo sistemi diversi che ci permettono di entrare nell’opera d’arte e nell’operare dell’artista. Ma anche l’opera ha una sua vita ed una sua storia, a volte fatta di lunghe peregrinazioni, a volte fatta di luoghi unici, che l’hanno ospitata costantemente.

È il caso delle chiese medioevali, luoghi fondamentali della storia non solo religiosa dell’uomo, luoghi che celebravano la vita di Dio con le parole, nelle liturgie, con i racconti visivi, nelle sculture e pitture, con gli spazi basilicali, nella ricerca di una relazione trascendente. Il Duomo di Modena, la Basilica di San Francesco ad Assisi, la Sacra di San Michele in Val di Susa, vicino a Torino, testimoniano una grande storia fatta di immagini, di edifici, di luoghi.

Ma c’è una difficoltà nell’entrare in questa storia medioevale: oggi il passato ha sempre più bisogno di interpreti, perché non è comprensibile, perché ha rimandi in una cultura piena di religione, piena di simbologie e di tradizioni lontane dalla realtà odierna.

Oggi una lastra del Genesi di Wiligelmo appoggiata sulla facciata del duomo di Modena, non parla in modo chiaro, come quando Wiligelmo l’aveva pensata; allora Wiligelmo aveva sintetizzato in modo formidabile il racconto dell’origine dell’uomo, oggi le sue lastre sono lì, ma non urlano con straordinaria potenza le novità inventate da un uomo che aveva rivoluzionato secoli di opere lasciate senza firma. L’artista Wiligelmo si firma, testimoniando così una grandezza di ruolo che solo la Grecia di Policleto aveva affermato importante al pari di quello di un intellettuale. Oggi la città vive di queste storie in un contesto completamente diverso: la cattedrale, luogo del potere religioso, insieme al palazzo del Comune, luogo del potere politico, insieme al Mercato, luogo del commercio, quindi del valore produttivo ed economico di una comunità, sono i segni tangibili delle

storie passate, storie di città medioevali che, Henry Pirenne21, ha così bene

narrato. Ma spesso si fatica a comprendere quelle storie, perché mancano gli strumenti o perché non si vede quel passato.

Eppure non ci sono cesure nella nostre città, nel nostro territorio, tra passato e presente: i luoghi vivono di spazi storicamente sovrapposti o contemporaneamente agibili. Così una cattedrale diventa luogo espositivo, perché le sue opere raccontano un pensiero, una storia, una cultura, pur mantenendo la propria funzione liturgica fondamentale, così come un castello non è solo la dimora di un principe, ma diventa il luogo di un racconto, di una storia, di un pensiero fatto anche di oggetti preziosi collezionati perché segno di un gusto raffinato, di una curiosità verso altri mondi, di una cultura fatta sempre di idee, idee che a volte sono costruite e a volte sono narrate.

La lastra di Wiligelmo è un grande esempio di opera d’arte della storia.

Ma cos’è l’opera d’arte?

Le risposte possibili sono tante e diverse: sono quelle di Ernst Gombrich o Michel Baxandall, di Erwin Panofsky o Giulio Carlo Argan, di Ananda Kentish Coomaraswamy o Francesco De Bartolomeis, di Cesare De Seta o Marco Dallari, solo per citarne alcuni.

Spesso l’opera d’arte è ed esiste dentro una storia fatta di episodi, persone, luoghi. Ci sono uomini che hanno dato testimonianza di queste storie attraverso racconti costruiti sull’arte, come ha più volte fatto Ernst Gombrich.

