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L’assestamento della glossa accursiana »

La direzione individuata da Azzone prosegue con lo svol-

gersi del XIII secolo ed anche nell’opera di Accursio il tema

delle invalidità della sentenza assume una sua fisionomia com-

piuta, almeno per quanto riguarda la costruzione dei motivi e dei

casi d’invalidità; questa impostazione condizionerà tutto lo svi-

luppo successivo, periodo in cui i giuristi volgeranno la loro at-

tenzione più che alla costruzione di nuove figure di invalidità (il

numero concreto delle quali aumenterà notevolmente, ma sem-

pre a grandi linee all’interno della classificazione già evidenziata

nel primo Duecento) all’analisi dei mezzi di impugnativa ed alle

più sottili distinzioni da un punto di vista degli effetti delle di-

verse invalidità

101

.

La dottrina successiva, civilistica e canonistica, infatti, si

renderà conto che le invalidità della sentenza (così come degli

atti giuridici in generale) non sono tutte uguali e si preoccuperà

di graduarle e differenziarle da un punto di vista dei concreti ef-

fetti giuridici, costruendo specifiche figure d’impugnazione per i

diversi tipi di sentenza invalida

102

. Ed anzi proprio lo sviluppo

delle invalidità delle sentenze consentirà di aprire la strada allo

sviluppo di figure nuove d’invalidità anche nel campo dei negozi

giuridici e del diritto sostanziale

103

.

101Per tutti, cfr. F. DELLAROCCA, Le nullità della sentenza… cit., pp. 26-59. 102Significativa in proposito l’acuta osservazione di Antonio. Padoa Schioppa:

«Accanto a questi effetti, attinenti all’esecuzione della prima sentenza, l’atto di appello poteva influire su ciò che le parti o il giudice stesso avevano operato in prima istanza. E fu Pillio ad asserire, nel ‘Libellus disputatoris’, che l’appello del ‘dominus negotii’ implicava, da parte sua, la ratifica di quanto il ‘gestor’ avesse compiuto nell’istanza precedente. Ma vi era un’ultima possibile conseguenza dell’atto di appello: che la prima sentenza, benché invalida, si considerasse confermata. Conseguenza certo aber- rante rispetto ai principi del diritto antico, eppure non irreale all’inizio del Duecento se qualche formulario – come quello di Martino da Fano – si preoccupa di includere nella formula dell’appello l’espressa esclusione di tale effetto di convalida. È una testi- monianza tra le più significative di un indirizzo, sul quale si è già richiamata l’atten- zione: il principio della insanabilità di una sentenza nulla veniva ormai contestato an- che nella pratica, facendo leva proprio sul momento dell’appello» (A. PADOASCHIOPPA,

Ricerche sull’appello… cit., p. 155).

103Si veda – nello specifico – A. GUARNERI, L’azione di nullità… cit., pp. 47-52.

129

In via preliminare occorre a questo punto rilevare che sia la

classificazione proposta da Piacentino nella Summa al VII libro

del Codex e ripresa – nella stessa sede, spesso letteralmente – an-

che da Azzone, sia quella coeva di Tancredi e quella successiva

del Durante sono assai indicative, ma non certo esaustive. Esse

mirano a mettere ordine ed a rendere comprensibili le molte

cause d’invalidità, che si erano sedimentate nelle fonti giustinia-

nee o nella prassi processuale medievale, senza riuscire (o senza

volere) comunque ordinarle tutte. Il Durante, ad esempio, inse-

rirà specificamente un richiamo a quelle ulteriori fattispecie d’in-

validità della sentenza che non hanno trovato posto nella sua pur

articolata classificazione

104

. La glossa ordinaria, in merito, si af-

ferma per sintesi anche se non brilla per originalità. Accursio ri-

chiama la classificazione di Azzone, con alcune osservazioni di

rilievo:

