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L’evoluzione post-classica delle invalidità della sentenza »

Con lo sviluppo del sistema processuale romano dall’ordo

alla cognitio extra ordinem

44

siamo ormai nell’epoca post-classica

e si verifica una significativa evoluzione per le invalidità delle

sentenze; si diffonde, infatti, l’istituto dell’appello come stru-

mento volto ad ottenere la riforma nel merito di una pronuncia

giudiziale attraverso un completo riesame della causa (con la

possibilità – fra l’altro – di sollevare nuove eccezioni e portare

nel secondo giudizio nuovi capi di prova)

45

. In questo ambito si

42Cfr. P. CALAMANDREI, La Cassazione civile… cit., pp. 41-47, che modifica in

parte la valutazione troppo rigida proposta dal Vassalli, F. VASSALLI, L’antitesi ‘ius-fac-

tum’ nelle fonti giustinianee, in Studi giuridici, III, Milano 1960, pp. 9-20.

43Per tutti M. TALAMANCA, Processo civile… cit., pp. 31-79 (con puntuali indica-

zioni bibliografiche).

44Sull’evoluzione dell’appello nel diritto romano si vedano, per tutti: L. RAGGI,

Studi sulle impugnazioni civili nel processo romano, Milano 1961; A. PADOASCHIOPPA,

A. PADOASCHIOPPA, Ricerche sull’appello nel diritto intermedio, I, Milano 1967, pp. 13-

107; R. ORESTANO, L’appello civile… cit., pp. 166-225. Inoltre, cfr. C. SANFILIPPO, Con-

tributi esegetici alla storia dell’appellatio, in «Annali della facoltà di Giurisprudenza - Università degli studi di Camerino», VIII (1934), pp. 315-350.

45Precisa e condivisibile l’affermazione di Luigi Raggi sullo sviluppo dell’ap-

pello nell’epoca post-classica: «Rispetto a questa funzione tipica dell’appello, l’anoma- lia dell’impiego di esso come gravame di nullità sta appunto nel fatto che tale impiego non dà luogo ad un nuovo giudizio sulla medesima questione già risolta dalla sentenza impugnata, ma può solo portare, dato il carattere della nullità romana, ad un accerta- mento dell’inesistenza giuridica della sentenza stessa. Sicché, mentre con l’appello da sentenza valida si mira essenzialmente al nuovo, nell’appello come gravame di nullità l’interesse del nuovo processo si esaurisce nella valutazione sulla giuridica inesistenza 53

afferma ben presto la pratica anomala di utilizzare proprio il

nuovo istituto dell’appello anche per ottenere la constatazione

della nullità della sentenza

46

. Tale uso dell’appello non è di per sé

vietato, ma viene considerato dalla dottrina inutile e sproporzio-

nato rispetto allo scopo, raggiungibile con minor dispendio di ri-

sorse ed in un più breve tempo attraverso i tradizionali rimedi in

via di eccezione e di riconvenzione. Il ricorso a questi rimedi più

semplici era generalmente auspicato dall’ordinamento ed anzi –

a stretto rigore – nessuno strumento specifico era di per sé ne-

della sentenza impugnata» (L. RAGGI, Studi sulle impugnazioni… cit., p. 35). Altro isti-

tuto processuale, che si diffonde nel mondo romano come rimedio contro alcuni vizi delle sentenze, è la restitutio in integrum. Sorge anch’esso in ambito pretorile e con- sente di ristabilire una situazione giuridica precedente in quei casi in cui la rigidità dello ius civile provocava situazioni giuridiche di manifesta ingiustizia (a danno, per esempio, di soggetti giuridicamente deboli come i minori). Con l’epoca post-classica l’istituto assume una posizione ausiliaria e sussidiaria rispetto agli altri rimedi proces- suali (ed all’appello in particolare); i suoi rapporti con l’invalidità sono stati ampia- mente descritti da Luigi Raggi, che si sofferma a documentare come nel diritto romano la restitutio in integrum si sia affermato come uno strumento operativo e concettuale caratteristico di una cultura giuridica in cui manca propriamente l’idea di annullabilità (cfr. L. RAGGI, La restitutio in integrum… cit., passim ed ID., Studi sulle impugnazioni…

