linguistica Lucia Abbate
1.1 Aspetti morfosintattici
L‘A.I. dunque si può presentare in forma ―nominativale‖ senza articolo (es. nell‘italiano regionale di Sicilia: vieni qua, mammina), ―nominativale‖ con l‘articolo (Napoli: mangia, a mammà) o in forma ―dativale‖ con preposizione e raddoppiamento fonosintattico (Catania:
non correre, a ppapà).
La forma nominativale con l‘articolo è la più antica, piuttosto
frequente in Sicilia (Trapani: mangia l‟ovu, la matṛi, mangia l‘uovo, la
madre). Le forme: u /lu patṛi, a/ la matṛi erano già diffuse nel XIX
secolo (vedi Sgroi, 1986: 23; 1990: 252 che ha dedicato ampie e approfondite indagini alle caratteristiche e alla diffusione dell‘A.I.). Successivamente si è usata anche la forma dativale, per probabile confusione fra a ―la‖ e â ―alla‖, es. sic. vieni qua, â mamma, ―vieni qua, alla mamma‖, con successiva estensione al maschile: ô papà, ―al papà‖. La forma dativale è diffusa in molte varietà regionali anche dell‘Italia centrale e si presenta per lo più col raddoppiamento fonosintattico (es. in romanesco: nun piagne, a ppapà: non piangere, al papà).
Il costrutto, nelle diverse varietà regionali, compare generalmente: alla fine di un enunciato:
vuoi la càlia, a ppapà? vuoi i ceci abbrustoliti, al papà? (Catania) di‟, a zzio dimmi, allo zio
(detto, in napoletano, dallo ―zio Pasqualino‖ al nipote ―Ciruzzo‖ in
L‟Ave Maria, 1982, regia di N. Grassia, con Nino D‘Angelo
http://www.youtube.com/watch?v=w5pY8OBBONA, min.1:16-1:18), ma può trovarsi anche in altre posizioni:
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a mammina, ma che hai, a “lissa”? la mammina, ma che sei, di malumore?
(Messina);
all‘interno dell‘enunciato:
ti piaçe, a mamma,‟sta pasta? ti piace, la mamma, questa pasta? (Palermo) attento, papà, chi ccadi! attento, papà, che cadi! (Catania);
in co-occorrenza col vocativo:
Mauro, mammuzza, così mi llurdii tutta la casa! Mauro, mammina, così mi sporchi
tutta la casa! (Ragusa)
Cazzì, a papà, tu non le devi dire le bugie
(detto da Nino Manfredi, con parlata napoletana, al figlio Cazzillo, nella parte finale del film, in Café express, 1980, regia di Nanni Loy); e persino da sola:
Papà! (sott. vieni qui!, Sinagra, Messina)
in cui il padre chiama suo figlio, nominando se stesso. Il profilo melodico è in questo caso diverso rispetto agli altri enunciati. Trattandosi di una sola parola con accento sull‘ultima sillaba, si ha un notevole allungamento della vocale finale, per poter portare tutta la melodia [paʹpa:: ?]. La sillaba finale assume un tono modulato, prima alto, poi basso alla fine del sintagma intonativo (Nespor, 1993: 275). Il costrutto trova riscontro in un‘usanza tipica delle comunità musulmane, secondo la quale «la generazione più vecchia si rivolge affettuosamente a quella più giovane usando il termine che le viene adeguatamente ricambiato dai più giovani» (Hudson, 1998:147, che cita il berbero e gli studi di Mitchell, 1975: 159). Nei dialetti arabi del Libano, della Siria e della Giordania, accade comunemente che un padre chiami ―padre‖ suo figlio (cfr. in particolare l‘ultimo esempio citato: Papà!), quasi a rendere «paritario il rapporto attraverso la promozione onorifica di chi è gerarchicamente inferiore» (Hagège, 1985/1989: 277).
