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2. Ricerca ed analisi sulla rappresentazione del progetto architettonico dal

2.5. Considerazioni sulle caratteristiche peculiari del disegno digitale nel

2.5.2. Sul ruolo del disegno nel progetto dell'architettura digitale: controllo

Sulla scia del discorso sviluppato nel paragrafo precedente, è necessario interrogarsi ancora sui ruoli che il disegno si trova ad occupare all'interno degli innovati processi progettuali dell'architettura digitale.

Numerosi metodi progettuali si sviluppano secondo vari procedimenti e sfruttando diverse combinazioni di strumenti e tecniche digitali e non, e generano un intero mondo operativo e concettuale, ricco di idee originali. Tra questi possiamo descrivere i principali. In un primo tipo di metodo si procede dal concepimento della prima idea in modo tradizionale, mediante schizzi cartacei, quindi si realizza un modello tridimensionale fisico (il plastico) e questo viene trasformato in modello digitale attraverso una scansione con laser scanner. In questa fase la forma grafica è inizialmente quella di una nuvola di punti discreti, che rappresentano i dati acquisiti, e poi vengono elaborati tramite software che ricostruisce e restituisce visivamente la figura delle superfici. Da qui l'evoluzione progettuale procede per via digitale, anche se spesso vengono realizzati e utilizzati ancora dei modelli fisici di pari passo con le trasformazioni digitali. Una volta raggiunto il modello ritenuto definitivo, si ricavano, per via informatica, gli elaborati grafici esecutivi bidimensionali. Questo

tipo di procedimento è noto sotto il nome di Reverse Modelling, nasce una quindicina di anni fa in campo meccanico e recentemente viene usato anche in architettura. Il più noto architetto ad aver adottato questa procedura creativa nei suoi progetti è certamente Frank O. Gehry.

I disegni definitivi non sono più necessari qualora la produzione del progetto venga affidata a macchine a controllo numerico, il che avviene ormai diffusamente nel campo del Design Industriale63,

mentre in architettura, per ovvii motivi, è ancora fantascienza, sebbene attualmente qualche pioniere si stia cimentando con la sfida di affidare alla macchina dei processi di prototipazione di oggetti architettonici in dimensione reale, che cioè possono contenere al loro interno delle persone64.

In un secondo tipo di metodo il concepimento della forma avviene direttamente attraverso il computer. Alcuni software permettono di creare e modificare nello spazio virtuale superfici complesse non descrivibili con l'uso della geometria tradizionale. In questo modo superfici anche molto complesse possono essere manipolate e solo successivamente, alle forme ottenute, si assegnano le funzioni richieste. La modellazione generativa e quella cinematica fanno parte di questo secondo tipo di metodo, le ripetute e continue modificazioni spazio-temporali della forma vengono registrate come possibili varianti. Si possono ulteriormente distinguere due approcci diversi: uno che utilizza le sole variabili spaziali, e partendo dalle sezioni variabili permette la costruzione di superfici. In questo caso vengono usati modificatori spaziali (spacewarp), che generano deformazioni spaziali sugli oggetti, e sistemi particellari. L'altro introduce invece la variabile del tempo ovvero del moto: è basato su alcune tecniche come il morphing permette di controllare le trasformazioni intermedie tra una forma ed un altra; il keyframing con cui è possibile modificare nel tempo, cioè in corrispondenza di ogni keyframe, ogni parametro che definisce la forma; i metaball (blob) utilizzano interazioni dinamico- fisiche per essere generati e modificati. In ognuno di questi casi la novità sta nel fatto di usare come materiale compositivo concetti come il tempo, le forze fisiche, la luce e così via. (ad esempio Eisenman, lo studio dECOi, Kas Oosterhuis, Greg Lynn)65.

In questi procedimenti progettuali il disegno funge spesso da elemento di visualizzazione di ciò che accade alla forma ed il suo ruolo assurge pertanto a quello di “controllo a posteriori”. La differenza con una procedura tradizionale del disegno sta nella mancanza di prefigurazione da parte del progettista. Quando la minore complessità del progetto permetteva di seguirne l'intera trasformazione, dalla genesi all'esecuzione, attraverso azioni ricostruibili graficamente, allora il disegno era vero strumento di “controllo in iter” della generazione e definizione della forma.

Anche col computer è possibile eseguire graficamente tutte le tappe evolutive di certi procedimenti formali, ma sempre seguendo

metodi di progettazione tradizionali, che in molti casi non sono più adatti a gestire la crescente complessità richiesta dall'architettura. È solo quando nel metodo progettuale si fondono veramente i concetti liberati dalle potenzialità della macchina informatica, che il processo diventa non completamente figurabile. Le operazioni di modifica sul progetto vengono reiterate continuamente sulla base dei “controlli intermedi” attuati sull'immagine. Sino a pervenire alla forma ottimale, che nessun progettista è sicuramente in grado di immaginare totalmente dall'inizio alla fine.

È qui che entra in gioco il concetto di casualità: e cioè nel momento in cui il progettista non è più in grado di comprendere completamente le trasformazioni formali indotte dallo strumento digitale sulla sua creazione, poiché la visualizzazione della variazione è discontinua e appartiene ad un momento successivo. Questo disegno pertanto ha un certo valore di inconsapevolezza. Gli elementi di sorpresa che scaturiscono da questo mancato controllo, vengono spesso accolti dagli architetti come validi spunti di elaborazione, da cui ripartire, riportando così il potere decisionale in mani umane. Nelle nuove tecniche di composizione digitali, le infinite possibilità di incorrere in elementi casuali, e cioè non prefigurati, conferiscono al processo progettuale, come afferma Patrik Schumacher, una “produttiva indeterminatezza”66.

Uno degli architetti più rappresentativi dell'era digitale, che dichiaratamente lascia entrare la casualità nel suo metodo progettuale, è Ben van Berkel di UN Studio. Dai primi disegni manuali degli anni Ottanta alle elaborazioni digitali che caratterizzano la produzione dagli anni Novanta, il suo lavoro compositivo si muove senza gerarchie, secondo concetti di fluidità e defigurazione. A proposito della casualità nel suo processo compositivo, van Berkel dice che

«durante il processo ideativo, quando un evento inaspettato o un imprevisto entra nell'organizzazione o nella sperimentazione del modello che stiamo realizzando, gli permetto di accedere solo quando esso arricchisce e migliora il progetto stesso»67.

Un ulteriore elemento di dialettica tra controllo e casualità, che contraddistingue il ruolo del disegno, è inoltre introdotto dalla pratica diffusa negli studi di progettazione di demandare l'atto del disegno ad operatori CAD, che spesso non hanno la stessa cultura progettuale dell'architetto68. Questo modo di lavorare può

essere indotto da una scarsa confidenza del progettista con con gli strumenti informatici, sempre in continua evoluzione, e anche dalla necessità di gestire contemporaneamente molti processi grafici, inerenti lo stesso progetto o più progetti. I risultati a cui pervengono i vari operatori coinvolti, dunque, portano al vaglio dell'architetto ulteriori apporti da lui non controllati direttamente.