«Ut si non dedit in scriptis, vel si stando, vel si in turpi loco,

vel si non cognovit de causa. Vel dic quod non condemnavit pro-

curatorem quando debuit, sed dominum, ut supra eo l. 1 secun-

dum Azo, quae exempla non placent, quia tunc non ordo est per-

versus, sed solennitas [sic] est omissa. Dic ergo, quod ordo iudi-

ciorum est ut offeratur libellus, lis contestetur, iuretur de

calumnia, depositiones testium conscribantur et publicantur. Sen-

tentia scribatur et a iudice proferatur, qui ordo si pervertitur non

valet sententia, ut si primo pronunciet, deinde sententiam scribat,

vel primo iuretur de calumnia, deinde fiat litis contestatio et sic

non obstat, inf. de appell. l. 1, cum ibi sit perversus ordo causae

unius ad aliam; hic autem eiusdem causae ordo pervertitur, vel

etiam omittitur»

105

.

Considerazioni in merito anche in L. RAGGI, La restituito in integrum… cit., pp. 242-

255.

104Cfr. infra, cap. VI. All’analisi della sintesi di Accursio può essere di una certa

utilità (come di prassi è avvenuto nelle edizioni della glossa) affiancare quella succes- siva di Viviano per quanto riguarda i Casus.

105«Ut si non dedit in scriptis, vel si stando, vel si non cognovit de causa. Vel dic

quod non condemnavit procuratorem quando debuit, sed dominum, ut supra l. 1 se- cundum Azo, quae exempla non placent, quia tunc non ordo est perversus, sed solen- nitas [sic] est omissa. Dic ergo, quod ordo iudiciorum est ut offeratur libellus, lis con-

In questa sede il maestro bolognese precisa l’estensione

delle invalidità ‘formali’: in altre sedi saranno esplicitate le fatti-

specie d’invalidità derivanti da altre cause

106

. Di particolare ri-

lievo è la precisazione compiuta in merito all’importanza ed alla

stabilità dell’ordo, concepito ormai come un complesso organico

di formalità, per così dire assolutamente ‘non negoziabili’ a pena

dell’invalidità della violazione e dell’omissione di elementi dello

stesso

107

. Fra queste formalità assume sempre maggior rilievo

quella della forma scritta degli atti, il che consegna – com’è noto

– il processo medievale pressoché integralmente nelle mani dei

giuristi quali ‘signori del diritto’ e della scrittura

108

. Fra queste è

bene richiamare le notazioni assai incisive compiute dalla glossa

in ordine ad alcuni aspetti importanti – anche se non fondativi –

testetur, iuretur de calumnia, depositiones testium conscribantur et publicantur. Sententia scribatur et a iudice proferatur, qui ordo si pervertitur non valet sententia, ut si primo pronunciet, deinde sententiam scribat, vel primo iuretur de calumnia, deinde fiat litis contestatio et sic non obstat, inf. de appell. l. 1, cum ibi sit perversus ordo cau- sae unius ad aliam; hic autem eiusdem causae ordo pervertitur, vel etiam omittitur» (ACCURSIO, gl. ‘Solitum iudiciorum ordinem’, ad C. 7,45,4).

106Cfr. ad esempio gl. ‘Palam est’ ad C. 7,64,2: «Sed dic quod si exprsse contra

formam iuris iudicat, ut si pronunciett minorem 14 annis testari posse, ipso iure non te- net sententia»e gl. ‘Si expressim’ ad D. 49,1,19: «Casus. Sententia lata expressim contra iuris rigorem, idest contra legem, app. non valet ipso iure, et ideo non est opus appel- lare. Sed si quis appellet, et non prosequtur, non confirmant per hoc primam senten- tentiam». In questo passo la glossa non aderisce alla posizione innovativa della Lectura azzoniana sulla possibile convalida dellas sentenza invalida in appello (di cui pure in al- tri passi la glossa mostra di essere pienamente a conoscenza, come nella glossa ‘Si con- tra ius’, ad C. 7,42), ma segue piuttosto la linea tradizionale dell’invalidità ipso iure.

