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dinatore di Piacentino. – 4. Da Piacentino ad Azzone. – 5. La svolta az-

zoniana. – 6. L’assestamento della glossa accursiana.

1.

Premessa.

A partire da Irnerio si trovano dunque già alcune testimo-

nianze della presenza nella prima riflessione dottrinale bolognese

di alcune fattispecie d’invalidità delle sentenze

1

. La materia è co-

1Occorre precisare il significato del termine sentenza nelle opere dottrinali che

saranno prese esame. Il Durante, ad esempio, la definisce in diversi passi dello Specu- lum (su cui cfr. infra, cap. VI), differenziandola con chiarezza dagli atti giuridici diversi dalla sentenza volti anch’essi a porre fine a controversie su un piano giuridico, come la transazione o le varie specie d’arbitrato. Caratteri distintivi della sentenza sono, in ogni caso, la presenza di un organo giudicante e l’utilizzo, per dirimere la controversia, (fosse anche in materia penale in cui di controversia si può parlare fra l’autore del reato e l’intera collettività) di uno sviluppato strumentario tecnico-giuridico. La sen- tenza, perciò, non va confusa con la transazione né con le altre figure pattizie che pongono fine fuori dal giudizio ad una controversia. Cfr. fra i molti, A. CAMPITELLI, Ac-

certamento e tutela dei diritti nei territori italiani nell’età medievale, con Prefazione di N. PICARDI, Torino 1999 e G. D’AMELIO, Indagini sulla transazione nella dottrina inter-

media con un’appendice sulla scuola di Napoli, Milano 1972, cit., pp. 5-145; L. MAR- TONE, Arbiter… cit., passim. Si può altrimenti dire che la sentenza si pone nel me-

dioevo come una delle più importanti manifestazioni della iurisdictio, concetto impor- tante e complesso, su cui cfr. P. COSTA, Iurisdictio… cit., passim e P. GROSSI, L’ordine

giuridico… cit., pp. 130-135. Ottima ricostruzione con riferimento all’intera esperienza del diritto comune è quella di G.P. MASSETTO, Sentenza (diritto intermedio), in Enci-

munque ancora ai margini dell’analisi dei civilisti ed ai margini

resterà ancora per un certo tempo. In ogni caso, lo sviluppo della

materia prosegue e compie anzi passi di grande rilievo a cavallo

dei secoli XII e XIII, periodo in cui si definiscono le categorie

già presenti nelle fonti e nelle opere più antiche e ne sorgono di

nuove ed importanti. Fra i primi concetti si definiscono i criteri

delle invalidità contra ius constitutionis, delle nullità delle sen-

tenze non redatte per iscritto, delle invalidità delle sentenze rese

da giudice corrotto, mentre per il secondo tipo si affermano altre

ed eterogenee fattispecie d’invalidità delle sentenze

2

. Il progresso

compiuto negli studi giuridici dai giuristi posteriori al ca-

poscuola Irnerio consente di guardare in materia d’invalidità

delle sentenze ad una serie di dati testuali, ovviamente, più ricca

delle scarne testimonianze del periodo più antico ed il quadro

che ne emerge ha senz’altro contorni più definiti e figure più ni-

tide e marcate (anche se persistono zone d’ombra o angoli

oscuri).

Se, infatti, per altri istituti del diritto medievale il contributo

dei giuristi glossatori è di per sé sufficiente ad offrire la risposta

alla quasi totalità dei problemi, questo non vale per l’invalidità

della sentenza, per la quale il disegno complessivo si può cogliere

solo attraverso l’esame dell’opera dei glossatori, dei commenta-

tori e del diritto canonico. Ed a ben osservare neppure tali studi

possono bastare: occorre, infatti, dare conto anche del contri-

buto apportato alla materia dai cosiddetti ordines iudiciarii

3

e

dalle rubriche dedicate alle sentenze presenti negli statuti comu-

nali coevi

4

.