cit., in specie pp. 19-108). La restitutio, infatti, può ottenere la paralisi di effetti giuri- dici indesiderati ricostruendo la situazione giuridica anteriore all’atto viziato, ed in questo può raggiungere risultati simili a quelli di un annullamento di una sentenza considerata provvisoriamente efficace, ma in seguito annullata, fattispecie non prevista – come già rilevato – dal diritto romano. Scopo primario della restitutio, peraltro, non è tanto l’accertamento di un eventuale vizio dell’atto, ma la rimozione dell’ingiustizia e la ricostituzione dello status quo ante. Da questo punto di vista la restitutio opera in conseguenza di atti giuridici validi, che provocano però un danno ingiusto, ingiustizia questa rilevabile al di là delle strette formalità e dei brevi termini previsti per l’appello. In quest’ottica, cfr. A. BETTETINI, La restitutio in integrum processuale nell’ordinamento

canonico. Profili storico-dogmatici, Padova 1994, pp. 1-55 e G. CERVENCA, Per lo studio

della restituito in integrum. (Problematica e prospettive), in Studi in onore di Biondo Biondi, I, Milano 1965, pp. 599-630.

46Alcuni passi significativi su cui opererà la sua ricca interpretatio la dottrina

medievale: D. 2,12,1; D. 49,1,19; D. 49,1,23; D. 49,8,1.2; C. 7,64,2; C. 7,64,5. In pro- posito, G. PUGLIESE, Note sull’ingiustizia della sentenza nel diritto romano, in Studi in

onore di Emilio Betti, III, Milano 1962, pp. 725-781 ed A. PADOASCHIOPPA, Ricerche

sull’appello… cit., I, pp. 13-107; cfr. pure F. PERGAMI, L’appello nella legislazione del

tardo impero, Milano 2000 (con riferimento specifico ai rapporti fra appello e nullità, pp. 258-267).

cessario per constatare la nullità di una sentenza, trattandosi di

una decisione inesistente, cioè di un nulla giuridico assoluto

47

.

L’uso improprio dell’appello comporta, inoltre, la sottomis-

sione di questa impugnativa – volta irritualmente ad ottenere la

dichiarazione di nullità di una sentenza – ai brevi termini del-

l’appello, trascorsi i quali non vi erano altre strade da percorrere

che quelle tradizionali già esaminate (revocatio, actio iudicati, ex-

ceptiones, etc.) ed esperibili, invece, in perpetuum. In caso di ri-

getto dell’appello tali rimedi potevano, inoltre, essere esperiti per

cui – contrariamente ad una prassi che si affermerà nel medioevo

– non si può dire che l’appello avesse una funzione «convali-

dante» di un atto giuridico viziato.

L’appello poteva essere quindi utilizzato per far rilevare la

nullità, ma non come pronuncia definitiva sull’invalidità stessa.

Per cui si può concludere affermando che l’uso dell’appello in

ambito di nullità è sia anomalo (e su questo profilo molto è stato

scritto) sia zoppo o ad una sola direzione (dalla validità all’inva-

lidità, ma non viceversa)

48

. Non è previsto, infatti, alcun termine

perentorio per far rilevare la nullità della sentenza ed anche in

caso di ricorso mediante appello non è escluso il contemporaneo

e contestuale utilizzo dei mezzi tradizionali di accertamento della

nullità; resta da valutare se una volta proposto l’appello al fine

improprio di contestare la nullità della pronuncia l’appello stesso

possa essere riproposto – in caso di rigetto della domanda – o

per un nuova indagine sulla nullità o per una pronuncia nel me-

rito della causa: le fonti non offrono dati precisi al riguardo.

