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Pensare la formazione come motivazione all’innovazione

AREA 5: IL TIROCINIO IN MOSTRA OBIETT

2.12 Pensare la formazione come motivazione all’innovazione

“Del processo artistico è molto interessante apprendere il modo con cui gli artisti scelgono e selezionano le cose e i pensieri. Invece di controllare le complessità, l’artista naviga sulla complessità. E questo approccio è molto utile in un sistema complesso come quello della nostra economia.”151

Lotte Darso è voce autorevole nel campo della sperimentazione formativa e la sua voce introduce una nuova riflessione, oltre che una nuova esperienza.

I workshop condotti nelle scuole con gli alunni devono passare dalle scelte degli insegnanti: ma se per un insegnante dell’infanzia è fondamentale l’uso dei materiali, come approccio conoscitivo, per un insegnante del liceo diventa inutile o superfluo, o comunque ‘non previsto dal programma’. Come motivare allora gli insegnanti ad un approccio diverso rispetto al workshop, che qui viene considerato invece importantissimo?

Risposta: attraverso una formazione per gli insegnanti che passi dai workshop, non solo da spiegazioni del percorso. Si sono così progettati, sulla base di obiettivi precisi, alcuni percorsi laboratoriali, con l’artista, sperimentati con gli insegnanti, che hanno provato su se stessi i principi, i processi, i prodotti di workshop d’artista.

Che cosa è la vera novità?

Il fatto di far parlare insieme due mondi diversi: l’artista e l’insegnante. Che cosa hanno da scambiarsi?

Il modo di navigare, come dice Lotte Darso, nella complessità. Con quale motivo?

“Chi scambia, cambia” come dice Ulderico Bernardi.152

In che modo si riflette?

La fase del debriefing o della riflessione diventa momento fondamentale per riportare l’esperienza con l’artista all’interno delle proprie azioni educative:

151 Darso Lotte, professore associato in Innovation presso il Learning lab Denmark, The Danish University of Education, atti del forum Art for Business, 15 novembre 2008

152 Bernardi Ulderico, prefazione al libro Antonio Lionello e Giuseppe Manzato, La comunicazione

il lavoro svolto diventa metafora di comportamenti leggibili nelle proprie specificità professionali.

Con un artista ed un curatore della formazione pronti a mettersi nel ruolo indicato da Paola Mastrocola:

“Io non voglio insegnare proprio niente nella vita. Io non voglio insegnare. Perché dovrei? Non ho nulla da trasmettere, e anche l’avessi perché trasmetterlo? Insegnare proprio no. Semmai allevare. Rafforzare le ali a qualcuno, perché voli, questo sì, questo mi piace.”153

E con un’arte attenta al contemporaneo, perché si vive ora nella contemporaneità: ecco perché si preferisce partire da quella contemporanea.

La storia dell’arte contemporanea ha dimostrato che l’azione dell’artista spesso si limita ad un semplice intervento manuale, che può sembrare banale e facile solo se non si conoscono le sue profonde motivazioni. Tale fatto non sminuisce il valore dell’opera ma aumenta semmai la sua pregnanza significativa.

Perché l’artista ha deciso di compiere un gesto così semplice? L’opera pone tale domanda all’osservatore in modo diretto, senza ‘addolcire la pillola’ e senza dimostrazioni di bravura tecnica spesso inutili. Ciò accade ad esempio nel ciclo delle “Attese” di Lucio Fontana. Egli meditava moltissimo prima di fendere la tela con un veloce colpo di taglierino (il titolo in questo senso è importante). Un semplice gesto si carica di una valenza particolare; la grandezza dell’artista risiede proprio in questo: nell’importanza che egli conferisce ai propri gesti, anche più elementari. In tale caso Fontana dichiara in modo limpido il processo che ha portato all’origine dell’opera: il taglio. La mano mette in atto un chiaro proposito: creare un varco tra due mondi, due realtà, al di qua e aldilà della tela. Tale semplice gesto sarà alla base di tutto il suo vocabolario formale. In alcuni lavori egli lo ripete ritmicamente o lo integra all’azione del bucare, sia la tela, sia la plastica, le lastre di rame ed anche la materia scultorea grezza.

In altri casi, come nella “Fontana” di Duchamp, l’azione artistica è ancora più rarefatta: l’artista si limita a scegliere un oggetto, a cambiare il suo contesto originario ponendolo in una galleria d’arte, a firmarlo e datarlo. Duchamp in questo modo fa riflettere ironicamente sullo status dell’opera e sui criteri che determinano la sua ‘nascita’. La massima carica provocatoria viene ottenuta col minimo sforzo della mano dell’artista. Piero Manzoni, in una sua performance firmava non oggetti inanimati bensì delle modelle nude in posa, quasi ne fosse l’autore o il proprietario. In sostanza è l’idea che conta, è da essa che scaturisce la messa in atto dell’opera. Nella realtà contemporanea è anche possibile imbattersi in artisti come Murakami o Cattelan che hanno deciso di far costruire fisicamente le loro sculture ad artigiani professionisti, limitandosi addirittura alla sola ideazione. Si può essere autori di qualcosa che non è stato concretamente fatto dalle nostre mani ma solo progettato. Il punto sta nel pensare in modo creativo ed efficace.

Dov’è l’innovazione nelle scuole aderenti?

I progetti sono cambiati, diventando produzione di gruppi di lavoro e consentendo alle classi percorsi nuovi rispetto ai confini disciplinari: l’innovazione passa anche da qui.

Dove si vede?

Sul sito di progetto sono consultabili tutti i lavori prodotti e documentati dalle scuole dal 2003 ad oggi. Gli stessi insegnanti acquistano di anno in anno competenze sempre maggiori sia rispetto all’interdisciplinarietà sia rispetto ai processi artistici diventando veri professionisti creativi.

2.13 Pensare la formazione per una comunità ‘mista’: dalla formazione