2In generale, si veda P. CALAMANDREI, La Cassazione civile… cit., pp. 141-191. 3Si dedicherà una certa attenzione a tali opere, che offrono alcune testimo-

nianze di un certo interesse anche per quanto riguarda le invalidità della sentenza; gli ordines sono difficilmente collocabili simpliciter come opere canonistiche o civilistiche: in realtà sono una cosa a sé, frutto dell’influsso, oltre che della civilistica e della cano- nistica, anche della prassi giudiziaria: cfr. infra, cap. VI, anche per una bibliografia più dettagliata.

2.

Dopo Irnerio.

Avviando un tentativo di ricostruzione delle tracce delle in-

validità della sentenza fra i glossatori si può iniziare dai quattro

dottori bolognesi, per giungere poi alle opere di Piacentino ed a

quelle di Azzone. A ben vedere, peraltro, mentre le opere di Az-

zone e Piacentino (così come dei successivi commentatori) sono

note e facilmente esaminabili

5

, difficoltà maggiori si trovano per

il reperimento delle fonti risalenti al periodo di Irnerio e dei suoi

allievi

6

. Emerge comunque dal periodo dei glossatori global-

mente inteso uno sviluppo imponente delle diverse tipologie di

invalidità della sentenza, che già le grandi sintesi di Piacentino

ed Azzone tenteranno di ordinare, classificare ed in certo modo

graduare, aprendo la strada (attraverso la cristallizzazione della

dottrina operata dalla glossa ordinaria)

7

, alle successive sintesi

(fra le quali spiccano quelle del Durante e quella trecentesca di

Bartolo)

8

.

Si possono individuare alcune tappe dell’evoluzione delle

classificazioni e delle tipologie delle invalidità della sentenza con

un’attenzione particolare al pensiero di Azzone, che rappresenta

un punto di svolta di grande importanza. Si può dunque muovere

da alcune testimonianze dei primi glossatori. In linea generale è

ormai assodata l’invalidità della pronuncia contraria al diritto

9

, ed

5Ad eccezione dell’apparato di Ugolino de’Presbiteri le altre opere dei maestri

hanno avuto edizioni a stampa fra il Quattrocento ed il Cinquecento.

6Per tutti, E. CORTESE, Le grandi linee… cit., pp. 251-273.

7U. NICOLINI, I giuristi postaccursiani e la fortuna della «Glossa» in Italia, in Atti

del congresso di studi accursiani, Bologna 21-26 ottobre 1963, a c. G. ROSSI, Milano

1968, pp. 799-943.

8Proprio nello Speculum e con Bartolo si realizzerà una sintesi equilibrata ed ef-

ficace fra le esigenze di giustizia sostanziale e quelle di certezza del diritto, tenendo in adeguato conto anche le innovazioni introdotte dal diritto statutario: cfr. infra, cap. IX. Va però considerata in adeguta considerazione la novità dei primi glossatori che vengono a considerare la sentenza come atto giuridico formalizzato, ben diverso dalle decisioni altomedievali che si debbono considerare come verdetti di natura assai dif- ferente.

9«Sicut autem non est opus appellatio, si sit contra jus sententia lata, sic si

venabili mercede sententiam proferat» (Anedocta quae processum civilem spectant, a c. 93

altrettanto l’invalidità della sentenza pronunciata dal giudice cor-

rotto:

«Quando provocare non necesse est. Non est opus provoca-

tione, si iure lata sententia non tenet, ut si contra ius sit pronun-

tiatum, aut eo pro constanti abito quod apud ordinarium iudicem

pendet in questione, vel iudex aliter quam ei iure permittatur iu-

dicet, seu venalem mercede corruptus sententiam proferat, vel si

quo alio modo sit irritum quod statuit»

10

.