A rigore di pura logica, evidentemente, il ricorso all’appello

dovrebbe essere utilizzato una sola volta. Tale conclusione peral-

47Su questa seconda considerazione non si sono trovati nella dottrina risultati

definitivi; si ritiene – comunque – di potere insistere in questa direzione soprattutto per la considerazione generale del contesto in cui l’invalidità della sentenza si colloca nel diritto romano.

48Sui rapporti fra invalidità ed impugnazioni in diritto romano si vedano, fra i

molti: R. ORESTANO, L’appello civile… cit., pp. 270-285; A. PADOA SCHIOPPA, Ricerche

sull’appello… cit., I, pp. 43-46; F. PERGAMI, L’appello nella legislazione… cit., pp. 258-

267; L. RAGGI, Studi sulle impugnazioni civili… cit., pp. 78-101 e F. VASSALLI, L’antitesi

‘ius-factum’… cit., pp. 3-53.

55

tro non è così scontata: il principio della nullità assoluta della

sentenza, imprescrittibile, esercita, infatti, una forza condizio-

nante nei confronti dell’istituto dell’appello, per cui non è da

escludersi che nei casi di nullità si possano realizzare fenomeni di

indebita dilatazione dei termini preclusivi dell’appello stesso.

Prova ne potrebbero essere i frequenti richiami dell’autorità im-

periale contro l’uso improprio dello strumento appellatorio. In

effetti, la consuetudine di utilizzare l’appello per far constatare la

nullità della sentenza si diffuse rapidamente, nonostante i fre-

quenti e ripetuti divieti imperiali

49

, come mostrano le fonti (si ve-

dano esemplificativamente D. 10,2,41 e D. 37,14,24) ed è signifi-

cativo il continuo richiamo operato dagli imperatori in ordine

alla superfluità di tale rimedio

50

.

Sulla base di queste considerazioni si è voluto vedere già

nell’epoca romana il sorgere di una figura antesignana della que-

rela nullitatis del diritto comune; ritengo, peraltro, di non potere

aderire a questa ipotesi: se è vero, infatti, che nella prassi si rea-

lizza, attraverso l’uso improprio dell’appello, una pratica sotto-

posizione della nullità a termini perentori, è altrettanto vero che

tale linea non rappresenta in alcun modo il superamento della

concezione tradizionale romana, sempre ribadita dalle fonti, e

che anzi giunge essa stessa ad influenzare la prassi degli appelli

51

.

49Occorre precisare in questa sede il rapporto fra processo civile e processo pe-

nale a Roma: come sarà anche nell’epoca del diritto comune l’archetipo cui si rifanno i giuristi nella costruzione degli istituti processuali è il processo civile; quello penale sorge da quello civile e si differenzia in alcuni aspetti ma non è un altro processo (cfr. B. SANTALUCIA, Processo penale (diritto romano), in Enciclopedia del diritto, XXXVI,

Milano 1987, pp. 318-360).

50D’altra parte chi ha proposto tale equiparazione ha utilizzato una nozione

molto particolare di querela nullitatis come generica azione di nullità (A. COSTA, La

nullità della sentenza e la «querela nullitatis» nella storia del processo italiano, in «Rivi- sta italiana per le scienze giuridiche», 57 (1916), pp. 219-254); in definitiva la querela nullitatis nel suo genuino affacciarsi sulla scena delle impugnative processuali è un prodotto del diritto comune, frutto del contributo fecondo dell’interpretatio civilistica, delle istanze canonistiche e della legislazione statutaria. Per considerazioni critiche sin- tetiche, cfr. infra, cap. VI-VII.

51Antonio Padoa Schioppa evidenzia alcuni tratti delle nullità della sentenza

nell’ambito dell’analisi dell’evoluzione dell’istituto dell’appello da Teodosio II all’e- poca giustinianea: A. PADOASCHIOPPA, Ricerche sull’appello… cit., I, pp. 6-107.

