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La sentenza invalida in diritto romano »

periodo altomedievale: osservazioni generali e casi d’invalidità.

1.

Premessa.

Come premessa alle considerazioni sulla storia del diritto

comune può essere utile richiamare di seguito ed in estrema sin-

tesi la ricostruzione compiuta negli studi romanistici del modo di

concepire l’invalidità nello sviluppo storico del diritto romano

1

.

Sia i manuali istituzionali che studi specifici dedicati alla materia,

che risentono dalle categorie pandettistiche, offrono un quadro

ampio e concreto dei problemi legati alle invalidità. È un campo

d’indagine che pone molti problemi, anche in diritto romano; il

primo dei quali è cogliere le situazioni d’invalidità al di là dei ra-

gionamenti per categorie e concetti astratti (propri dell’imposta-

zione pandettistica)

2

, che i giuristi romani non avevano e che ri-

1Fattispecie d’invalidità erano già presenti nel diritto greco, pur in assenza di

una specifica riflessione dottrinale: cfr. E. CANTARELLA, In tema di invalidità del nego-

zio giuridico nel diritto attico, in «Labeo. Rassegna di diritto romano», 12 (1966), pp. 88-93.

2Infatti è propria della Pandettistica – sulla linea dell’impostazione della Scuola

storica – la deduzione dalle fonti romane di forme e concezioni estranee allo ‘spirito’ ed all’effettività del diritto romano: cfr. per tutti, P. CAPPELLINI, Systema iuris… cit., II,

schia di soffocare gli istituti così come sono emersi nella realtà

storica. Di nullità, inesistenza, invalidità e, tantomeno, di annul-

labilità nelle fonti non si parla

3

. Si trovano facilmente, però, nelle

fonti romane molte fattispecie in cui l’atto giuridico indicato

come «nullus, inutilis, pro infectus, nullius valoris vel momen-

ti…», la cui qualificazione ed il cui trattamento possono offrire

indicazioni significative. Se moltissimi sono i termini utilizzati

nelle fonti per indicare le fattispecie inefficaci o non valide (si ve-

drà poi la differenza, nelle stesse fonti romane, fra i due con-

cetti)

4

, un certo ordine si può mettere nella valutazione giuridica

e nel trattamento di tali varie fattispecie

5

, specialmente con rife-

rimento alle fattispecie di sentenza invalida

6

.

2.

Gli atti giuridici invalidi nel diritto romano (cenni).

Il diritto romano difetta di un unitario concetto di nullità,

ma, almeno al livello dello ius civile, conosce una nullità assoluta

in Diritto e secolarizzazione. Dallo Stato moderno all’Europa unita, a c. G. PRETEROSSI,

Roma-Bari 2007, pp. 3-32.

3Considerazioni importanti in M. TALAMANCA, Recensione a V. Piano Mortari,

L’azione revocatoria nella giurisprudenza medievale, in «IURA-Rivista internazionale di diritto romano e antico», XIV (1963), pp. 327-335, ID., Inesistenza, nullità ed ineffica-

cia dei negozi giuridici nell’esperienza romana, in «Bullettino dell’Istituto di Diritto Ro- mano Vittorio Scialoja», CI-CII (1998-1999), pp. 1-39 ed U. VINCENTI, Ante senten-

tiam appellari potest. Contributo allo studio dell’appellabilità delle sentenze interlocuto- rie nel processo romano, Padova 1986.

4«Basti pensare che più di quaranta termini sono adoperati per indicare i negozi

che comunque non producono i loro effetti o perché affetti da semplice inefficacia o perché tarati da vizi più gravi» (S. DIPAOLA, Contributi ad una teoria… cit., p. 14).

5Tale materia ha costituito l’oggetto dei già citati studi di Hellmann, risalenti ai

primi anni del secolo XX: F. HELLMANN, Zur Terminologie… cit., passim; con maggiore

ampiezza ID., Terminologische… cit., passim.