L‘A.I. è inserita in genere in enunciati con verbo all‘imperativo:
sta‟ ttento, papà! stai attento, papà (Catania) vieni, a mammà, vieni vieni, la mamma, vieni
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(detto dalla madre – Lina Sastri – al figlio in italiano regionale napoletano poco dopo la sigla iniziale, in Mi manda Picone, 1983, regia di N. Loy, http://www.youtube.com/watch?v=YRTJHq07tWY); ma anche all‘indicativo:
ma che mmi diçi, a zzia! ma che mi dici, alla zia! (Taormina, Messina, detto dalla zia
alla nipote)
spesso in prima persona plurale:
come siamo spacchiosi, papà! come siamo eleganti (boriosi, alla moda), papà‘!
(Catania)
e talora con assenza del verbo:
no, a mammà no, la mamma (Napoli)
basta, a nonnuzza,basta basta, la nonnina, basta (Messina).
Anche se gli enunciati in cui è inserita l‘A.I. contengono nella maggior parte dei casi un verbo all‘imperativo, con una valenza ―strumentale‖, ―persuasiva‖, tutte le sei diverse funzioni della comunicazione verbale (secondo il modello di Jakobson, 1966: 181-218) possono stare alla base di un messaggio con A. I., es.:
funzione referenziale: ma papà ha ragione, a mmamma! (Napoli) funzione espressiva: non ce la faccio più, a ppapà (Catania) funzione conativa: vieni qua, mammina (Messina)
funzione fatica: mi senti, a mamma? (Reggio Calabria)
funzione metalinguistica: capisci quello che ho detto, a mammuzza? (Agrigento)
funzione poetica: ora, a nonna, facciamo la nanna! (Messina). 2 L‟A.I. nei dialetti
Nei dialetti si alternano forme nominali e forme dativali. In Sicilia l‘A.I. ha una particolare vitalità ed è tuttora frequente fra adulto e bambino, fra parenti più o meno coetanei, fra persone con legami di vario tipo (compare, padrino, figlioccio) e persino nei confronti di un animale domestico. Esempi:
152 nel dialetto siciliano, in forma nominativale:
ma chi ffai, a soru? ma che fai, la sorella? (Messina, detto dalla sorella al fratello) veni ccà dƏ cursa, la matṛi vieni qua di corsa, la madre (Trapani)
u viri, a mamma, comu nn‟ arridducemmu? lo vedi, la mamma, come ci siamo
ridotti? (Ragusa)
figghiuzzu meu, mancia, a mamà figlioletto mio, mangia, la mamma (Castellammare
del Golfo, Trapani)
nun carriri, a matṛi non cadere, la madre (Siracusa)
ma chi mmi diçi, a cummari! ma che mi dici, la comare! (Rometta, Messina, detto
dalla ―comare‖ al ―compare‖)
chi ssi diçi, u figghiozzu? che mi racconti, il figlioccio? (Messina, detto da un
ragazzo a una ragazza6)
accura, a matṛi, cu „stu muturi! attenzione, la madre, con questo motorino!
(Palermo)
mancia, u patṛozzu mangia, il padrino (Letojanni, Messina, detto dal padrino al
figlioccio)
hai siti, a mammuzza? hai sete, la mammina? (Messina, detto dalla padrona al
proprio cane);
in forma dativale:
nun chianciri, a zzio non piangere, allo zio (Palermo, detto dallo zio alla nipote)
oppure nella forma ô (―al‖, ―allo‖):
cuccamƏni, o frati andiamo a dormire, al fratello (Siracusa, detto dal fratello alla
sorella)
nun tƏ bbiliare, o zziu non ti amareggiare, allo zio (Messina, dallo zio alla nipote) nun cianciri, o papà non piangere al papà (Ragusa)
statti quietu, o nannu stai buono, al nonno (Noto, Siracusa);
nel dialetto calabrese:
dormi Nicola meu, a nonna dormi Nicola mio, la nonna (Reggio Calabria);
nel dialetto lucano (Basilicata):
statt‟attiend a mammƏ, stai attento, la mamma (Potenza);
nel dialetto napoletano:
6 A Messina è comune, nell‘interazione fra giovani, l‘uso dei termini:
figghiozzu/figghiozza figlioccio/figlioccia, o, fra maschi, compare (dial. cumpari)
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nun avè ppaura, a mmamma non avere paura, alla mamma
to troppo acciso, o frate tuio sono stanco morto, al fratello tuo (detto da un giovane
a un amico, autonominandosi come ―fratello‖);
nel salentino:
pigghia lu pani, mama prendi il pane, mamma (Brindisi) ce amm‟a ffà, mamme? che dobbiamo fare, mamma? (Taranto).