Da un punto di vista strettamente concettuale, comunque,

appello e nullità si muovono su binari distanti, con pochi ele-

menti in comune

52

. L’appello – come’è noto – postula, infatti, la

presenza di una sentenza pienamente valida da riformare nel me-

rito; l’invalidità (nullità), invece, è la constatazione (di per sé an-

che superflua) di una pronuncia effettivamente mai venuta ad

esistenza giuridica.

Nella pratica, attraverso le frequenti interferenze fra l’ap-

pello e l’invalidità si realizza, però, un significativo ampliamento

della nozione di invalidità della sentenza. Essa non risponde più

soltanto ad esigenze «private», ma assume caratteri «pubblici»,

venendo così a prevalere sulle tradizionali cause di nullità quelle

più recenti legate ad alcune tipologie di errores in iudicando ed ai

frequenti errori de iure constitutionis

53

.

Nel periodo di passaggio dal diritto classico ai nuovi ap-

prodi giustinianei si realizzano alcuni significativi sviluppi del-

l’intera materia delle invalidità, anche se il quadro concettuale di

riferimento non viene a mutare, rimanendo fissa anche nell’e-

poca di Giustiniano la considerazione dell’insanabilità della sen-

tenza invalida

54

. L’epoca post-classica non comporta, perciò, ra-

dicali innovazioni da un punto di vista terminologico, né rappre-

senta una tappa verso il sorgere di un concetto univoco e

generale di «invalidità» e di sue eventuali sottospecie, ma rap-

52Per tutti, sinteticamente, C. BESSO, La sentenza civile… cit., pp. 34-36. 53Il passo, importantissimo – D. 49,8,1 – anche per i successivi sviluppi medie-

vali, è il seguente: «Quae sententia sine appellatione rescindantur. Illud meminerimus: si quaeratur, iudicatum sit nec ne, et huius quaestionis iudex non esse iudicatum pro- nuntiaverit: licet fuerit iudicatum, rescinditur, si provocatum non fuerit. Item si calculi error in sententia esse dicatur, appellare necesse non est: veluti si iudex ita pronuntia- verit: ‘Cum constet Titium Seio ex illa specie quinquaginta, item ex illa specie viginti quinque debere, idcirco Lucium Titium Seio centum, condemno’: nam quoniam error computationis est, nec appellare necesse est et citra provocationem corrigitur, sed et si huius quaestionis iudex sententiam centum, centum confirmaverit, si quidem ideo, quod quinquaginta et viginti quinque fieri centum putaverit, adhuc idem error com- putationis est nec appellare necesse est: si vero ideo, quoniam et alias species viginti quinque fuisse dixerit, appellationis locus est».

54Puntuale è la sintesi di Pugliese: G. PUGLIESE, Istituzioni…, pp. 760-766.

57

presenta, comunque, un momento di evoluzione rispetto all’e-

poca precedente

55

.

Si vengono a delineare, infatti, alcune diverse e più com-

plesse fattispecie e tipologie d’invalidità del negozio giuridico in

generale ed anche della sentenza, che, trovandosi nella compila-

zione giustinianea, condizioneranno in varia misura il diritto me-

dievale. Nello specifico si possono sintetizzare due aspetti di svi-

luppo.

In primo luogo, il periodo post-classico, ricco di produzione

normativa, crea una lunga serie di divieti legislativi sanzionati

con la nullità dell’atto giuridico che ad essi contravvengano, a

partire dal principio generale dell’invalidità degli atti contrari ai

precetti normativi contenuto nella L. Non dubium (C. 1,14,5). La

presenza di molte nuove leggi «perfette» di produzione impe-

riale comporta l’aumento vertiginoso delle fattispecie d’invali-

dità: la violazione di un precetto normativo (non solo nella let-

tera, ma anche nella sostanza), infatti, comportava illiceità della

causa (con conseguente nullità del negozio)

56

.