6La bibliografia in materia è sterminata: si può utilmente rimandare a quella

contenuta nelle monografie di Antonio Masi e del Di Paola ed alle più recenti voci en- ciclopediche: cfr. S. DIPAOLA, Contributi ad una teoria della invalidità e dell’inefficacia

in diritto romano, Milano 1966; ID., Ricerche esegetiche in tema di inesistenza e nullità,

in Studi in onore di Gaetano Zingali, III, Milano 1965, pp. 639-659; A. MASI, Il nego-

zio «utile» o «inutile» in diritto romano, Milano 1966; ID., Nullità (storia), in Enciclo-

pedia del diritto, XXVIII, Milano 1978, pp. 859-866; M. BRUTTI, Invalidità… cit., pp.

in contrapposto alla piena validità dei negozi giuridici. In altre

parole il negozio nullus (da «non ullus», come ha mostrato il sag-

gio del Di Paola) non aveva alcun valore per il diritto ed il giu-

dice doveva toglierlo di mezzo

7

. Nulli erano i negozi privi dei ne-

cessari presupposti, viziati gravemente nella forma o nella causa,

nella dichiarazione o nella manifestazione di volontà, o ancora,

contrari a norme imperative. Non esisteva per lo ius civile un ne-

gozio non valido ma avente un qualche effetto giuridico. L’inesi-

stenza dell’atto viziato era inattaccabile, tuttavia era possibile re-

cuperare la perdita patrimoniale subita agendo in via ripetitoria

con la condictio indebiti

8

.

Come già accennato, si possono riferire le cause d’invalidità

degli atti giuridici sostanziali ai casi in cui l’atto (o il negozio) si

allontana dal proprio modello

9

. Sono invalidi i negozi giuridici

che vengono compiuti dai soggetti radicalmente incapaci di agire

(o per l’età o per la condizione psichica)

10

; è considerato nullus

l’atto giuridico che non rispetta la forma prescritta (tale invali-

dità colpiva, evidentemente, soprattutto i negozi formali). Per

quanto riguarda, invece, la causa, la nullità si poteva avere sol-

tanto per i negozi causali (i negozi astratti – come noto – erano

validi e producevano i loro effetti tipici anche se avevano in con-

creto una causa turpe o illecita); nei negozi causali si aveva, ad

esempio, la nullità se la causa era illecita o se il contratto era sti-

pulato in frode alla legge

11

.

Il diritto romano classico ritiene nulli i negozi simulati,

senza dubbio alcuno nei casi di simulazione assoluta, con qual-

che eccezione nei casi di simulazione relativa (cfr. D. 44,7,4; D.

23,2,30; D. 24,1,64; D. 18,1,36; C. 4,38,9). Per quanto si riferisce

all’errore, in molti casi (ma non in tutti), esso provocava la nullità

7«In fondo per i romani dire che un negozio è nullus equivale a dire che non vi

è alcun negozio: non ullus» (S. DIPAOLA, Contributo… cit., p. 12).

8Su cui cfr. in termini riassuntivi A. GUARNERI, L’azione di nullità… cit., pp. 44-47. 9M. BRUTTI, Invalidità… cit., p. 566.

10Sintetica ricostruzione delle cause d’invalidità dei negozi giuridici nel diritto

romano in G. PUGLIESE, Istituzioni di diritto romano, cit., pp. 252-263.

11Cfr. D. 1,3,29.

43

del negozio: così era motivo di invalidità l’error in persona, l’error

in corpore e l’errore ostativo

12

. Esistevano, poi, i casi dei negozi

validi secondo lo ius civile, ma che potevano essere impugnati di

fronte al pretore e davano origine ad un apposito rimedio

13

.

Anche in altri ambiti del diritto romano si diffusero rimedi

pretorili aventi lo scopo di colpire gli effetti di un atto conside-

rato valido dal diritto civile, ma viziato («actus validus iure civili,

non in effectu»), la cui esecuzione avrebbe comportato un grave

ed ingiusto danno per il debitore

14

. Dall’analisi di questi mezzi

(restitutiones, actiones pretorili ed exceptiones) costruiti per para-

lizzare in concreto gli effetti di un negozio giuridico non per-

fetto, ma comunque non così gravemente viziato da doversi re-

putare inesistente, sono state individuate da parte della moderna

dottrina le maggiori analogie fra la concezione romana e l’o-

dierna figura dell’annullabilità negoziale.