In vari dialetti centro-meridionali l‘A.I. può comparire unita ad aggettivi qualificativi o all‘aggettivo possessivo:
veni ccà, a nnonna bbedda vieni qua, alla nonna bella (Bova, Reggio Calabria, in cui
―bella‖ è riferito al nipotino ma concordato al femminile con nonna)
chi hai, mammuzza duçi ? che hai, mammina dolce? (Sinagra, Messina)
dommi, nonnicedda mia dormi, nonnina mia (Messina, detto dalla nonna alla
nipotina)
va sùsiti ch‟è tardu, a mamma tua dai, alzati che è tardi, la mamma tua (Trapani) veni, a mamma tòi vieni, la mamma tua (Calabria meridionale);
vedi anche in abruzzese: magnƏ,mammasè mangia, mamma sua7.
Si tratta di un tipo di aggettivazione affettiva che rinforza la funzione espressiva o persuasiva della frase. Particolarmente interessante è l‘uso dell‘A.I. con l‘aggettivo possessivo di prima persona singolare,
mio/mia, nei dialetti, ma in qualche caso anche nell‘italiano regionale,
anche nell‘Italia centrale, ad esempio nel dialetto marchigiano: dimmƏ
lu virƏ, mamma mi dimmi la verità, mamma mia (Grottammare,
Ascoli Piceno), nonché in altre lingue, es. turco: gel, babacigim vieni, papino mio (il padre che si rivolge al figlio o alla figlia); ungherese
anyám madre mia, anyukám mammina mia (detto dalle madri alle
figlie) e altri (per i quali vedi oltre).
L‘uso dell‘aggettivo possessivo mio/mia è particolarmente significativo del valore psicologico dell‘A.I., in quanto da un lato rispecchia l‘uso, nel baby talk, da parte dell‘adulto di espressioni e forme che il bambino è solito usare nei suoi confronti, dall‘altro conferma l‘aspetto di identificazione emotiva fra i partecipanti, attraverso una sorta di fusione ―affettivo-grammaticale‖ (italiano
7 Vedi l‘abruzzese ‹‹mammasé ‗figlio mio‘›› (Rohlfs, 1966-1969, II, § 433: 129-130).
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regionale di Sicilia, Messina: mangia, mammina mia, detto dalla madre al figlio maschio).
3 L‟A.I. nelle lingue minoritarie del Sud Italia
Il fenomeno dell‘A.I. è diffuso nelle parlate albanesi di Piana degli Albanesi e di Santa Cristina Gela.
Alcuni esempi:
pi, tata bevi, (il) papà
ç‟ke, mëma ? che hai, (la) mamma ?
ç‟thua, mortata ! che cosa dici, (la) zia (paterna)! haje, lalbukri mangialo, (lo) zio (acquisito)8.
Il costrutto è presente anche nell‘albanese del Molise, della Puglia, della Basilicata, della Calabria, cfr. Sgroi che riporta vari esempi di
allocuzione inversa fra le minoranze linguistiche, anche nel
galloitalico di Sicilia, a Nicosia: «vje ttsa, a mama ‗vieni qua la mamma‘››, ‹‹nella parlata allogena della Calabria, a Guardia
Piemontese, CS : stƏ „bbuŋ a mmammƏ, ‘stai buono a mamma‘» ecc.
(Sgroi, 1990: 217).