“Non esiste in realtà una cosa chiamata arte. Esistono solo gli artisti: uomini che un tempo con terra colorata tracciavano alla meglio le forme del bisonte sulla parete di una caverna e oggi comprano i colori e disegnano gli affissi pubblicitari per le stazioni della metropolitana, e nel corso dei secoli fecero parecchie altre cose.”22

21Pirenne Henry, Le città del Medioevo, Bari, Laterza 1971

Questo racconto storico, continua Gombrich, deve però solo “allenare l’occhio a cogliere tutte le caratteristiche dell’opera d’arte e quindi ad affinare la sensibilità alle più sottili sfumature.”23 Il pericolo di non guardare

perché si conosce l’artista è enorme, allora Gombrich conclude aggiungendo “Vorrei che il mio libro aprisse gli occhi piuttosto che sciogliere le lingue.”24

Il rapporto tra il segno dell’opera d’arte e la critica che la riguarda è pure l’oggetto dell’analisi di Michel Baxandall, quando afferma che

“Non si danno spiegazioni dei quadri: si spiegano le osservazioni fatte su di essi. O meglio, spieghiamo i quadri solo nella misura in cui li abbiamo fatti oggetto di una descrizione o determinazione verbale. Se per esempio penso o dico qualcosa di molto elementare a proposito del Battesimo di Cristo di Piero della Francesca, qualcosa come ‘il saldo disegno di questo quadro si deve in parte al recente tirocinio di Piero a Firenze’, così facendo propongo innanzitutto il concetto di ‘saldo disegno’ come descrizione di uno dei motivi di interesse del Battesimo di Cristo e, in secondo luogo, sostengo che il tirocinio fiorentino dell’artista sia la causa di quel tipo d’interesse.”25

L’arte è allora segno, immagine, idea di un uomo che si propone ad un pubblico, ad un collezionista, ad un committente, a sé stesso. Le sue idee passano anche attraverso le sue parole, che spesso ci aiutano a leggere l’opera.

La ‘spiegazione’ dell’opera, come dice ancora Baxandall, passa attraverso la sua ‘descrizione’, che è in rapporto naturalmente con l’opera, con l’autore, con la sua vita, la sua esperienza, la sua storia. Si vuole spiegare l’opera d’arte per poterla leggere, per poter capire, forse, le cause della sua nascita, le motivazioni delle scelte dell’artista, le relazioni con i luoghi che l’hanno accolta.

23Gombrich Ernst H., op. cit., pag. 22 24Gombrich Ernst H., op.cit., pag. 22

L’opera d’arte, allora, non vive mai da sola?

Mai, l’opera d’arte vive in una relazione sempre nuova con chi la guarda.

Oggi l’operazione museale, intesa come conservazione, studio, tutela e fruizione, permette di incontrare l’opera, in un ambiente fatto di una storia, che spesso è una storia ‘nuova’ rispetto alla storia dell’opera.

L’approccio diretto all’opera d’arte è costruzione di una relazione individuale: il quadro, la scultura, ma anche le opere realizzate con tecnologie nuove, come video o performance sono collocate o ambientate nel luogo espositivo che, come un libro, narra, accosta, evidenzia, approfondisce attraverso rapporti con altre opere.

E’ fondamentale questa relazione diretta.

E sono soprattutto i musei, insieme alle testimonianze scritte degli studiosi, che oggi lavorano a nuove ricerche che permettano di scoprire punti di vista diversi o approfondimenti con le opere conservate per tracciare comparazioni e significati tramite posizioni sempre nuove.

L’opera d’arte vive dell’idea del suo autore: questa è la partenza di ogni opera d’arte. La vita dell’opera, poi, è fatta di tante e sempre nuove relazioni.

Si usa ora un caso per comprendere questi valori relazionali: Pablo Picasso può esemplificare quel genere di artista che non può essere ‘ridotto’ dentro il termine ‘cubista’ o dentro una delle sue opere, come la celeberrima Les

demoiselles d’Avignon.

Le parole di Picasso aiutano ad iniziare un percorso: “Abbiamo introdotto nella pittura oggetti e forme prima ignorati, abbiamo aperto gli occhi su quel che ci circonda, e anche il cervello.”26

Se Picasso è conosciuto soprattutto tramite quest’opera del 1907 è perché il quadro è manifesto del cubismo e icona di questa avanguardia.