Occorre comunque ribadire un’osservazione di fondo: non si

possono confondere i diversi punti di vista che caratterizzano e

connotano il sistema del diritto romano ed i sistemi moderni. Il

punto di vista romano, infatti, è prettamente funzionale e consiste

nel costruire un pratico rimedio, mentre il punto di vista attuale

guarda soprattutto alla struttura dell’atto: è una visione, quest’ul-

tima, tutta sostanziale, statica e strutturale, mentre quella antica è

al contrario dinamica e puntuale. Corre una differenza enorme

fra il concepire l’annullabilità come il risultato, spesso incidentale,

di un procedimento giuridico (come l’esito di un rimedio ap-

prontato in via indiretta dallo ius praetorium) ed il considerarla

come uno dei possibili modi di essere di un atto giuridico.

Esistevano, inoltre, casi di negozi validi secondo lo ius civile,

che potevano essere vanificati soltanto di fronte al pretore e da-

12In materia si veda soprattutto P. VOCI, L’errore nel diritto romano, Milano

1937.

13Puntuale e documentato il breve saggio di Burdese, a cui si può utilmente ri-

mandare per l’ampia bibliografia citata: A. BURDESE, Atti delle persone: i vizi dell’atto

giuridico in diritto romano, in Atti del colloquio romanistico-canonistico, Roma 1979, pp. 235-252.

vano origine ad un apposito mezzo processuale

15

. Oltre ai rimedi

delle azioni metus causa e de dolo, il pretore poteva concedere

specifiche eccezioni (exceptio metus, exceptio doli), con il pratico

risultato di paralizzare l’efficacia del negozio viziato. Inoltre,

vanno menzionati i rimedi previsti per i negozi viziati da violenza

o da dolo, che non rendono nullo il negozio, ma per i quali il

pretore poteva concedere azioni penali che si dirigevano contro

l’autore della violenza o dei raggiri (cfr., fra i moltissimi passi, D.

4,2,3 e D. 4,3,1).

Questa impostazione, ormai maggioritaria fra gli studiosi,

non è però accettata da tutti. Ad esempio il Robleda non esita a

parlare di annullabilità senza ulteriori precisazioni anche nel-

l’ambito dello ius civile a proposito della querela inofficiosi testa-

menti

16

. Tale schema, come notato – fra gli altri – da Piero Cala-

mandrei

17

, si ripropone anche nel campo del processo, dove la

sentenza può essere valida pienamente oppure inesistente se-

condo il diritto civile, tertium non datur

18

.

Su un altro piano, elementi di un certo interesse sono offerti

anche dalla (non ricca rispetto a quella relativa al diritto privato)

letteratura nel campo del diritto pubblico, in cui si possono tro-

vare le considerazioni svolte dalla dottrina romana sull’invalidità

della legge

19

.

Il diritto classico trasmette all’epoca di Giustiniano tutto il

suo ricco patrimonio. La compilazione giustinianea, in materia di

15Cfr. O. ROBLEDA, La nulidad del acto juridico, Roma 1964, pp. 296-303. Sulla

Querela inofficiosi testamenti si possono vedere: M. MARRONE, Sulla natura della que-

rela inofficiosi testamenti, in «Studia et documenta historiae et iuris», 21 (1955), pp. 77-122 e L. DI LELLA, Querela inofficiosi testamenti. Contributo allo studio della suc-

cessione necessaria, Napoli 1972, in specie pp. 37-180.

16P. CALAMANDREI, La Cassazione… cit., pp. 23-34.

17F. DELLAROCCA, Le nullità della sentenza… cit., pp. 3-14.