L’invalidità viene considerata qui fra i motivi di appello,

senza una propria autonoma rilevanza e senza un definito spazio

concettuale. Non sono precisate le caratteristiche di tali figure

d’invalidità, al più se ne considera l’elevata eterogeneità e la con-

nessione con il rimedio dell’appello:

«An valet sententia a iudice corrupto lata. Item quem iudex

sorde pecuniae corruptus iniustam sententiam fert, quaeritur, an

sententia teneat? Respondent: tenet, quum non sit contra leges

vel contra costitutiones expressim lata; tunc enim valet, ut D. De

appellat. [49, 1, L. Si expressim 19], imo potius videtur contra ius

litigatoris lata, licet hic id expressim non sit admittendum quia

tunc necessaria erat appellatio»

11

.

A. WUNDERLICH, Gottingae 1841, p. 22); «Cessat itaque appellatio cum propter rem,

tum propter personam. Propter rem, quid sit contra jus lata sententia vel mercede ve- nabili, vel quia sit ad dumviratus vocatus is, de quo per appellationem incertum fuerat, an jure fieri ad decurionatum vocatus; vel quia sit in momentaria possessione decreta» (Ibidem, p. 26): la costruzione è abbastanza completa e raffinata, anche se è ancora del tutto assente l’idea di una specifica ‘azione’ di nullità. I passi sono attribuiti a Bulgaro. Si può facilmente osservare il netto salto di qualità rispetto alle scarne fonti altomedie- vali, in cui raramente ci si trova di fronte ad atti giuridici qualificabili come vere e pro- prie sentenze, ma ci si riferisce per lo più a «verdetti» di natura politica o militare.

10Summa Codicis des Irnerius mit einer Einleitung, a c. H. FITTING, Berlin 1884,

p. 259; sulla stessa linea il passo seguente: «Salvo autem iure tam scripto quam non scripto statuere debet: contra ius enim lata sententia statim infirma est, quemadmo- dum iniqua per appellationem infirmari potest. Equitas enim partim iure comprehensa est» (Ibidem, p. 257). Ci si riferisce qui alla cosiddetta Summa Trecensis a suo tempo erroneamente attribuita ad Irnerio, ma oggi – com’è noto – attribuita al periodo im- mediatamente successivo al fondatore della scuola bolognese.

11Dissensiones dominorum sive controversiae veterum iuris romani interpretum

Oltre alla corruzione del giudice produce senz’altro l’invali-

dità della sentenza anche la corruzione dei testimoni. Il vizio è

però considerato meno grave, tanto che in questo caso può ipo-

tizzarsi una fattispecie d’invalidità sanabile:

«De sententia ex falsis testationibus. Dicunt Quidam, quod

sententia lata per falsos testes semper infringi debet, sive testes isti

corrupti sunt pecunia sive non, et hoc tali ratione, qua personae

testium appellatione instrumentum continentur. Alli dicunt, quod

ita demum rescinditur, si testes sunt pecunia corrupti data»

12

.

Non offrono spunti di rilevo particolare i passi dei primi

glossatori editi dal Kantorowicz, salvo una precisa definizione di

res iudicata

13

. È qui accennata la dialettica fra verità sostanziale e

CHESI, Giustizia e corruzione… cit., pp. 157-216; prevalgono le esigenze di giustizia

– richiedendosi in alcuni casi il rimedio formalizzato dell’appello – proprie anche di una certa cultura canonistica, su cui si veda nello specifico L. MUSSELLI, Il concetto di

giudicato… cit., pp. 49-59.

12Dissensiones dominorum sive controversiae veterum… cit., n. 105. Si noti nello

stesso manoscritto chigiano un passo importante in tema di nullità delle disposizioni testamentarie. In effetti la ferrea distinzione fra invalidità sostanziali e processuali che caratterizza l’attuale dottrina non vale in assoluto per il diritto medievale; «Dicunt Quidam: testamento facto, quo filius sit preteritus vel minus rite exheredatus, et di- cunt, hodie non esse locum querelae, nisi interfratres, turpibus personis institutis. Alli vero dicunt, quod si filius in protestate constitutus sit et praeteritus. Ipso iure nullum est testamentum, ut olim; si vero exheredatus, tunc irritandum est per querelam, et querela perlata non est ipso iure nullum testamentum» (Ibidem, n. 53, p. 159).

