Con la caduta dell’Impero romano ed il venire meno del suo
diritto, mutò – com’è noto – radicalmente l’assetto giuridico
complessivo dell’Italia e dell’Europa e, naturalmente, assunsero
caratteristiche del tutto nuove anche gli ordinamenti concernenti
la procedura, la giustizia e le decisioni giudiziarie. In rapida sin-
tesi si può senz’altro affermare che nel sistema processuale di
matrice germanica vengono a mancare i principi ispiratori stessi
dell’invalidità giuridica della sentenza romana
67.
In primo luogo decade rapidamente, con il venir meno della
scienza giuridica, la concezione della sentenza nulla come sen-
tenza inesistente e come tale non efficace ed ‘impugnabile’ in
perpetuum, sia in via principale che in via di eccezione. La sen-
tenza romana, è un atto propriamente giuridico e come tale sog-
getto a valutazioni tecniche di una certa raffinatezza. La deci-
sione del processo germanico è, invece, affidata all’assemblea o
ad altri organi politici e segue la condizione «politica» propria
delle decisioni di tali organi. Al principio della nullità assoluta
della sentenza viziata del diritto romano si sostituisce il cosid-
detto principio della «validità formale» della decisione assunta
66Per tutti, P. CALAMANDREI, La Cassazione civile… cit., pp. 79-105 e A CAMPI-
TELLI, Processo civile (diritto intermedio), in Enciclopedia del Dritto, XXXVI, Milano
1987, pp. 79-87. Ha offerto recentemente un quadro generale sulla storiografia pro- cessualistica di argomento altomedievale L. LOSCHIAVO, La risoluzione dei conflitti in
età altomedievale: un excursus storiografico, in Forme stragiudiziali o straordinarie di ri- soluzione delle controversie nel diritto comune e nel diritto canonico. Atti del Convegno di Studi, Teramo, 21-22 aprile 2004, a c. P.A. BONNETe L. LOSCHIAVO, Napoli 2008, pp.
91-112.
67A. SKEDL, Die Nichtigkeitsbeschwerde… cit., p. 5.
61
(secondo la felice espressione coniata da Arthur Skedl)
68. A que-
sto punto per il solo fatto di essere stata «approvata» dall’assem-
blea la decisione – anche se gravemente viziata – diviene inattac-
cabile: in quanto approvata non può concettualmente essere er-
rata e perciò invalida
69.
Secondo la maggior parte degli studi sulla materia
70, in un
procedimento non formalizzato come quello delle popolazioni
germaniche, caratterizzato dallo strapotere delle istituzioni mi-
68Cfr. P. CALAMANDREI, La Cassazione civile… cit., pp. 89-105; G. CHIOVENDA,
Romanesimo e germanesimo nel processo civile, in Saggi di diritto processuale civile, Bo- logna 1904, pp. 131-188; A. PADOASCHIOPPA, Ricerche sull’appello… cit., I, pp. 119-
125. Occorre qui rilevare la presenza di moltissimi ed ampi studi sul problema com- piuti dalla dottrina tedesca, che hanno costituito la base delle ricerche compiute in Ita- lia sul tema. All’interno della vasta produzione tedesca si rilevano sul punto della «validità formale» o meno della sentenza viziata altomedievale, alcune posizioni difformi. Sulla linea ‘tradizionale’ sono, fra i molti, gli studi di M.A. BETHMANN-HOL- LWEGG, Der Civilprozess des gemeinen rechts in geschichtlicher Entwichlung, IV, Bonn
1874 e G.W. WETZELL, System des ordenlicchen civilprozess, Leipzig 1878. Contraria è,
invece, la posizione di W. SEELMANN, Der Rechtszug im älteren deutschen Recht, Bre-
slau 1911, in specie pp. 91 ss. Per una sintetica ricostruzione, si vedano, ad un diverso livello, C. SCHWARZENBERG, Processo civile (Storia del diritto), in Novissimo Digesto Ita-
liano, XII, Torino 1966, pp. 1139-1145 e N. PICARDI, La giurisdizione… cit., pp. 17-23.