18Per tutti si vedano: G. NOCERA, Reddere ius: saggio di una storia dell’ammini-

strazione della giustizia in Roma, Roma 1976 ed ID., Il binomio pubblico-privato nella

storia del diritto, Napoli 1992.

19Anche per l’epoca postclassica ottima la sintesi di G. PUGLIESE, Istituzioni di

diritto romano, cit., pp. 760-766.

45

invalidità, riproduce in gran parte quanto fin qui sommariamente

esposto. Non si hanno, infatti, significative innovazioni sotto il

profilo terminologico, nè si notano progressi verso un concetto

generale di invalidità e di sue eventuali sottospecie

20

. Ci sono,

però, alcuni punti di frattura di considerevole importanza anche

per il futuro sviluppo della materia nel diritto medievale. In

primo luogo, nell’epoca postclassica, si crea una lunga serie di di-

vieti legislativi sanzionati con l’invalidità dell’atto che ad essi con-

travvenga, a partire dalla Lex Non dubium (C. 1,14,5), che stabi-

20Intorno a questa legge si vedano, dal punto di vista della sua formazione e

della sua autenticità, R. BONINI, Appunti sull’applicazione del Codice Teodosiano. (Le

costituzioni in tema di irretroattività delle norme giuridiche), in «Archivio giuridico Fi- lippo Serafini», CLXIII (1962), pp. 121-134. Cfr. anche J.M. CHORUS, Handelen in

strijd met de wet. De verboden rechtshandeling bij de romeinse juristen en de glossato- ren, Leiden 1976, con preziosa sintesi alle pp. 278-300. Sui problemi legati alla distin- zione fra lex perfecta e lex minus quam perfecta, ed alle conseguenze sugli atti giuridici, si veda fra i molti, S. DIPAOLA, Contributo… cit., pp. 39-67. Nella dottrina successiva,

soprattutto canonistica, si approderà ad una precisa definizione di legge irritante: «La legge irritante o inabilitante viene, infatti, definita in dottrina come quella ‘lex positiva humana qua nullus redditur actus qui, solo inspecto iure divino naturali et positivo, validus est, aut personae aufert habilitas ad negotium iuridicum, qua, inspecto eodem iure, persona gaudet’ – Van Hove, De legibus, p. 167» (G. FELICIANI, L’analogia… cit.,

p. 205). La novella teodosiana Non dubium, dell’anno 426, poi confluita nel Codex (C. 1,14,5) ha offerto uno degli spunti più rilevanti agli interpreti medievali in materia di invalidità degli atti giuridici. La sua importanza nel diritto romano, così come nelle in- terpretationes successive, è indubbia; il testo del passo è il seguente: «Non dubium est in legem committere eum, qui verba legis amplexus contra legis nititur voluntatem: nec poenas insertas legibus evitabit, qui se contra iuris sententiam scaeva praerogativa verborum fraudolenter excusat. nullum enim pactum, nullam conventionem, nullum contractum inter eos videri volumus subsecutum, qui contrahunt lege contrahere proi- bente. Quod ad omnes etiam legum interpretationes tam veteres quam novellas trahi generaliter imperamus, ut legis latori, quod fieri non vult, tantum prohibuisse sufficiat, cetera quasi expressa ex legis liceat voluntate colligere: hoc est ut ea quae lege fieri prohibentur, si fuerint facta, non solum inutili, sed pro infectis etiam habeantur, licet legis lator fieri prohibuerit tantum nec specialiter dixerit inutile esse debere quod factum est. sed et si quid fuerit subsecutum ex eo vel ob id, quod interdicente lege factum est, illud quoque cassum atque inutile esse praecipimus. Secundum praedictam itaque regulam, quam ubique servari factum lege prohibente censuimus, certum est nec stipulationem eiusmodi tenere nec mandatum ullius esse momenti nec sacramento admitti».