13«Hec sunt, que litis contestacionem procedunt et subsequuntur: ante libel-

lumde lite contestando infra duos menses caucio; libellj oblacio; litis contestacio; iuri- siurandi de calumnja prestacio; advocatorum iuracio; parccium assercio; instrumento- rum exibicio; testium produccio; dilacio; cause examinacio; rebra iudicis interrogacio; supplicacio; interlocucio; diffinjcio; execucio sive appellacio; apostolorum dacio ad iu- dicem superiorem; et personarum et actorum transmissio et intra dies fatales appella- cionis examjnacio. Tria sunt, ques preiudicant veritati: res iudicata, transaccio; ius iu- randum. Res iudicata - unde dicitur: res iudicata pro veritatate accipitur [Aut. 96,1 ad C. 3,9,1], et iterum: semel cum causa approbata fuit, vera sit suve falsa, non iterum re- tractatur. Transaccio – id est pactum – et sepe preiudicat veritati, ut vulgo dicitur: ‘pactum vincit legem’. Jus iurandum - sepe preiudicat veritati» (H. KANTOROWICZ, Stu-

dies in the Glossatores of the Roman Law. Newely discovered writings of the Twelfth Century, Cambridge 1938, p. 231). Il passo è certamente significativo, sia per la sinte- tica enunciazione dei momenti essenziali dell’ordo processuale, sia per l’enunciazione 95

verità processuale che caratterizzerà tutto lo sviluppo successivo

del sistema processuale, presente anche nel testo pubblicato a

suo tempo da Vittorio Scialoja:

«Dissentiunt, an iudex, sciens rei veritatem, sine testium

probationem possit ferre sententiam. Martinus dicit, quod si iu-

dex sciat rei veritatem negocii, de quo iudex et testis est, quod

sententiam ferre potest secundum quod noverit in civili causa.

Sed non in criminali; ubi, sine accusatione, iudicare non potest:

exemplo Christi, qui mulierem deprehensam in adulterio absolvit

dicens: nemo est, qui te accuset, nec ego te condempnabo. Bulga-

rus contra: dicit enim, et in civili causa et in criminali iudicem, se-

cundum quod scit, posse iudicare: et hoc per contrarium legis in-

tellectum C. de fide instru. Apud eos [C. 4,21,13]»

14

.

L’evidente discrepanza fra risultanze processuali e mondo

dei fatti costituisce un problema essenziale della riflessione, che

si pone il problema della «verità» delle sentenze e degli stru-

menti di cui può disporre il giudice per raggiungerla. Le posi-

zioni sono differenti e oscillano fra l’invalidità della sentenza ri-

cognitiva della «verità», rilevante in assenza d’idonei strumenti,

fino alla sua piena produttività di effetti giuridici. In questo

senso la costruzione delle tipologie d’invalidità della sentenza

nell’epoca dei glossatori si fa strada a cavallo fra la considera-

zione delle esigenze irrinunciabili di equità e di rispetto della ve-

rità e della giustizia sostanziale

15

ed esigenze di più stretta «lega-

della natura preclusiva del giudicato, della transazione e del giuramento decisorio: at- traverso tali istituti si tende a rendere intoccabile la «verità» raggiunta. In merito cfr. L. MUSSELLI, Il concetto di giudicato… cit., pp. 38-47; G. D’AMELIO, Indagini sulla

transazione… cit., pp. 5-75. Al proposito significativo il titolo di una pubblicazione sull’evoluzione moderna del diritto processuale in Italia: L. GARLATIGIUGNI, Inse-

guendo la verità. Processo penale e giustizia nel ristretto della prattica criminale per lo stato di Milano, Milano 1999.

