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Ascolto e dialogo

LO STILE DIALOGICO DI PAPA FRANCESCO

LA CONDIZIONE DELLE NUOVE GENERAZIONI In margine a “Christus vivit”

2. INTERROGARSI SUI GIOVANI 1. I giovani al centro

2.3. Ascolto e dialogo

Non è casuale che il Documento finale del Sinodo dei Vescovi si apra con un capitolo dedicato a “Una Chiesa in ascolto” e non è casua-le che fra i tre imperativi consegnati da papa Francesco nell’omelia della messa al termine del Sinodo – ascoltare, farsi prossimi, testimo-niare – il primo consista nella disponibilità a “mettersi in ascolto dei giovani”. Il fatto è che oggi la Chiesa riconosce che in passato non è stato sempre così e che ora intende avviare una nuova impostazione, in modo da riconoscere la disponibilità all’ascolto come condizione

previa per un corretto rapporto con i giovani. Vediamo allora come il Documento finale del Sinodo chiarisce il senso di questo ascolto quale apertura.

In primo luogo, ne viene evidenziato il valore, puntualizzando che “l’ascolto è un incontro di libertà, che richiede umiltà, pazienza, disponibilità a comprendere, impegno a elaborare in modo nuovo le risposte. L’ascolto trasforma il cuore di coloro che lo vivono, soprat-tutto quando ci si pone in un atteggiamento interiore di sintonia e docilità allo Spirito. Non è quindi solo una raccolta di informazioni, né una strategia per raggiungere un obiettivo, ma è la forma in cui Dio stesso si rapporta al suo popolo”.

In secondo luogo, viene specificato che “i giovani desiderano essere ascoltati”, ma nel contempo, “molti sperimentano come la loro voce non sia ritenuta interessante e utile in ambito sociale ed ecclesiale”. Anche la Chiesa – la quale ha pure promosso “iniziative ed esperienze consolidate attraverso le quali i giovani possono spe-rimentare accoglienza, ascolto e far sentire la propria voce” – non sempre sa ascoltare adeguatamente, nel senso che “prevale talora la tendenza a fornire risposte preconfezionate e ricette pronte, senza lasciar emergere le domande giovanili nella loro novità e coglierne la provocazione”.

Da qui la necessità di un rinnovamento pastorale nei confronti dei giovani, possibile a condizione che si abbia la consapevolezza che l’ascolto deve essere reciproco: per un verso, “consente ai giovani di donare alla comunità il proprio apporto, aiutandola a cogliere sensi-bilità nuove e a porsi domande inedite” e, per altro verso, consente alla comunità “un annuncio del Vangelo che raggiunga veramente il cuore, in modo incisivo e fecondo”.

È, questo, un impegno che “costituisce un momento qualificante del ministero dei pastori, ma anche di consacrati e laici preparati e qualificati”: e qui si colloca una possibile novità che evidenzia quan-to la Chiesa voglia impegnarsi nella interazione con i giovani; infatti il Sinodo ipotizza la possibilità che il servizio di adulti (uomini e

donne) nei confronti della crescita dei giovani “potrebbe anche ricevere una forma di riconoscimento istituzionale per il servizio ecclesiale”.

Questi formatori o educatori o accompagnatori o comunque li si voglia denominare (ma sarà importante scegliere una denominazio-ne che non urti la suscettibilità dei giovani) possono effettivamente inaugurare una nuova stagione nel rapporto con i giovani. Figure di “tutor” capaci e disponibili potrebbero veramente costituire una risorsa per la comunità ecclesiale tale da rinnovare la pastorale gio-vanile, mettendo al centro i giovani con le loro domande nel nuovo contesto socio-culturale, caratterizzato da secolarizzazione e post-se-colarizzazione per un verso e da globalizzazione e localizzazione per l’altro.

Così tradizione e innovazione, identità e alterità si rivelano coppie solo apparentemente contraddittorie, perché in realtà sono coessen-ziali per curare la formazione dei giovani, la loro presa di coscienza, e il loro sviluppo individuale sociale. In tal modo, si potrà opporre una resistenza alle forme di “colonizzazione culturale che sradicano i giovani dalle appartenenze culturali e religiose da cui provengono”, e coltivare la propria identità senza chiusure e intransigenze, dispo-nendosi ad un atteggiamento di empatia nei confronti degli altri, ed esercitando il dialogo interpersonale e intergenerazionale, intercultu-rale e interreligioso.