107Esemplificativamente le glosse e i casi che si riferiscono all’essenzialità della li-

tis contestatio, con la previsione di una espressa clausola irritante per la stessa litis con- testatio che non rispetti le formalità previste: «Casus. Haec. Authent. Ponit ordienem eorum, quae debet precedere litis contestatio et sunt sex, quae vide per ordinem quia facta clara sunt. In fine ibi litis ergo ponit clausulam irritantem quod litis contestatio facta contra hunc ordinem pro non factam habebitur» (ACCURSIO, ad C. 3,9 lex unica).

Altrettanto intangibili sono le norme sulla giurisdizione: «Casus. Ego et tu in causa, quam habebamus, in iudicem, qui nullam alias habuit iurisditcionem consensimus ut inter nos iudicaret an sit iudex, queritur? Respond. quod non, nec si iudicaverit autho- ritatem rei iudicatae obtinet iudicatum» (VIVIANUS, casus ‘Privatorum’ ad C. 3,13,3).

108Si veda esplicitamente la glossa ‘Statutis’ ad C. 7,44; sul tema, in generale, cfr.

per tutti, R. VANCAENEGEM, I signori del diritto: giudici, legislatori e professori nella sto-

ria europea, a c. M. ASCHERI, Milano 1991.

131

del discorso sulle invalidità della sentenza. Nello specifico si pos-

sono evidenziare alcune indicazioni intorno al problema dell’er-

ror calculi, del giudice delegato (e perciò dell’intangibilità della

competenza/giurisdizione) e delle sentenze contra ius.

Per quanto concerne l’errore di calcolo presente in una de-

cisione, si era discusso in dottrina in merito alla validità o meno

della sentenza, oscillando fra l’invalidità o la mera irregolarità; la

glossa richiama le diverse posizioni della scuola (con le distin-

zioni fra errore espresso e non; fra errore compiuto dalle parti o

dal giudice e fra l’error calculi nelle sentenze giudiziali o nella

transazione della lite)

109

, concludendo, da una parte, che l’errore

delle parti non nuoce alla validità della sentenza, mentre, dall’al-

tra, l’error compiuto dal giudice vizia la sentenza

110

.

In merito alle patologie della sentenza legate agli eventuali

difetti di legittimazione e di competenza dei giudici delegati, la

posizione della glossa è chiara ed articolata; muovendo dalla ne-

cessità di circoscrivere il diffuso fenomeno della delega entro

margini di ragionevolezza, al di là dei quali possono scattare san-

zioni (inclusa l’invalidità delle decisioni) non solo per i giudici,

ma anche per le parti accondiscendenti

111

; particolarmente espli-

cita è la posizione espressa in un casus apposto a C. 3,3,5, che

commina l’invalidità della sentenza pronunciata da parte di un

giudice non dotato della potestà di delega perché senza iurisdic-

tio iure sua, ma a sua volta delegata

112

: la chiara prescrizione del

109ACCURSIO, gl. ‘Vel transactio’ ad C. 2,5,1; cfr. pure le glosse ad C. 2,10,1/3. 110«Sententia errorem continens est nulla» (ACCURSIO, ad C. 2,10,8, gl. «Durior

sententia»). Altrettanto chiaro è il casus, che affronta – invece – la fattispecie dell’error quantitatis accertato in sede di esecuzione della sentenza: «Casus. Sententia lata inter actorem et reum et reo condemnato, misit iudex executorem qui exequeretur senten- tiam: an executor conoscendo possit minuere quantitatem in sententia comprehensam, quaeritur? Dicitur non nec valet eius sententia» (VIVIANUS, casus ‘Si ut proponis’ ad C.

7,53,6); si osservi l’invalidità della decisione, che non viene convalidata con l’inizio del- l’esecuzione, né può essere corretta in fase esecutiva, ma piuttosto è considerata nulla di pieno diritto per error quantitatis.

111ACCURSIO, gl. ‘Non habet’ ad C. 3,3,5.