14V. SCIALOJA, Di una nuova collezione delle Dissensiontiones dominorum

con l’edizione della collezione sessa, in Studi giuridici, II, Roma 1934, pp. 327-413 (già in «Studi e documenti di storia del diritto» (1888,1890-1891); il passo citato è a p. 378.

lità» (derivanti specialmente dall’estensione alla sentenza dei

principi invalidanti contenuti nel passo del Codex della Lex Non

dubium)

16

; la «legalità» (o meglio «legittimità») processuale da ri-

spettare a pena di grave invalidità si configura come rispetto del

diritto scritto (ius constitutionis) e dell’ordo complessivamente

considerato.

Confermano tutto ciò anche due opere per molti versi ano-

male nel panorama della prima elaborazione medievale: il Liber

pauperum di Vacario e Lo Codi di area franco-provenzale. Per il

primo testo si può fare riferimento ad un passo di un certo ri-

lievo, che stabilisce in via generale l’invalidità della decisione as-

sunta «contra ius commune», a prescindere dal merito della de-

cisione (che coinvolge, invece, unicamente il profilo dell’errore

contra ius litigatoris, che di regola non vizia la decisione):

«… Quia, quando bone vel male iudicat, sententia quidam

est, sed male dicit quia contra ius litigatoris. Si autem contr aius

comune sententiam tulerit, nec bene nec male iudicavit, quia ni-

chil egit, cum ipso iure nulla sit sententia»

17

.

Ci si colloca nell’orizzonte tradizionale delle fonti, senza

prevedere uno specifico rimedio avverso le sentenze nulle di

pieno diritto, che vanno pertanto considerate annullabili senza

sull’efficacia della transazione, che richiama – oltre all’opinione di Bulgaro – anche quella di Giovanni Bassiano: «Bulgarus dicit, quod de re facta transactio per calum- pniam non valet; sed de calumpnia, licet per calumpniam, recte valet, ne lites exten- dantur in immensum, ar. C. de plus pet. in fi. [C. 3,10,3]. Ioannes Bassianus idem di- cit. Placentinus contra, et dicit transactionem utrobique nullam esse, si per calum- pniam extorqueatur (Ibidem, p. 373).

16C. 1,14,5. Occorre non equivocare sul termine «legalità», che può far pensare

a concetti e situazioni giuridiche estranee al mondo medievale. Ricade in questo errore di prospettiva il pur pregevole studio di Ugo Nicolini: U. NICOLINI, Il principio di le-

galità… cit., in specie pp. 175-292, a proposito del quale si può ben condividere la cri- tica mossegli da P. GROSSI, L’ordine giuridico… cit., p. 144. Interessanti notazioni, an-

che in prospettiva storica, in G. LOMBARDI, Legalità e Legittimità, in Novissimo Digesto

Italiano, IX, Torino 1963, pp. 577-582.

17The Liber pauperum of Vacarius, ed. F. DEZULUETA, London 1927, p. 236.

97

limiti di tempo, in via di semplice eccezione o di azione de

facto

18

.

Per il secondo testo (Lo Codi), di rilievo è il trattamento

delle sentenze arbitrali, in cui si impone l’invalidità per espressa

violazione di legge; va osservato che l’invalidità delle decisione è

indipendente dalla consapevolezza o meno del vizio da parte del-

l’arbitro, ma dipende unicamente dalle sue mancanze intrin-

seche

19

: inoltre ocorrre segnalare il brano avente riguardo all’in-

validità della decisione arbitrale, le cui caratteristiche sono pres-

soché paragonabili a quelle delle decisioni giudiziali:

«Quod sentencia data contra racionem non valet. Arbitri sen-

tencia, sive iusta sive ingiusta fuerit, observari debet, nisi aperte

fuerit data contra leges, vel pro pecunia vel pro amicizia, quia

tunc teneri non debet, sed hodie non valet sentencia inracionabi-

liter provata, sive arbiter scienter vel inscienter sentenciam dixit.

