LO STILE DIALOGICO DI PAPA FRANCESCO
FRATERNITÀ UNIVERSALE E AMICIZIA SOCIALE In margine a “Fratres omnes”
2. LE VIRTÙ DELLA FRATERNITÀ 1. Un’etica della fraternità
2.2. Virtù “fondamentali”
Alla “solidarietà” papa Francesco dedica quattro numeri dell’en-ciclica per chiarirne il “valore”. Come aveva avuto già occasione di affermare, essa quale “virtù morale e atteggiamento sociale, frutto della conversione personale, esige un impegno da parte di una mol-teplicità di soggetti, che hanno responsabilità di carattere educativo e formativo” (n. 114). Pertanto, “in questi momenti, nei quali tutto sembra dissolversi e perdere consistenza, ci fa bene appellarci alla solidità” che (chiarisce in nota lo stesso papa Francesco) “si trova nella radice etimologica della parola solidarietà. La solidarietà, nel significato etico-politico che essa ha assunto negli ultimi due secoli, dà luogo a una costruzione sociale sicura e salda”. Dunque, la soli-darietà “deriva dal saperci responsabili della fragilità degli altri cer-cando un destino comune. La solidarietà si esprime concretamente nel servizio, che può assumere forme molto diverse nel modo di farsi carico degli altri” (n. 115).
Sulla “solidarietà” segnaliamo tre pensatori di diversa imposta-zione. Secondo il filosofo Roberto Escobar, autore del libro Il buono del mondo. Le ragioni della solidarietà (Il Mulino, 2018), solidarietà, empatia, simpatia, compassione sono parole di cui oggi nel discor-so pubblico e nel linguaggio della politica si è quasi persa traccia, mentre proprio oggi se ne avverte maggiormente il bisogno per le crescenti situazioni di disagio, di povertà e di disuguaglianza.
Anche il giurista Stefano Rodotà si chiede se la solidarietà non sia una pretesa anacronistica, inconsapevole di una società divenuta liquida, perennemente segnata dal rischio, dilatata nel globale, ma
risponde che la solidarietà è “un’utopia necessaria”, così la definisce fin dal titolo nel suo libro sulla Solidarietà (Laterza, 2014). Il noto giurista rileva che la solidarietà è un principio nominato in molte co-stituzioni, invocato come regola nei rapporti sociali, è al centro di un nuovo concetto di cittadinanza intesa come uguaglianza dei diritti che accompagnano la persona ovunque sia; appartiene a una logica inclusiva, paritaria, irriducibile al profitto e permette la costruzione di legami sociali nella dimensione propria dell’universalismo, e si tratta di legami fraterni, poiché la solidarietà si congiunge con la fraternità. Rodotà giunge così ad affermare che nei tempi difficili è la forza delle cose a far avvertire il bisogno ineliminabile della solida-rietà; addirittura solo la presenza effettiva dei segni della solidarietà consente di continuare a definire “democratico” un sistema politico.
Il filosofo Roberto Mancini, autore del libro S come solidarietà (Cittadella, 2013) e curatore del volume collettaneo su Solidarietà:
una prospettiva etica, (Mimesis, 2017) presenta la solidarietà come logica portante della vita morale e sociale. Partendo dall’analisi della solidarietà come emozione, come sentimento, come affetto e come modo di essere contrassegnato dall’apertura alla relazione e dall’im-pegno per la comunione con gli altri, fa emergere come centrale l’assunzione della responsabilità comune per la cura reciproca, che, dando concretezza alla coscienza della dignità di ogni essere uma-no, permette di superare l’ottica della beneficenza e di delineare una progettualità critica alternativa rispetto alle ideologie e agli assetti tuttora dominanti.
Un altro filosofo, Gerardo Cunico (nello stesso libro di Mimesis) ricorda la storia del termine e del concetto di solidarietà, per ricol-legare entrambi alla tradizione etica da cui provengono e insieme per mettere meglio in luce alcune rilevanti peculiarità portate dal vocabolo con la sua origine dalla sfera della reciprocità giuridica. L’e-sigenza di un ripensamento radicale di tutta questa tematica emer-ge anche e soprattutto dalla consapevolezza della crisi dell’atteggia-mento solidale che si avverte proprio oggi, quando più è in voga
il vocabolo e quando più ci sarebbe bisogno della messa in opera.
Alla prossimità papa Francesco riserva il capitolo secondo dell’en-ciclica, riflettendo sulla parabola del “buon samaritano” e vi ritorna nel capitolo terzo dedicato a “pensare e generare un mondo aperto”, dove si chiede: “Quale reazione potrebbe suscitare oggi questa nar-razione (della parabola), in un mondo dove compaiono continua-mente, e crescono, gruppi sociali che si aggrappano a un’identità che li separa dagli altri? Come può commuovere quelli che tendono a organizzarsi in modo tale da impedire ogni presenza estranea che possa turbare questa identità e questa organizzazione autodifensiva e autoreferenziale? In questo schema rimane esclusa la possibilità di farsi prossimo, ed è possibile essere prossimo solo di chi permetta di consolidare i vantaggi personali. Così la parola ‘prossimo’ perde ogni significato, e acquista senso solamente la parola ‘socio’, colui che è associato per determinati interessi”(n. 102).