Luoghi che possono favorire tutto ciò appartengono alla tradi-zione della Chiesa: sono anzitutto gli oratori, che, al di là della de-nominazione, sono non solo luoghi di preghiera ma centri di aggre-gazione giovanile, accolgono tutti, senza discriminazione alcuna. Si potrebbe anche ipotizzare una nuova denominazione dell’oratorio, ma mi rendo conto che questa istituzione ha una sua storia, per cui cambiarne il nome può non essere valido; si potrebbe allora conser-varlo per i ragazzi, mentre per i giovani ipotizzare altre denominazio-ni come, per esempio, “spazio giovadenominazio-ni”, “cortile dei giovadenominazio-ni”, ecc. In ogni caso, ciò che conta – al di là del nome – è la loro configurazione come ambiente di socializzazione per ragazzi e giovani da centrare

su esperienze di temporalità non dispersiva, ma critica e creativa, riflessiva e operativa.

Insomma è la promozione umana che deve stare a cuore alla co-munità sia ecclesiale sia civile, le quali proprio in questo si ritrovano a convergere; infatti, la evangelizzazione non è alternativa alla pro-mozione umana, ma la presuppone o vi si accompagna. Recente-mente la Chiesa ha realizzato un’altra felice iniziativa – le Giornate Mondiali della Gioventù – che, anche con incontri internazionali, nazionali e diocesani svolge “un ruolo importante nella vita di molti giovani perché offre un’esperienza viva di fede e di comunione, che li aiuta ad affrontare le grandi sfide della vita e ad assumersi respon-sabilmente il loro posto nella società e nella comunità ecclesiale”.

Il Documento finale del Sinodo, dopo aver fatto riferimento a que-ste iniziative, affronta la questione delle parrocchie e non si nasconde che, “pur rimanendo la prima e principale forma dell’essere Chiesa nel territorio, (…) la parrocchia fatichi a essere un luogo rilevante per i giovani”; pertanto risulta “necessario ripensarne la vocazione missionaria. La sua bassa significatività negli spazi urbani, la poca dinamicità delle proposte, insieme ai cambiamenti spazio-temporali degli stili di vita sollecitano un rinnovamento. Anche se vari sono i tentativi di innovazione, spesso il fiume della vita giovanile scorre ai margini della comunità, senza incontrarla”. Non si poteva in termini più chiari prendere atto di una situazione che, solo se riconosciuta, può portare a ipotizzare inedite vie di uscita.

Per esempio, perché non pensare a “punti di ascolto” non legati a una struttura formale come la parrocchia, pur se alla parrocchia pos-sono essere collegati? Si potrebbe anche ipotizzarli come “laboratori di dialogo” in modo da ricordare che il dialogo, per essere esercitato adeguatamente e correttamente, va svolto secondo modalità precise, e bisogna conoscerle e rispettarle. Insomma, ciò che ieri era svolto da un prete (che ascoltava i giovani e con loro parlava, si confronta-va, polemizzaconfronta-va, insomma “chiacchierava” in modo costruttivo) oggi reclama una presenza che in certi casi può ancora essere quella del

prete, ma che deve essere soprattutto quella esercitata da persone che abbiano il dono di sintonizzarsi con i giovani: di saperli ascoltare, consigliare e, perché no?, redarguirli, ma in un orizzonte paritetico, seppure asimmetrico.

In concreto, tutto questo significa saper dialogare, e il dialogo non è una somma di monologhi né un discorso fra sordi, bensì fra persone che cercano insieme: i dialoganti sono “inter-locutori” e, prima ancora, “inter-uditori”; è così che alla fine si arricchiscono reciprocamente grazie all’incontro e al confronto, se sono animati – come sottolineano i Padri sinodali – dal “coraggio della parresia nel parlare, e dell’umiltà nell’ascoltare”, un dialogo che, nella fedeltà al Vangelo, sarà soprattutto orientato “alla ricerca di come dare risposta al duplice grido dei poveri e della terra (verso cui i giovani mostrano particolare sensibilità)”.

La compagnia e la prossimità, l’ascolto e il dialogo (cui abbiamo accennato) devono coniugarsi con la testimonianza, e questa va eser-citata secondo la specificità propria della identità della giovinezza (come età) e dei diversi momenti di crescita dei giovani (dai 16 ai 18, dai 19 ai 29). Per configurare concretamente e correttamente la testimonianza dei giovani, è essenziale individuare le loro peculiari-tà, che qui identifichiamo con la vulnerabilità e il protagonismo sul piano psicologico, con la vocazione e la missione sul piano esistenzia-le, con il cammino e il discernimento sul piano metodologico e con la formazione e la santità sul piano educativo.