Pablo Picasso, Les Demoiselles d’Avignon, 1907, olio su tela, 243.9 x 233.7 cm., MOMA; New York

Ma Picasso non è solo questo quadro, sarebbe riduttivo pensare anche solo al cubismo con quest’opera, che rivoluziona cinque secoli di arte fondata sulla prospettiva, ma che non è un fenomeno isolato. Se cubismo è Picasso o Braque, Picasso non è solo cubismo.

Le parole sul cubismo di Cesare Brandi aiutano a comprendere questa rivoluzione in arte:

“Ma la confusione era in qualche modo legittima per il fatto che nello scomporre l’oggetto si servivano di mezzi che sono sempre apparsi come propri della formulazione dell’immagine; presentazione sintetica dei piani, riduzione del colore a zone di colore piatto, indicazione concisa del chiaroscuro e così via.”27

“Ma quando si pensò di partirsi non più dall’oggetto come veniva dato in una sensazione istantanea, ma da successive sensazioni, poiché questo è impossibile in una sola volta, implica una ritenzione mentale, che di colpo

sostituisce all’oggetto naturale una o più immagini, o, per meglio dire, riunisce in una sola polimorfa immagine diversi aspetti dello stesso oggetto. Ma questo […] decretava una nuova costituzione di oggetto.”28

La costruzione di questo nuovo oggetto è la novità cubista.

“Il cubismo ha distrutto il punto di vista fisso. Il punto di vista fisso presuppone l’immobilità dell’osservatore, perfino l’immobilità del suo occhio.”29

Picasso è un artista che raccconta anche la vita del circo, un racconto fatto mediante figure ancora riconoscibili nello spazio, solo che vivono della solidarietà con Goya piuttosto che con Raffaello. Azzurri sono i suoi clown, azzurra è la terra dove si appoggiano, dove lavorano, dove tengono gli affetti. Ma sono personaggi soli, lontani dal mondo del divertimento, un mondo che Picasso non svela.

Pablo Picasso, Tre donne alla fontana, 1921, olio su tela, cm. 203,9 x 174, MOMA, New York

Ma c’è ancora un altro Picasso, quello delle Donne alla fontana del 1921, che testimonia il ritorno in un mondo fatto di figure classiche. La plasticità delle figure, la solidità dello spazio riconducono alle certezze del passato,

28Brandi Cesare, op.cit., Torino, Einaudi, 1976, pag. 23 29Hockney David, Picasso, Milano, Abscondita, 2001, pag. 11

perché una folle guerra aveva distrutto i desideri del presente e la voglia di un futuro.

Lo spazio usato è quello prospettico, perché il 1921 ha riportato in Picasso l’idea della tradizione, come forza di un pensiero positivo ed ha recuperato forma e spazio della tradizione classica, annullando la sua invenzione di un nuovo oggetto datato 1907.

Pablo Picasso, Il poeta, olio su tela, agosto 1911, 131,2 x 89,5 cm, Collezione Peggy Guggenheim di Venezia

Ma queste opere di Picasso sono a Mosca, a Madrid, a New York, a Baltimora, oppure sugli schermi dei video, o sulle pagine dei libri: come vederli?

È diverso guardare la riproduzione di un’opera d’arte o vederla di fronte: ecco assegnato così il ruolo fondamentale di musei e mostre temporanee, che hanno come mission la necessità di proporre percorsi nuovi tra opere, luoghi e pubblici.

Il Poeta di Picasso è nella collezione veneziana di Peggy Guggenheim: è

Se tutti i libri raccontano il Picasso di Les Demoiselles d’Avignon, se tutti ricostruiscono la vita di quest’opera, aiutandone la lettura, non c’è niente che sostituisca il contatto diretto.

Contatto che è contagio, utilizzando il titolo dato ad una mostra di Land Art, nella Biennale veneziana del 2001, perché l’opera acquista un senso attraverso il pubblico che la guarda, la vede, la sente, la legge, la vive. Solo dopo questo contatto-contagio con le opere d’arte, inizia un cammino nell’arte, fatto di segni, che hanno dei significati rispetto alla storia dell’uomo e a quella delle idee.