112«Casus. Potestatis Bononiensis homini suae iurisdictionis duorum Mutinensis

rispetto delle norme fondamentali del processo romano-cano-

nico sulla iurisdictio e sulla possibilità di delega è precisata anche

per quanto riguarda le ripartizioni fra le materie oggetto di giu-

dizio; ad esempio risulta con chiarezza l’invalidità della sentenza

resa da un giudice ‘ordinario’ in materia militare (o viceversa)

113

.

Da ultimo, la glossa precisa che la delega è conferita non illimi-

tatamente, ma il giudice deve pronunciare la sentenza entro un

termine stabilito, trascorso il quale la sentenza è senz’altro inva-

lida

114

.

Passando ora all’ambito delle decisioni pronunciate contra

ius, è merito della glossa ordinaria la stabilizzazione della dot-

trina e la chiara esposizione dello status quaestionis. Sul punto la

dottrina precedente, in ossequio alle fonti romane, aveva tradi-

zionalmente distinto fra sentenze contra ius litigatoris (che non

sono invalide, ma al più appellabili) e sentenze contra ius consti-

tutionis (nulle di pieno diritto). Accursio precisa, invece, che la

sentenza contra ius litigatoris va distinta non solo dalla sentenza

contra ius constitutionis, ma – più precisamente – dalla sentenza

contra leges, in cui si fanno rientrare probabilmente anche le vio-

lazioni delle norme statutarie accolte dalla dottrina come causa

d’invalidità proprio agli inizi del Duecento, oltre che quelle le-

gate al complesso dell’ordo processuale ormai chiaramente stabi-

lizzato e cristallizzato, anch’esso a pena d’invalidità delle sen-

tenze. Rientrano, invece, nella casistica delle sentenze contra ius

constitutionis piuttosto le formalità individuate dalle fonti giusti-

non, quia si causam suam ordinariam homini non suae iurisdictionis delegavit, puta duorum Bononiensis Mutinensis praecepto eius impune non parebit et si placitum fuerit et lata sententia non valebit» (VIVIANUS, ad C. 3,4,1, casus «In causarum»).

113ACCURSIO, gl. ‘Si militaris’ ad C. 7,48,2. Importante è anche la glossa ‘Iudex’

ad C. 7,48,1 («Si a non competenti iudice iudicatum esss dicatur») ed il casus corri- spondente, che precisa l’invalidità della pronuncia di un giudice delegato eccedendo il limite della delega conferita: «Casus. Delegatus iudex in causa, qua petebatur fundus Sempronianus, si pronunciabit de Seiano, an valeat quaeritur? Dicitur quod non».

114VIVIANUS, casus ad C. 7,64,5 «Cum»; «Delegata est alicui causa, ut pronun-

ciet intra certum diem; si ulteriori die pronunciat, non tenet sententia»: Interessante è pure la situazione seguente: «Delegati sunt duo, vel tres ad causam: unus tantum pro- nunciavit, non valet sententia nec ab eo necesse est appellare» (Ibidem, ad C.7,64,4).

133

nianee: sia le sentenze contra leges che quelle contra constitutio-

nes sono invalide, mentre sono valide quelle contra ius litigatoris:

«Scilicet litigatoris, non legis vel constitutionis, quia tunc

ipso iure non valeret sententia, ut ff. quae sent. sine app. l. I in

princ. [D. 49,1,19]»

115

.