Arbiter debet dare iudicium in presencia utriusque partis, set in

una parcium non fuerit in placito die stabilita, debet dare penam

quam promisit. Sentencia autem non valet, si non fuerit ibi ambe

partes, nisi hanc convencionem fecerunt quando posuerunt se in

18Sulla stessa linea si può collocare un altro passo della stessa compilazione, che

stabilisce un termine molto lungo (vent’anni) per rilevare attraverso il rimedio della re- tractatio la nullità della sentenza: «De sententiis latis adversus fiscum retractandis. … Quando lata est sententia per gratiam vel per sordes vel per prevaricationem, potest: nichil valet ipso iure, et potest retractari infa XX annos» (Ibidem, p. 28).

19«Quod sentencia data contra racionem non valet. Arbitri sentencia, sive iusta

sive ingiusta fuerit, observari debet, nisi aperte fuerit data contra leges, vel pro pecu- nia vel pro amicizia, quia tunc teneri non debet. Sed hodie non valet sentencia inra- cionabiliter provata, sive arbiter scienter vel inscienter sentenciam dicit» (Lo Codi. Eine Summa Codicis in provenzalischer sprache aus der mitte des XII. Jahrunderts, a c. H. FITTINGund H. SUCHIER, Halle 1906, pp. 34-35): la rubrica fa riferimento alle de-

cisioni arbitrali, ma esprimono una linea di tendenza comune anche alle decisioni strettamente giudiziali; si osservino anche le fattispecie d’invalidità – già rilevate – delle sentenze venali. Per l’edizione dell’opera nel testo provenzale, F. DERRER, Lo

Codi. Eine Summa Codicis in provenzalische Sprache aus dem XII. Jahrundert. Die Pro- venzalische Fassung der Handschrift A (Sorbonne 632). Vorarbeiten zu einer kritischen Textausgabe, Zürich 1974; in merito cfr. per tutti A. GOURON, Du nuoveau sur le Codi,

in La science du droit dans le Midi de la France au Moyen Age, London 1984, pp. 271- 277.

manu arbitri, ut ipse posset dare sentenciam sine una parcium vel

sine utraque: nam tunc coguntur partes stare sentencie et dare pi-

gnora et promissionem. Sin autem pena non fuit inde promissa

nec manulevator nec pignora, set ambe partes inter se tantum

promiserunt quod facerent quod arbiter diceret, et aliqua par-

cium noluerit id facere, tunc debebit tantum dare alii parti quan-

tum sibi prodesset, si observarent dictam sententiam»

20

.

Il passo si apre con il richiamo al principio canonistico della

‘stabilità’ delle decisioni

21

; principio superato soltanto dai casi

d’invalidità, determinati anzitutto dalla violazione di legge e poi

dall’ingiustizia causata da corruzione o patente parzialità dell’ar-

bitro, oltre al caso di ‘irrazionalità’ della decisione; su tale espres-

sione occorre spendere qualche parola, poiché essa può ricon-

dursi – a mio parere – alla sua illogicità o alla sua intrinseca atti-

tudine a violare i canoni della giustizia sostanziale. In tal senso

non rileva la coscienza dell’arbitro, ma solamente l’obiettivo ri-

sultato della sua attività decisoria. Anche se non si tratta pro-

priamente di una rubrica dedicata alle pronuncie giudiziali, è co-

munque di un certo rilievo il fatto che compaiano con riguardo

all’invalidità non soltanto le note invalidità per errores in proce-

dendo, ma assumano rilievo anche i vizi in iudicando e partico-

larmente valutazioni di giustizia e di equità

22

.

20Lo Codi. Eine Summa Codici… cit., pp. 34-35: la rubrica fa riferimento alle

decisioni arbitrali, ma esprimono una linea di tendenza comune anche alle decisioni