L’opera è quindi tutta la sua vita: la sua creazione, il suo autore, i luoghi che l’ospitano, le persone che la guardano. La vita dell’opera è l’insieme delle relazioni con l’opera stessa.

1.1.5 La vita dell’opera d’arte: l’artista, il critico, lo storico dell’arte

L’opera d’arte è il prodotto di un artista, vive nelle interpretazioni di un critico e viene esposta nella cornice della storia come documento o come dichiarazione. Ma come vive un’opera d’arte, come può rimanere segno di un’idea nel tempo?

L’opera d’arte, nella storia, quasi mai è stata pensata per un Museo: era un ritratto, era la rappresentazione di un dogma religioso, era una celebrazione di potenza. Non era mai solo scultura o solo quadro, non si leggeva soprattutto isolata nel contesto. Se era un testo sacro, raccontava, lungo le pareti delle chiese, i nodi salienti del Vecchio e Nuovo Testamento, se era un ritratto celebrava la potenza di un principe o di un vescovo, se era un edificio parlava a tutti del senso di un luogo, pubblico o privato, attraverso principi come la dimensione geometrica o modulare che troviamo così ben rappresentata nell’antichità greca o romana.

Il concetto di opera d’arte è ottocentesco e questo concetto è nato solo quando le opere sono state tolte dal loro luogo d’origine e collocate in un luogo nuovo: il museo, luogo di conservazione, ma anche luogo di

‘metamorfosi’ come dice André Malraux, “Il museo separa l’opera dal mondo ‘profano’ e l’accosta ad opere opposte o rivali. È un confronto di metamorfosi”30

Giovanni Paolo Pannini, Roma antica, 1755, olio su tela, 186X227 cm., Stoccarda, Staatsgalerie

Il museo per l’artista non ha sempre avuto lo stesso valore: le parole qui sotto raccolte da Roland Schaer ci danno l’idea dei sentimenti, delle difficili relazioni tra i luoghi (deputati a conservare e tutelare le opere) e gli artisti.

“Il Louvre è il libro da cui impariamo a leggere.” Paul Cézanne

“Si deve copiare la natura sempre e imparare a vederla bene […]Crede che la mandi al Louvre per trovarci ciò che si suol chiamare ‘il bell’ideale’, qualcos’altro di quel che è nella natura?” (Jean-Auguste-Dominique Ingres, 1832)

“Realizzavamo delle copie al Louvre sia per studiare i maestri e vivere con loro, sia perché il governo ne comprava alcune” (Henri Matisse, 1898)

“Sono vent’anni che non vado al Louvre: non mi interessa dato il dubbio che ho sulla validità dei giudizi che hanno stabilito che tutte queste opere sarebbero state esposte al Louvre piuttosto di altre che non sono mai state

prese in considerazione, e che avrebbero potuto esserci.”( Marcel Duchamp, 1913)

“Ci andavo tutti i giorni, volevo vedere tutta la pittura […] Adesso che ho trovato un equilibrio vado meno spesso al Louvre” (Joan Mirò, 1946)

“Se ci pensiamo bene, i musei altro non sono che templi nei quali si celebra il culto della Gioconda, […] Ci si va come al cimitero, la domenica pomeriggio in famiglia, sulla punta dei piedi, parlando sottovoce.” (Jean Dubuffet, 1975) 31

Che senso aveva l’opera sulla facciata di una chiesa o il ritratto di un principe appeso in una sala nobile di un palazzo?

Un rilievo sulla facciata della Basilica di San Zeno a Verona, ad esempio, era un sistema della comunicazione religiosa, un modo per raggiungere tutti i fedeli rispetto ai temi sacri, il racconto, per episodi selezionati, delle Sacre Scritture. Oggi è spesso solo la celebrazione di un grande passato non chiaro però a tutti gli sguardi curiosi.