In secondo luogo, con la scomparsa della distinzione for-

male fra ius civile e ius praetorium anche i rimedi pretori vennero

posti sullo stesso piano rispetto a quelli previsti dallo ius civile.

In questo modo i compilatori del Corpus iuris

«vennero sostanzialmente a distinguere l’invalidità di per sé ope-

rante da quella operante soltanto su richiesta di un soggetto spe-

cificamente legittimato, il quale si valesse di uno dei rimedi (ac-

tiones, exceptiones, restitutiones in integrum) un tempo pretori,

ma ora posti sullo stesso piano degli istituti civili. La seconda spe-

cie d’invalidità può essere ancora genericamente designata da noi

moderni col termine di ‘impugnabilità’ (come già nel periodo pre-

cedente, quando però vi si aggiungeva la qualifica di ‘pretoria’),

perché i giustinianei appunto non approfondirono gli aspetti con-

cettuali del fenomeno. Deve però essere messo in rilievo che la

55Su tali profili e sui problemi legati alla distinzione fra lex perfecta e lex minus

quam perfecta si veda – fra i molti – S. DIPAOLA, Contributo… cit., pp. 39-67.

contrapposizione tra invalidità di per sé operante ed impugnabi-

lità costituì la radice di quella dicotomia tra ‘nullità’ ed ‘annulla-

bilità’, già delineata nei suoi elementi esenziali dai giuristi del di-

ritto comune e fissata nei codici civili vigenti in molti paesi del

mondo»

57

.

Come già ricordato

58

, questa impostazione viene a modifi-

care soprattutto il regime degli atti viziati per violenza e per

dolo, i cui vizi si iniziano a considerare non più come semplici

presupposti per una vanificazione dell’atto da parte del pretore,

ma piuttosto come fattori incidenti sulla struttura intrinseca del-

l’atto (cfr. D. 50,17,116)

59

. In buona sostanza l’invalidità della

sentenza si può inserire nel periodo giustinianeo in un sistema

sviluppatosi nei secoli e caratterizzato dai seguenti elementi

60

:

– una terminologia ricca e sviluppata;

– una vasta casistica di atti giuridici diversi che, in determi-

nate situazioni, non producono gli effetti giuridici loro propri;

– la coincidenza generale e mai messa in discussione dalla

dottrina (soprattutto a livello dello ius civile) fra nullità ed inesi-

stenza degli atti giuridici non conformi al modello previsto dallo

stesso diritto civile («actus nullus» = «actus non ullus»);

– una cospicua serie di rimedi funzionalmente orientati a to-

gliere efficacia ai negozi giuridici considerati (per lo più) validi

ed esistenti per il diritto civile, ma che l’ordinamento considera

opportuno rendere inefficaci perché iniqui o dannosi

61

.

57Cfr. supra, par. 2.

58Occorre ancora segnalare l’impostazione di chi ha preferito parlare di ‘inuti-

lità’ piuttosto che di invalidità o annullabilità: L.M.A. DICESARE, Luci ed ombre del-

l’inutilità negoziale… cit., pp. 1443-1447.

59Si segue qui la sintesi proposta da E. FINZI, Studi sulle nullità… cit., pp. 57-58. 60Bene interpreta la mentalità romana un noto passo del Gradenwitz: «Ciò che

il diritto romano conosce è un atto giuridico che contrasta con il senatoconsulto Vel- leiano, un atto che cade sotto la sanzione dell’interdetto sulla vis o il metus o dell’an- tico divieto di donazioni fra i coniugi: ma è un mero caso che queste tre sanzioni ab- biano uno stesso effetto» (cfr. E. FINZI, Studi sulle nullità… cit., p. 58).