lisce la nullità degli atti contrari ai precetti normativi

21

. In questo

modo tendono ad aumentare i casi di negozi invalidi per illiceità

della causa: infatti, la violazione di un precetto normativo (non

solo nella lettera, ma anche nella sostanza) comportava illiceità

della causa (con conseguente nullità del negozio). Inoltre, con la

progressiva eliminazione della formale differenziazione fra diritto

civile e diritto pretorio anche i rimedi pretori vennero posti sullo

stesso piano rispetto a quelli previsti dallo ius civile. Pertanto nel

Corpus iuris si può rinvenire una prima distinzione fra le invali-

dità operanti di per sé e le fattispecie in cui si rende necessaria

una specifica impugnativa

22

. Questa impostazione opera soprat-

tutto sul regime degli atti viziati per violenza e per dolo, che ven-

gono valutati non solo come meri presupposti per una vanifica-

zione dell’atto di fronte al pretore, ma come incidenti sulla strut-

tura intrinseca dell’atto (come ad esempio in D. 50,17,16)

23

.

Operando una scelta di emancipazione dagli schemi inter-

pretativi troppo rigidi e condizionanti, in cui le fonti romane

sono state a più riprese imbrigliate – soprattutto nel secolo

scorso – dagli studi condotti con metodo rigorosamente pan-

dettistico (fondato sulle categorie giuridiche, sui dogmi e sul ra-

gionamento giuridico spinto verso l’astrazione)

24

, si può age-

21Cfr. per tutti, G. PUGLIESE, Istituzioni di diritto romano, con la collaborazione

di L. VACCAe F. SITZIA, Torino 1991, pp. 760-761.

22Occorre segnalare, ancora, l’originale impostazione di chi ha parlato di «inu-

tilità» invece che di «annullabilità»: L.M.A. DICESARE, Luci ed ombre dell’inutilità ne-

goziale… cit., pp. 1443-1447.

23Per tutti, F. WIEACKER, Storia del diritto privato moderno… cit., II, pp. 126-162. 24Senza raggiungere la posizione polemica di Corrado Pecorella, secondo cui

uno fra gli ostacoli più seri all’esatta ‘lettura’ della dottrina medievale risiede nella ro- manistica: «Si intende qui dire, accollandosi il costo della banalità, che fra i maggiori ostacoli alla comprensione del pensiero dei giuristi medievali pare da annoverarsi la dottrina romanistica: i glossatori conoscevano bene, forse meglio di chiunque altro, il Corpus Juris, ma ignoravano la romanistica, noi al contrario conosciamo male l’opera di Giustiniano ma sin dai primi anni di studio siamo portati a tutto inserire in catego- rie non romane ma romanistiche. … Non interessa qui indagare il ruolo che il brano possa avere avuto, nella veste che ci è stata tramandata o in altra, nel complesso si- stema del diritto romano: manipolazioni e interpolazioni poco o nulla chiariscono ai 47

volmente osservare come di «nullità», «annullabilità», «inesi-

stenza», «inefficacia» … etc., le fonti romane non parlassero

25

.

Non esisteva, con buona approssimazione, nel diritto romano la

«nullità» (o «l’invalidità»), ma esistevano molti contratti nulli,

esistevano i legati invalidi o i testamenti inefficaci

26

.

nostri fini, giacché i glossatori e i loro successori lessero il testo come è, e su di esso, eventualmente anche sugli errori, costruirono le loro dottrine, cercando di dare un senso anche a ciò che apparentemente non ne aveva alcuno» (C. PECORELLA, Volonta-

ria giurisdizione. L’inizio di una riflessione, in «Rivista di storia del diritto italiano», LXII (1989), pp. 6-7); in proposito occorre rilevare in ogni caso che la dottrina roma- nistica tradizionale rappresenta un condizionamento imponente per l’esatta compren- sione del pensiero giustinianeo e medievale dell’invalidità in genere e delle invalidità della sentenza in specie. Condizionamento, peraltro da intendersi secondo una duplice prospettiva, in parte feconda e positiva in parte bloccante. Fecondo e positivo è, in- fatti, il rigore concettuale e definitorio a cui approdano le analisi romanistiche e pan- dettistiche, armamentario che costituisce una ricchezza insostituibile di rigore e di ri- flessione squisitamente tecnica e giuridica dalla quale è utile attingere per ogni tipo di indagine storica. D’altra parte senza la necessaria cautela propria di ogni indagine sto- rica tale patrimonio può diventare un punto di vista deformante se si opera con la pre- tesa di inserire ad ogni costo la voce proveniente al vivo dell’indagine storica e testuale nelle strettoie dei concetti e della terminologia elaborata dalla dottrina moderna e con- temporanea; acute osservazioni in P. CARONI, Statutum et silentium. Viaggio nell’entou-