Così come oggi i ritratti di Rembrandt o di Velázquez non sono più i ritratti di qualche persona famosa, ma sono diventati l’opera d’arte, firmata da quegli autori e segno di una mano famosa: è questo il modo con cui spesso ci si avvicina a guardare le opere nei musei, quasi come ad esaudire un desiderio di curiosità ma non di conoscenza, desiderio che si esaurisce in pochi secondi distribuiti su tutte le opere offerte dal museo.

Ma oggi qual è la mission di un museo d’arte?

Alessandra Mottola Molfino, nel 1993, scriveva che un museo è caratterizzato da “oggetti, opere, collezioni in esso conservati […] Le attività cosiddette museali, culturali e di rapporto con il pubblico sono una conseguenza dell’esistenza degli oggetti, una conseguenza che potrebbe anche non verificarsi. Tant’è vero che esistono anche i musei chiusi”,32 ma Alan

Wallach e Carol Duncan dicono:

31 citazioni da Roland Schaer, Il Museo tempio della memoria, Parigi, Universale Electa Gallimard 1996 32 Molfino Mottola Alessandra, in Il Museo dell’esistenza di G. Dioguardi, Sellerio 1993, pag. 65

“un museo […] non è soltanto un luogo di raccolta di oggetti d’arte, ma anche un’esperienza architettonica che rivela il suo reale contenuto in ciò che accade all’interno del suo spazio”33

Museo e mostre non sempre corrispondono, anche se a volte l’uno è luogo dell’altra.

Il museo è luogo della conservazione e dello studio, luogo di un progetto espositivo, fatto di ricerche, di allestimento, di offerte ai pubblici, offerte che sono oggi anche book-shop, caffetteria, ristorante, sala di concerti, insomma un sistema complesso. Le funzioni museali oggi coniugano la ricerca e lo studio sulle opere lì conservate con la funzione comunicativa dell’arte e con quella educativa per i pubblici.

Non solo.

Sempre più l’istituzione museale garantisce situazioni dinamiche, come le mostre temporanee, che permettono indagini sul patrimonio artistico. L’impostazione storico-cronologica del museo, com’era, almeno fino alla metà del secolo XX, sta scomparendo nelle mostre temporanee. Al percorso di ricerca storico si va sostituendo il percorso tematico o quello biografico, le personali degli artisti. Cambiare questi metodi significa cambiare il sistema di catalogazione del sapere, sapere che sempre più si riconosce per frammenti specialistici, sempre più particolari e mai generalizzabili.

E’ questa la cornice fondamentale a cui si faceva riferimento all’inizio del paragrafo, la cornice di interpretazione fatta da un critico o da uno storico che sceglie il percorso, fatto di immagini o di parole, dentro cui condurre lo spettatore-fruitore.

Le impostazioni del percorso possono essere, quindi, di tipo storico o di tipo critico: la storia legge i fatti delle opere d’arte nell’asse cronologico, mentre la critica seleziona oggetti ed autori sulla base dell’idea, del

33 Wallach Alan e Duncan Carol, Rituale e ideologia del museo, in Museo di L. Binni e G. Pinna, Garzanti 1989, pag. 121

pensiero di un artista e solo dopo aver guardato alle opere passa alle relazioni di contesto sociale o filosofico o storico.

Le mostre, così come i libri, operano in questi termini, perché sono apparati espositivi motivati da criteri curatoriali a volte storici a volte critici.

Il dialogo che si innesca, in una mostra o in un museo, tra opera d’arte e fruitore, è tessuto da un curatore, forse paragonabile al collezionista di un tempo o al mecenate umanista, che oggi ha il compito di costruire una trama per l’arte da esporre, come un narratore di un nuovo racconto fatto di opere scelte secondo una ricerca tematica, perché le opere, come diceva Roberto Longhi, non stanno mai da sole.

L’opera non è stata pensata per essere su un piedistallo, per essere staccata dal mondo, l’opera parla al mondo se il mondo l’ascolta.

E il mondo può ascoltare se l’arte e l’artista vengono messi in relazione con nuovi sguardi, convinti che l’arte, soprattutto la più recente, muta continuamente, perché continuamente viene letta e narrata in modo nuovo.