A questo bisogna reagire, e far condividere il senso di una prossi-mità che sia ispirata dall’amore “agapico”, ossia donativo, caratteriz-zato da “generosità” e “gratuità”; è, questo, l’amore per cui si è capaci di “farsi prossimi” e non solo nei confronti di chi è vicino in modo spaziale o culturale. Ecco allora la categoria (o, meglio, la pratica) che permette di dare senso alla nuova fraternità: è la “prossimità”, la prossimità evangelica, così come è presentata nella parabola del
“Samaritano buono”, e buono è quel Samaritano in quanto soccorre chi ha bisogno per il fatto che ha bisogno, a prescindere cioè da ap-partenenze di etnia, di religione, di genere, di classe. E ancora una volta torna il binomio “vocazione e responsabilità” a caratterizzare la fraternità, nel suo essere universale, dinamica, concreta e operosa.
Tutto ciò permette di comprendere che la fraternità è complessa, e ne giustifica la rivendicata novità.
Dunque, dell’idea di prossimità occorre evitare una concettualiz-zazione, e vederla invece alla luce della operosità; non una definizione di “prossimo” è la risposta alla domanda evangelica “Chi è il mio prossimo? ”, bensì l’impegno a “farsi prossimo”, nel senso di prestare
attenzione, di prendersi cura e di avere a cuore l’altro, soprattutto se si trova in condizione di bisogno materiale o morale. Ecco, allora, che l’esercizio della prossimità porta a riconoscere il misero dapper-tutto; da qui l’opzione della compassione e aiuto per il bisognoso a prescindere dalla sua identità.
Emblematica in proposito la figura del “buon samaritano”, che è buono perché non discrimina, non seleziona, ma instaura una relazione di umanità, ispirata all’apertura universale e disinteressata.
Si tratta di un atteggiamento che ha il suo modello non in qualche disposizione umana, ma in una disponibilità divina, che si traduce nel comandamento dell’amore: il modello, pertanto, è il Padre, e proprio questo riconoscimento della paternità (e maternità) divina comporta la condizione di figliolanza, che fonda la fraternità: così nelle tre religioni monoteistiche. Al di fuori della religione, l’idea di fraternità ha avuto circolazione in chiave filosofica, etica o politica, ma si è trattato di una fraternità “orfana”: fratelli sì, ma – parados-salmente – non figli.
La configurazione solo “laica” della fratellanza può forse spiegare perché essa sia stata il “principio dimenticato”: così la triade della rivoluzione francese – libertè, egalité, fraternité – non ha funzionato completamente; infatti, libertà ed eguaglianza sono ideali che hanno bisogno della mediazione di un terzo ideale, quello appunto di fra-tellanza, che invece è rimasto assente, talché ciascuno degli altri due è stato assolutizzato e la sua radicalizzazione lo ha reso alternativo all’altro: così l’ideologia della libertà e l’ideologia della eguaglianza sono entrate in conflitto.
Da qui la necessità di non continuare a trascurare il principio di fraternità; si tratta invece di tenerlo presente, senza però frainten-dimenti, che si verificano quando se ne operano indebite riduzioni e limitazioni. No, quindi, a una fraternità classista o confessionale;
no, a una fratellanza consortile o ideologica; no, a una fratellanza lobbistica o strumentale; sì, invece, a una fratellanza a carattere uni-versale e cosmico. Su questo duplice carattere papa Francesco offre
indicazioni preziose già nell’enciclica Laudato si’ poi organicamente nell’enciclica Fratres omnes.
Il tema della prossimità è stato fatto oggetto di riflessione da alcu-ni pensatori come Esquirol, Rosanvallon, Gilligan, qui ci limitiamo a citare due volumi: quello dello psicoanalista Luigi Zoja su La morte del prossimo (Einaudi, 2009) e quello del teologo Giorgio Pantanella su La compassione del samaritano. Per un’etica della prossimità (Pazzi-ni, 2018).
Alla umanità come capacità di essere umani si è prestata atten-zione come completamento dell’essere uomini, i quali, proprio per essere uomini, sono chiamati a essere umani: l’umanità pertanto è generosità ma va oltre questa virtù, per indicare un modo d’essere e di agire pienamente umano, per dire umanistico, che quindi coltiva l’umano, permettendone la fioritura. Si tratta di una condizione che dall’antichità ad oggi si è configurata come una aspirazione non faci-le da realizzare. Sul tema si possono vedere i volumi di Maurizio Bet-tini: Homo sum. Essere umani nel mondo antico (Einaudi, 2019) e di Paolo Benanti: La condizione tecnoumana. Domande di senso nell’età della tecnologia (EDB, 2016). Da tenere presente anche il libro della filosofa statunitense Martha Nussbaum: Nascondere l’umanità. Il di-sgusto, la vergogna, la legge (Carocci, 2005).