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Interpretazione dell‟A.I

Nel documento La comunicazione parlata 3 (pagine 166-171)

linguistica Lucia Abbate

6 Interpretazione dell‟A.I

Per quanto riguarda l‘aspetto pragmatico, l‘A.I. viene generalmente considerata come una relazione ―asimmetrica‖, in cui gli interagenti si pongono in due differenti posizioni, una superiore (one-up), una inferiore, subalterna (one-down). Questo contributo ha inteso

inquadrare il fenomeno in un tipo di interazione

―metacomplementare‖ (Watzlawick, Beavin and Jakson, 1971: 62): E (emittente) spinge D (destinatario) ad assumere la direzione del proprio (di E) comportamento; tale modalità di relazione è flessibile in quanto il comportamento di E può essere influenzato o influenzare quello di D, soprattutto nell‘interazione fra adulti. Un esempio di A.I. nell‘italiano regionale di Sicilia, in cui le scelte linguistiche dell‘emittente producono effetti di azione e regolazione comportamentale sul destinatario e viceversa:

Moglie: Non ce la faccio più, a mugghieri (la moglie)

Marito: Fatti forza, u maritu (il marito)

Moglie: Iò cci provo, ma è cosa difficile, ggioia!

Fratello: Ma non mangi niente, u frati! (il fratello)

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Indipendentemente dalla presenza (o meno) dell‘A.I. nella risposta del destinatario al messaggio del mittente, che può fare pensare (come in questi due casi) a un‘allocuzione ―simmetrica‖, non si può parlare in assoluto di maggiore ―forza‖ o ―superiorità‖ di un locutore rispetto all‘altro. È fondamentale, infatti, il ruolo che gioca il contesto nel creare una relazione ―simmetrica‖ o ―asimmetrica‖, pronta a ribaltarsi, con scambio di ruoli, in base all‘andamento della conversazione e al comportamento successivo degli interagenti. Da un lato il contesto influenza l‘atto linguistico, dall‘altro il messaggio influenza il contesto (Bianchi, 2003: 11).

Nelle dinamiche ―cibernetiche‖ della comunicazione linguistica è determinante il ruolo del feedback (―retroazione‖, controllo, aggiustamento della comunicazione) per dirigere e rendere efficace la comunicazione. Le dinamiche di ―circolarità‖ e ―retroazione‖ che stanno alla base dell‘uso dell‘A.I. determinano continui ―aggiustamenti‖ linguistico- comunicativi.

Un altro esempio in italiano regionale di Sicilia:

La mamma: Giuseppe, mangia, a mamma

Rifiuto verbale o non verbale da parte del bambino

La mamma: Giuseppe, a mamma, mangiamo!

Da una potenziale struttura profonda, in cui mamma ha un valore apposizionale:

Giuseppe (parte di me), mamma (parte di Giuseppe), deve mangiare

si generano, a livello di struttura superficiale, gli enunciati con la forma allocutiva:

a. Giuseppe, mangia, a mamma! b. Giuseppe, a mamma, mangiamo!

Il feedback rileva l‘avvenuta ricezione del messaggio: se questo non è stato ben recepito, i successivi aggiustamenti hanno lo scopo di portare a buon fine la comunicazione. I profili melodici delle due frasi sono uno ascendente in a. dove ha lo scopo di attirare l‘attenzione, incoraggiare ecc.; l‘altro discendente in b. che ha invece un effetto calmante, esprimendo da un lato preoccupazione, disapprovazione,

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dall‘altro partecipazione affettiva. Il passaggio dell‘azione da individuale a collettiva (mangiamo) in b. implica un coinvolgimento e un‘affettuosa attenzione ai bisogni del bambino, attenuando l‘idea di

imposizione dell‘azione (Bazzanella, 2005: 131); inoltre

l‘accostamento dell‘A.I al nome del destinatario (Giuseppe, a

mamma) evidenzia l‘atteggiamento di identificazione fra gli

interlocutori.

7 Conclusioni

Dall‘analisi condotta risulta che l‘A.I.:

è più vitale in Sicilia rispetto alle altre regioni dell‘Italia meridionale è più frequentemente usata dalle donne rispetto agli uomini

è presente a tutti i livelli sociali, ma soprattutto in quelli medio-bassi è più frequente nella fascia d‘età compresa fra i 30 e i 70 anni9

nell‘italiano regionale di Sicilia è più diffusa la forma nominativale; nelle varietà regionali della penisola il costrutto è per lo più dativale.

Per quanto riguarda l‘origine del fenomeno, nel siciliano è probabile l‘interferenza, a livello d‘appui, dell‘arabo (si tratterebbe cioè solo di un sostegno da parte dell‘arabo a un uso già vitale in Sicilia, Sgroi 1986: 27). Non è da escludere che il fenomeno sia anteriore alla presenza dei musulmani in Sicilia. L‘A.I., ad esempio, potrebbe essersi formata sul modello dei patronimici e matronimici greci con articolo

determinativo, del tipo gr. ὁές“il (figlio) di Peleo‖

(ἈύςOm.). Ad es. sic. veni ccà Paulu, la matṛi, vieni qua

Paolo, la madre, deriverebbe da un originario *veni ccà Paulu, u

(figghiu) di la matṛi, vieni qua Paolo, il (figlio) della madre, con

successiva scomparsa di u (figghiu) di. L‘arabo ne avrebbe rafforzato e consolidato l‘uso in forma allocutiva, semplificata. Ma è solo un‘ipotesi.

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I risultati complessivi (la prevalenza dell‘uso femminile del costrutto, la fascia d‘età che include più frequentemente mamme e nonne) sono comunque correlati all‘uso dell‘allocuzione inversa soprattutto nell‘interazione fra adulto (in genere donne, che stanno più a contatto con i piccoli) e bambino.

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È possibile comunque che il fenomeno dell‘A.I. costituisca un ―universale linguistico-comunicativo‖, essendo diffuso, oltre che nel centro-sud italiano, in varie altre lingue anche non indoeuropee. L‘allocuzione inversa è stata definita in vari modi: «elemento di una frase performativa parzialmente cancellata, io che sono la tua mamma

ti dico di […]» (Sgroi, 1986: 23 n. 9; 1990: 220-221), oppure un

«inciso affettivo» (Leone, 2004: 289-291) sintatticamente staccato dal resto dell‘enunciato, o semplicemente un «riempitivo» (Prati, 1957: 86). Pur essendo denominata anche come vocativo inverso, non si può considerare semplicemente un ―vocativo‖. Infatti, nel caso di

Giuseppe, mangia, a mamma il vocativo è Giuseppe in co-occorenza

con l‘A.I. Tuttavia fra il vocativo Giuseppe e l‘allocuzione a mamma si crea una stretta connessione semantica, come si potrebbe concretamente dimostrare se dovessimo tradurre questa frase in una lingua diversa dall‘italiano: non altereremmo infatti il significato profondo dell‘espressione rendendo a mamma come ―figlio mio‖. Col presente lavoro ho cercato di dimostrare che l‘allocuzione inversa potrebbe essere correttamente considerata un‘apposizione/allocuzione (a mamma), che presuppone come antecedente il nome ―coreferenziale‖ del destinatario (Giuseppe), vocativo che è spesso sottinteso nella struttura superficiale.

Si ha una sorta di fusione di identità fra gli interagenti come se entrambi, in simbiosi affettiva, partecipassero simultaneamente alla stessa azione.

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Parlato e dizionari. Il trattamento lessicografico

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