rage del diritto statutario, in «Archivio storico ticinese», XXXII (1995), pp. 129-160. Conservano ancora oggi una qualche utilità le indicazioni – di cui non sempre la pro- cessualistica e la storiografia hanno fatto tesoro – di E. ALLORIO, Significato della storia

nello studio del diritto processuale, in «Rivista di Diritto Processuale Civile», XV-I (1938), p. 201: «Attivo e reciproco può essere il ricambio dei servigi fra dogmatica e storia: se la dogmatica illumina, e rende intelleggibile e fruttuosa la storia, dal canto proprio la storia, maestra di realismo, può salvare la dogmatica dai pericoli di quel- l’infatuazione formalistica, che ha determinato la crisi della scienza del diritto». Cfr. anche supra, «Introduzione».

25Cfr. E. FINZI, Studi sulle nullità… cit., pp. 57-58.

26Ed il medioevo? È questo un punto importante su cui occorrerebbe riflettere

a lungo. Nelle trattazioni del tardo diritto comune il passaggio dal punto di vista fun- zionale (annullabilità come risultato) ad uno strutturale (annullabilità come possibile modo d’essere dell’atto giuridico) è già avvenuto in gran parte (considerazioni generali di rilievo in I. BIROCCHI, Saggi sulla formazione storica della categoria generale del con-

tratto, Cagliari 1988). Il come ed il quanto deve essere ancora indagato; come primo punto in cui in concreto il problema della gradazione dell’efficacia degli atti giuridici si è posto nell’epoca del Rinascimento giuridico si può citare l’importante glossa ac- cursiana ‘Contra tabulas’ ad I. 3,10: «Sed quare datur suis contra tabulas cum ispo iure nullum sit testamentum? Respondeo: duas habet vias: unam de iure civili, per

Le situazioni qualificabili in qualche modo come annullabili

nel diritto romano, ruotano attorno al primo punto di vista

identificato

27

. Questa impostazione ormai maggioritaria fra gli

studiosi, non è però accettata da tutti. In effetti si è levata anche

più di recente qualche voce problematica nel tentativo di far as-

sumere ai diversi rimedi pretorili vesti proprie della moderna an-

nullabilità

28

. In proposito va, infine, segnalato il tentativo di Re-

nato Quadrato, che, al termine di una puntuale analisi specifica

sul tema conclude, però in senso sostanzialmente negativo, ri-

mandando il merito di aver colto con una certa nettezza la cate-

goria di «atto annullabile» al pensiero dei glossatori

29

.

3.

La sentenza invalida in diritto romano.

L’assetto delle invalidità delle sentenze nell’ambito del-

l’esperienza giuridica romana

30

si configura, in buona sostanza,

quam potest dicere nullum, aliam de iure pretorio, per quam non dicit nullum sed an- nullandum, cum nec fieri, nec desinere possit heres de iure pretorio» e la glossa inter- lineare ‘Pro infectis’, attribuita ad Irnerio, ad C. 1,14,5 (cfr. E. CORTESE, La norma giu-

ridica. Spunti nel diritto comune classico, I, Roma 1962, p. 28). Considerazioni sul tema anche in L. RAGGI, La restitutio in integrum nella cognitio extra ordinem. Contributo

allo studio dei rapporti fra diritto pretorio e diritto imperiale nell’età classica, Milano 1965, pp. 242 ss.

27Lo studio di Ilaria Pagni, oltre a gettare una nuova luce sulle attuali prospet-