Il passo è importante nella sua semplicità per indicare lo

spartiacque fra motivi di invalidità e motivi di appello, facendo

intravvedere una direzione inesorabile: con l’allargamento delle

cause di nullità ‘testuali’ o ‘formali’ non soltanto più contra ius

constitutionis, ma anche contra leges rischia di crescere a dismi-

sura la possibilità di invalidità delle decisioni (cosa che sarà evi-

dente nel diritto comune maturo); come ovviare a tale pericolo

per la certezza del diritto e la stabilità dei giudicati? È probabile

che anche da tali considerazioni di ‘economia’ processuale sia

sorta l’attenzione alle possibilità di convalida e di sanabilità dei

vizi della decisione, attuata in un primo tempo con un utilizzo ir-

rituale dell’appello e, con il prosieguo dell’evoluzione, con la

creazione di un preciso strumento di contestazione delle invali-

dità caratterizzato da stretti termini di decadenza e rigorosi mec-

canismi formali: la querela di nullità. L’incremento delle fattispe-

cie d’invalidità della sentenza dovrà perciò essere controbilan-

ciata da una riduzione della loro gravità e da un conseguente

mutamento di regime delle invalidità ‘declassate’ da nullità ipso

iure ad annullabilità sanabili

116

.

Con l’opera di Accursio si può considerare esaurito il per-

corso della glossa anche con riguardo al trattamento ed al regime

delle invalidità: in linea generale il maestro bolognese, pur sinte-

tizzando magistralmente l’evoluzione della scuola, non offre –

peraltro – indicazioni e soluzioni particolarmente innovative; re-

sta valida l’affermazione che il vero momento di svolta duecente-

sco sia avvenuto piuttosto con la Lectura azzoniana ove, sebbene

115ACCURSIO, gl. ‘Si contra ius’, ad C. 7,42,1.

116Alcune osservazioni in P. CALAMANDREI, La Cassazione civile… cit., in specie

in modo appena accennato, l’impostazione passa dalla preva-

lenza accordata alle invalidità assolute ed imprescrittibili alla

preminenza accordata piuttosto ai termini di preclusione ed alla

conseguente sanabilità dei vizi della sentenza. Accursio mostra di

conoscere esattamente la posizione innovativa della convalida

delle sentenze invalide, senza dare, però, il quadro compiuto dei

conseguenti rimedi avverso le sentenze invalide, che saranno, in-

vece, delineati nei decenni successivi, ad iniziare dalla magistrale

sintesi durantea; egli preferisce aderire alla soluzione tradizionale

della non sanabilità dei vizi mediante l’utilizzo improprio del-

l’appello

117

.

In proposito occorre anche rilevare la presenza nella glossa

di uno specifico strumento di annullamento (o di ri-trattazione)

della sentenza, che introduce il principio della necessità di una

pronuncia sulla nullità

118

.

Va peraltro precisato che Accursio specifica pressoché sem-

pre che non è necessario appellare

119

, forse per arginare una

117«Sed pone de factum appellatum et a iudice appellationis confirmatam pri-

mam sententiam; an poterit adhuc nulla dici prima? Videtur quod non, quasi aliud sit effectus si confirmet espresse et alius si temporis cursu. … Vel dic verius, non confir- mari. Item eligit appellare errando: cum nullam dicere poterat non ergo sibi praeiudi- cat. … Ibi voluit iudicium inter litigantes, licet non in praeiudicium domini; sed hic nullo modo et ideo confirmari in hoc non potuit» (ACCURSIO, gl. ‘Praescriptione’ ad D.

49,1,19); l’altro passo rilevante è il seguente «Casus. Sententia lata expressim contra iuris rigorem, idest contra legem, app. non valet ipso iure, et ideo non est opus appel- lare. Sed si quis appellet, et non prosequatur, non confirmant per hoc primam senten- tiam» (ACCURSIO, gl. ‘Si expressim’ ad D. 49,1,19). Anche i passi relativi al titolo

«Quando provocare non nocesse est» (C. 7,64) confermano questo punto di vista, in- troducendo anche alcune considerazioni in merito alla possibilità di rilevare le inva- lidità in via incidentale.