4 L‟A.I. fuori dall‟Italia
L‘A.I. si ritrova anche in Ungheria, Romania e in varie lingue che si affacciano sul bacino del Mediterraneo, maltese, turco, arabo ecc., es.:
ungherese:
gyere ide anyám vieni qui, madre mia
egyél meg, anyukám mangia, su, mammina mia (detto dalle madri che si rivolgono
alle figlie)
romeno:
vino, tată încoace vieni, padre, qua (detto dal padre al figlio, Rohlfs,1925: 443, n.2
citato da Sgroi 1990: 215)
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Ringrazio sentitamente il Prof. Matteo Mandalà (Università di Palermo), che mi ha gentilmente fornito questi esempi in albanese, precisando inoltre che, pur non essendo in grado di riportare esempi dalla parlata di Contessa Entellina, non ha dubbi sulla presenza anche in tale località di questa modalità allocutiva.
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maltese:
iekol mamà mangia, mamma ixrob mamà bevi, mamma ieqaf mamà fermati, mamma
turco:
yemek, babacigim mangia, papino mio (il padre che si rivolge al figlio o alla figlia) canim, annecigim mio caro, mammina mia (la madre, rivolta al figlio)
arabo egiziano:
y-abu „áli yá-bni o papà, Alì, o figlio (Mitchell, 1962: 55, citato da Sgroi, 1986: 26)
5 A.I. e baby talk
L‘A.I. viene considerata come uno dei contrassegni linguistici del
baby talk, dal momento che appartiene al linguaggio di tipo
affettivo-familiare ed è utilizzata soprattutto dalle madri nell‘interazione con i bambini. Ma il costrutto va studiato come fenomeno a sé, in quanto è particolarmente complesso, come si è visto, e si estende anche alle interazioni fra adulti.
L‘aspetto di ―autonomina‖ dell‘A.I. (mangia, mamma!) richiama, nella forma e nell‘intonazione (generalmente più alta), l‘uso nel baby talk del soggetto nominale al posto della prima persona: mamma ora ti fa
mangiare (invece di: ora io ti faccio mangiare); vedi un divertente
esempio di baby talk in In viaggio con papà, 1982, regia di A. Sordi, min. 0.30-032, in http://www.youtube.com/watch?v=u6jftV-Sdo4:
mettiti a sedere, Cristià, che adesso papà ti racconta, detto da Alberto
Sordi al figlio, tutt‘altro che baby (Carlo Verdone), al quale, per tutta la durata del film, il padre si rivolge parlando sempre in terza persona. Fra le caratteristiche dell‘A.I. in comune col baby talk:
il ricorso ai diminutivi (mangia, a mammina) la cancellazione dell‘articolo (bevi, papà)
l‘uso di quegli stessi nomi e aggettivi con cui il bambino si rivolgerebbe alla madre (vieni qua, mammina mia / mammuzza bella, detto dalla madre al figlio)
alcuni aspetti prosodici caratteristici, come i contorni intonazionali ―esagerati‖ (Blount and Padgug, 1977: 67-86)
L‘uso dell‘allocuzione inversa, caratterizzata da una forte connotazione emotiva, soprattutto nel rapporto madre-figlio,
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rappresenta una strategia pragmatica volta al raggiungimento ottimale dello scopo dell‘atto linguistico. Fra le varie situazioni in cui durante la giornata viene utilizzata l‘A.I. nell‘interazione adulto-bambino, una posizione di rilievo occupa l‘ora dei pasti. Non è un caso che i verbi più frequentemente usati con l‘A.I. siano: mangia, bevi, assaggia ecc. Molti autori ritengono che le conversazioni in famiglia durante il pranzo o la cena favoriscano l‘acquisizione di nuove forme linguistiche nel bambino; il momento del pasto costituisce un‘occasione di interazione molto ―forte‖, sia per il bambino sia per la madre o chi se ne prende cura, che, fortemente motivati al benessere e alla nutrizione del piccolo, gli forniscono vari input linguistici per un‘acquisizione più rapida di nuovi termini ed espressioni linguistiche (Beals, 1997: 673-94).