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2. Ricerca ed analisi sulla rappresentazione del progetto architettonico dal

3.1. Rappresentazione e percezione

3.1.2. Aspetti dell'ottica della visione e deformazioni della

L'ottica a cui faremo riferimento, è quella disciplina che studia il comportamento fisico-geometrico delle radiazioni luminose atte ad impressionare il nostro occhio, in relazione agli aspetti fisiologici dell'apparato percettivo.

L'Antichità classica ha prodotto i primi trattati che si sono occupati dell'ottica dal punto di vista sia geometrico (Euclide, Tolomeo), oftalmologico (Claudio Galeno), ed anche filosofico (Platone, Aristotele e Teofrasto)4. Non sono mai mancate le perplessità a

riguardo della coincidenza della rappresentazione con la realtà, i dubbi sulla corrispondenza delle leggi geometriche con quelle che regolano la visione dell'occhio umano. Già dall'Antichità classica infatti iniziano le critiche alle deformazioni ed agli inganni della rappresentazione architettonica5. In seguito, nel Medioevo,

troviamo grande diffidenza nei confronti delle apparenze ottico- prospettiche della realtà. Le progressive scoperte della scienza della rappresentazione hanno sempre generato dubbi e critiche dovute proprio agli studi ed alle riflessioni sul rapporto percezione- rappresentazione. Infatti, nel Rinascimento il successo ottenuto dalla teorizzazione del metodo prospettico si scontrò subito con le perplessità dovute al fatto che il disegno veniva costruito come se fosse guardato con un occhio solo, e col fatto che il metodo non emulasse perfettamente le possibilità del cono visivo umano producendo aberrazioni marginali6.

Quando nasce la geometria descrittiva come scienza (secoli XVI e XVII) permane una separazione tra rappresentazione prospettica e insieme di codificazioni matematico-geometriche oggettive. Il dualismo tra “teorici” e “pratici” non si risolve neanche nel XVIII secolo con la pubblicazione dell’opera del Pozzo e di quella di Monge7.

Facciamo un rapido accenno al funzionamento dell'organo visivo, giusto per aver chiaro il tipo di problema. L'immagine retinica degli oggetti osservati non è una proiezione su una superficie piana, bensì su una superficie curva, costituita dalla retina. Su questa proiezione influiscono sia la struttura binoculare col conseguente

effetto stereoscopico, sia tutti i fenomeni atmosferici, luminosi e cromatici che accompagnano la realtà visiva.

Pertanto il disegno ottenuto mediante una proiezione prospettica di qualsiasi oggetto, e perciò anche di un'architettura, non è identico all'immagine retinica dell'oggetto dallo stesso punto di vista. Inoltre, sempre a causa della struttura fisiologica dell'apparato visivo, le immagini che si formano sulla retina non sono egualmente precisate in tutte le loro parti, ma si delineano con maggiore intensità e nitidezza nella zona centrale, nel fuoco dell'immagine retinica, che possiede cellule di gran lunga più sensibili delle altre. Man mano che ci si allontana da questa zona centrale, la visione diviene meno nitida e le immagini appaiono più confuse, come se sfumassero verso i bordi del quadro. L'effetto immediato, se vogliamo quasi inconscio, sulla rappresentazione grafica, è che l'autore sarà portato a concentrare la precisione del disegno nella sua zona centrale, lasciandola più approssimata al contorno8. Questo fatto è riscontrabile in molti schizzi progettuali

realizzati a mano libera, ma può essere anche un effetto ricercato, attraverso tecniche di sfumatura dei contorni o addirittura, nelle moderne tecniche digitali, attraverso algoritmi che riproducono tali effetti di sfocatura.

Numerose riflessioni sulla fisiologia e sulla psicologia dell'atto visivo, e sulle sue relazioni con l'atto rappresentativo, presero vita nel pensiero ottocentesco, determinando tentativi di avvicinare l'immagine disegnata alla struttura dell'occhio umano, ed un conseguente mutamento dei sistemi di rappresentazione convenzionali9. Nuovi modelli rappresentativi comparsero nella

sperimentazione pittorica, distaccandosi da un modello visivo consolidatosi a partire dal Rinascimento; mentre in parallelo, nasceva la fotografia inserendosi in un discorso di evoluzione della percezione prospettica10, e generando nuovi dilemmi critici e

riflessioni filosofiche, sui quali, in questa sede, non ci soffermeremo. La rappresentazione fotografica in architettura, infatti, non appartiene in genere al momento progettuale, se non come materiale iconografico di partenza per un'elaborazione grafica successiva, bensì al post-costruzione, in cui la maggior parte delle volte si sostituisce alla rappresentazione grafica del progetto.

Nei primi decenni dell'Ottocento ha dunque preso forma in Europa un nuovo modello dominante di osservatore, in conseguenza di una serie di riflessioni fisio-filosofiche sull'atto visivo, dovute alla diffusione di strumenti come la camera oscura e lo stereoscopio. Si passa dall'ottica geometrica, propria del XVI e XVII secolo, ad un'ottica psicologica del XIX secolo, in cui vengono studiati sistematicamente fenomeni come le immagini retiniche persistenti, la visione periferica, la visione binoculare e le soglie di attenzione11. Dopo Herman von Helmholtz (1821 - 1894), che fu il

psicologici, la teoria principale è stata quella della Gestalt12, che

elaborò interessanti teorie che recentemente sono però state messe in discussione alla luce delle nuove conoscenze sull'apparato percettivo13. L'idea promossa di un'autosufficienza

della percezione rispetto alla sfera psicologica e all'esperienza dell'individuo, con la conseguente esistenza di una forma autonoma dall'idea, apparve criticabile già agli stessi contemporanei14.

In epoca moderna, forse anche per l'influenza concettuale della fisica einsteiniana, secondo cui l'osservatore modifica i fenomeni e ne viene modificato, anche chi si occupava di spazio architettonico ha talvolta sostenuto la curvatura dello spazio in un'ottica di continuum spazio-temporale, portando ovviamente un contributo cervellotico e complesso alla teoria della rappresentazione dello spazio. Hanno avuto una rapida ma non fortunata diffusione teorie che promuovevano l'impiego di una prospettiva curvilinea per una rappresentazione dello spazio più consona alla realtà visiva. La costruzione geometrica di tali forme rappresentative risulta tuttavia molto complessa, e pertanto di difficile impiego. Inoltre c'è da notare che, quando gli oggetti sono molto distanti dall'osservatore o comunque ricadono sotto angoli visivi decisamente acuti, la prospettiva tradizionale tenda a coincidere quasi perfettamente con quella curvilinea15.

In epoca attuale, con l'introduzione dello strumento digitale, gli effetti di deformazione della rappresentazione, come abbiamo detto nel precedente capitolo, sono in genere dovuti a tecniche che emulano il comportamento ottico dell'obiettivo fotografico. Nei casi in cui le distorsioni visive dell'immagine vengono esasperate, ciò deriva concettualmente da una volontà di allontanamento dell'immagine dalla percezione oggettiva della realtà, con la sua trasposizione sul piano ideale, riferendosi spesso a dimensioni spazio-temporali che esistono solo nel mondo virtuale.

3.1.3. Il rapporto dimensionale tra uomo e oggetto del