118«Casus. Inter actorem et reum lite contestata, reus incoepit avesse: actor in-

stabat, ut iudex ferret sententiam, tulit adversus reum et die feriato, an teneat senten- tia? Dic quod non sed retractabitur et ea nozioni alterius iudicis terminanda commit- tetur» (VIVIANUS, ad C. 7,43,4, casus «Si ut proponis»). L’argomento delle relazioni fra

appello e nullità nella glossa accursiana è richiamato dal Mancuso, che segnala lo stretto legame fra la posizione di Accursio e quella del maestro Azzone, anche se la glossa ribadisce con nettezza cha le tacita convalida dell’invalidità tramite appello ir- rituale ve senz’altro evitata: F. MANCUSO, Exprimere causam… cit., pp. 49-53.

119Lo testimonia, fra i moltissimi, una glossa al titolo «Sententia rescindi non

posse»: «Casus. An iudex sententiam suam retractare possit, quaeritur? Dicitur, quod 135

prassi che stava prendendo il sopravvento ed a cui la dottrina in

alcuni casi aveva dato anche una giustificazione ed un supporto

teorico e concettuale, in evidente ‘forzatura’ delle fonti, ma piut-

tosto in accordo con un’interpretatio più elastica ed evolutiva, at-

tenta soprattutto alle esigenze della giurisprudenza e della prassi

processuale

120

. Da questo punto di vista Accursio si pone, forse

suo malgrado, come testimone di un rapido mutamento dell’as-

setto delle invalidità processuali da assolute ad insanabili, di cui

viene a trattare nel tentativo, compiuto nella Magna glossa – ma

destinato al fallimento –, di porvi un argine.

non, nec eius successor; si secondo feratur sententia non tenebit, nec ab eo necesse est appellare» (VIVIANUS, casus ad C. 7,50,1 «Neque»); dello stesso passo, si veda anche la

glossa accursiana ‘Quendam’, contenente l’elencazione dei casi di revisione della sentenza.

120È un ottimo esempio del travaglio di una dottrina dilacerata fra la fedeltà alle

fonti ed una sempre più necessaria funzione ‘creativa’, su cui precisamente P. GROSSI,

CAPITOLO QUARTO

CONTRIBUTI CANONISTICI

S

OMMARIO

: 1. Premessa. – 2. Invalidità ed ingiustizia della sentenza nel De-

cretum magistri Gratiani. – 3. Dal Decretum al Liber Extra.

1.

Premessa.

Com’è noto, il contributo dato dalla prassi, dalla legisla-

zione e dalla dottrina canonistica al diritto processuale è note-

vole: il processo romano-canonico, una delle cattedrali del diritto

e dell’intera civiltà occidentale, fu in larga misura opera della

giurisprudenza e della prassi dei tribunali ecclesiastici e dei ca-

nonisti; tale edificazione grandiosa – al pari delle altre grandi co-

struzioni giuridiche medievali – si stagliò per secoli come un ba-

luardo di civiltà nel cuore di una società in fermento

1

.

Si cercherà, a grandi linee, di evidenziare la percezione delle

invalidità delle sentenze emergente dall’opera di Graziano e dai

maggiori canonisti a lui successivi; inoltre s’inserirà di seguito

1La bibliografia è sterminata: mi limito a rimandare agli studi classici di W. P-

CHL, Storia del diritto… cit., II, pp. 334 ss.; G. LEBRAS, La Chiesa del diritto. Introdu-

zione allo studio delle istituzioni ecclesiastiche, a c. F. MARGIOTTA BROGLIO, Bologna

1976 e J. GAUDEMET, Storia del diritto… cit., passim, oltre alle opere da loro indicate.

In proposito, precisa è l’indicazione di Francesco Calasso: «Mentre Irnerio trovava nelle compilazioni romanistiche, e soprattutto nel Digesto, che raccoglieva il tesoro della giurisprudenza romana, un modello di tecnica normativa e di logica giuridica, nulla di tutto ciò aveva Graziano, che si trovava invece sbalzato dai precetti religiosi dei testi sacri ai moralismi della Patristica, dalla casistica più diversa all’enorme mate- riale conciliare di ogni parte del mondo cristiano alle definizioni pedestremente scola- stiche delle Etymologie di Isidoro di Siviglia» (F. CALASSO, Medio Evo… cit., p. 395).