69Gli studi pregevoli – soprattutto di origine tedesca – sul processo altomedie-
vale si inseriscono in filoni di scritto volti soprattutto a ricostruire gli istituti cogliendo con nettezza gli elementi di origine romana e quelli di derivazione barbarica. Tale pro- spettiva può condizionare irreparabilmente una più pacata analisi delle fonti, tendendo a sopravvalutare le testimonianze provenienti dal filone «prediletto». In Italia le due li- nee si rifanno soprattutto al celebre contrasto fra le scuole di Francesco Schupfer e di Nino Tamassia; cfr. E. CORTESE, Storia del diritto italiano, in Cinquanta anni di espe-
rienza giuridica in Italia, Messina-Taormina 3-8 novembre 1981, Milano 1982, pp. 785- 858; M.E. VIORA, 1928-1977, in «Rivista di Storia del diritto italiano» L (1977), pp. I-
XXX. Con specifico riferimento al campo degli studi processualistici: M. TARUFFO-V.
DENTI, La rivista di diritto processuale civile, in «Quaderni fiorentini per la storia del
pensiero giuridico moderno», 16 (1987), pp. 631-664. Valide considerazioni anche in A. CAVANNA, Vico fara arimannia nella storia di un vico longobardo, Milano 1966.
70Oltre al ‘classico’ studio di G.P. BOGNETTI, L’età longobarda, I-IV, Milano
1966-1968, si vedano E. CORTESE, Il processo longobardo tra romanità e germanesimo,
in La giustizia nell’alto medioevo… cit., pp. 621-647 e ID., Thinx, Garetinx, Thingatio,
Thingare in Gaida et Gisil. Divagazioni longobardistiche in tema di legislazione, mano- missione dei servi, successioni volontarie, in «Rivista di Storia del diritto italiano», LXI (1988), pp. 33-64. Cfr. anche F. CORDERO, Guida alla procedura penale, Torino 1986,
litari e dalla loro supremazia come corpo politico ed al con-
tempo giudiziario
71, sembra emergere il nuovo principio della
generale sanabilità ed incontrovertibilità (per un motivo di sta-
bilità politica, ben prima che di coerenza tecnico-giuridica…)
d’ogni tipo di vizio della sentenza o, secondo l’impostazione
dello Skedl, quello della cosiddetta «validità formale» dei giudi-
cati
72. Tale piana impostazione, recepita per lo più acriticamente
anche da maestri come Giuseppe Chiovenda e Piero Calaman-
drei nei primi decenni del secolo appena trascorso
73, ha subito
71Il principio della validità formale della sentenza viene recepito da quasi tuttigli studi in materia successivi allo scritto di Skedl della fine del secolo scorso (A. SKEDL, Die Nichtigkeitsbeschwerde… cit., pp. 5-51). Ne fa cenno anche la successiva
sintesi di Claudio Schwarzenberg: «Nell’antico diritto germanico il processo si svolge davanti all’assemblea degli uomini liberi, alla quale, unica titolare di poteri giurisdizio- nali, era consentito conoscere tutte le vertenze che venivano portate al suo giudizio e di emettere, a tale riguardo, decisioni efficaci ed esecutive, ristrette, però, al solo am- bito probatorio, con la peculiarità che chi affacciava queste pretese, era, in quanto uomo libero, membro stesso dell’assemblea, di modo che collaborava necessariamente e direttamente alla preparazione di quella decisione: se la decisione proposta dall’as- semblea non era di suo gradimento, poteva disapprovarla ed opporvisi, prima, però, che la decisione sulle prove venisse approvata dall’assemblea e diventasse, in tal modo definitiva e obbligatoria» (C. SCHWARZENBERG, Giurisdizione… cit., p. 200). Tale
schema interpretativo viene in genere applicato sia alla struttura originaria del pro- cesso delle popolazioni barbariche sia al periodo successivo. In questo sviluppo – come già in parte accennato – è difficile vedere espresso un concetto preciso di nullità o di invalidità, mentre si possono vedere casi impugnazioni anomale o di ricorsi straor- dinari all’autorità del sovrano (cfr. A. PADOASCHIOPPA, Ricerche sull’appello… cit., I,
passim). La mancanza di una qualche riflessone sull’invalidità della sentenza, d’altra parte, è inconcepibile in un sistema giuridico ove manca un ordo processuale in qual- che modo formalizzato (e l’invalidità può atteggiarsi come difformità da esso) e manca pure – come noto – una riflessione tecnica e speculativa con intento classificatorio.