61Sul processo del periodo di Giustiniano cfr. U. ZILLETTI, Studi sul processo ci-

vile giustinianeo, Milano 1965 e le più recenti considerazioni sul processo dal periodo post-classico all’epoca giustinianea in A. BELLODIANSALONI, Ricerche sulla contumacia

59

Nel processo giustinianeo, che è un processo ormai ben di-

verso dal sistema tradizionale, si riflettono in ordine alla validità

o meno delle decisioni giudiziali questi principi generali, precipi-

tato di secoli di lavorio della dottrina giuridica e della sua appli-

cazione pratica, oltre che degli interventi più o meno puntuali

della legislazione imperiale pregiustinianea

62

.

Si ritrova, infatti, nelle linee del processo desumibili dal Cor-

pus iuris civilis l’equivalenza fra sentenza nulla e sentenza inesi-

stente o, quantomeno, la nullità assoluta della sentenza stessa

63

.

Il regime della sentenza nulla è quello della imprescrittibilità e di

un’inefficacia anch’essa assoluta e non limitabile. Come gli atti

giuridici negoziali anche la sentenza risente della crescente pro-

duzione legislativa che ne condiziona in ampia misura la vali-

dità

64

. Questo complesso di risultanze storiche sostanziali e pro-

cessuali costituisce, dunque, l’eredità

65

più significativa dell’ordi-

nelle cognitiones extra ordinem, I, Milano 1998 (con specifico riferimento ai rimedi contro le sentenze invalide alle pp. 226-227).

62Così può argomentarsi a partire dalla lettura dei passi più importanti del Cor-

pus iuris giustinianeo intorno all’invalidità della sentenza: è su questi che si catalizza il lavoro interpretativo della dottrina giuridica medievale, alla ricerca di approdi meno rigidi rispetto al tenore letterale dei passi stessi, che, ritengo siano da leggersi nel com- plesso secondo l’ottica dell’equivalenza della nullità con l’inesistenza giuridica.

63Assume sempre maggiore rilievo la nullità della sentenza per contrasto con

una norma giuridica precettiva, ed anzi si afferma la tendenza di fare rientrare la mag- gior parte delle figure di nullità della sentenza entro tale nullità «contra ius constitu- tionis». Tale principio viene recepito già in questo periodo dal diritto canonico, come si può leggere chiaramente dalle lettere di un pontefice come Gregorio Magno (590- 604): cfr. J.J. NOONE, Nullity in judicial acts. A historical conspects and a commentary,

Washington 1950, pp. 1-2.

64Si vedano in proposito le precise analisi di R. FERRARIZUMBINI, La lotta contro

il tempo… cit., pp. 53-148. In line generale, infatti, pochi elementi vengono, in mate- ria di invalidità, dall’alto medioevo: qualche accenno in P.S. LEICHT, Il diritto privato

preirneriano, Bologna 1933, pp. 25-28 e pp. 204-210. Può essere utile richiamare in proposito due risalenti opere di area germanica, intrise di riferimenti romanistici: C.W. STRECKER-K.C. GUTBIRUS, De sententia ipso iure nulla, Erfordiae 1738 e H.M. VONBAR- DELEBEN, De sententiarum nullitate commentatio giuridica, Berlin 1838.

65Per tutti, si vedano: M. BELLOMO, L’Europa del diritto comune, Roma 1994,

pp. 45-65; M. CARAVALE, Ordinamenti giuridici dell’Europa medievale, Bologna 1994,

pp. 15-240; E. CORTESE, Il diritto nella storia medievale. I. L’alto medioevo, Roma 1995;

P. GROSSI, L’ordine giuridico… cit., pp. 37-123; A. PADOASCHIOPPA, Il diritto nella sto-

namento giuridico dell’epoca romana e pilastro solido da cui si

leverà la costruzione del processo medievale propria dell’epoca

del rinascimento giuridico seguito ai secoli dell’alto medioevo

66

.

5.

Dall’eredità romana al periodo altomedievale: osservazioni ge-