72P. CALAMANDREI, La Cassazione civile… cit., pp. 91-104; A. COSTA, La nullità
della sentenza… cit., pp. 228 ss. e F. DELLAROCCA, Le nullità… cit., pp. 14-24.
73F. SEELMANN, Rechtszug in älteren deutschen Recht, Breslau 1911, §§ 61-79; A.
ESMEIN, La chose jugée dans le droit de la monarchie franque, in «Nouvelle revue histo-
rique de droit français et étranger», XI (1887); P. FOURNIER, Essai sur l’histoire du droit
d’appel en droit roman et en droit français, Versailles 1881. Alcune considerazioni criti- che in C. BESSO, La sentenza… cit., pp. 36-37. «La scuola tedesca che, – come’è ov-
vio – ha il maggior merito nella ricostruzione degli istituti processuali degli antichi di- ritti germanici, pur avendo offerto un abbondante e convincente materiale probatorio a sostegno della esistenza dei due principi basilari della “validità formale della sen- tenza” e del “carattere legislativo dell’attività del magistrato”, non sembra, eppure, che 63
– comunque – qualche critica da parte di studiosi tedeschi e
francesi
74.
Occorre però riconoscere all’impostazione tradizionale una
sua efficacia al di là delle critiche che, pur fondatamente, le sono
state mosse; l’affermarsi, infatti, del principio della «massima
economia» processuale
75descrive bene la dinamica di una so-
cietà attenta alla prassi giudiziaria molto più che alla dottrina ed
all’effettività delle soluzioni molto più che alla «legalità» delle
stesse
76. È invece, difficile parlare di sentenze in senso tecnico
per tali attività decisorie e di conseguenza le considerazioni pro-
poste in materia d’invalidità devono essere prese con i «distin-
guo» che sono propri di fenomeni non direttamente paragona-
bili. Così è per il principio della validità formale delle decisioni
che si afferma nel periodo altomedievale che è solo lontanamente
paragonabile con i concetti di annullabilità e di provvisoria effi-
cacia che caratterizzeranno l’evoluzione bassomedievale e mo-
derna delle sentenze.
Da questo punto di vista si può aderire alle riflessioni pro-
poste da Antonio Padoa Schioppa (con riguardo al diritto longo-
bardo) proprio sul principio della validità formale della sen-
tenza: «Lo Skedl, sostenendo la ‘validità formale’, aveva ricon-
dotto al diritto dei Longobardi l’origine della ‘querela nullitatis’
si sia resa conto della stridente antinomia prodottasi nella rielaborazione critico-storica da essa compita del processo antico colla contrapposizione dell’errore di diritto, come unico motivo determinante della nullità della sentenza, ai due principi cui si è sopra accennato. Neppure il Seelmann, nel confutare la teoria dominante imperniata sui detti due principi, sostenendo tra l’altro (per quanto si riferisce al particolare argo- mento dei motivi di nullità) che sentenza nulla fosse equivalente di sentenza inesistente nel caso di sua ingiustizia, ha toccato in alcun questo che a me pare essere l’unico punto debole e vulnerabile della teoria avversaria, sfruttandolo magari, se non proprio per ricostruire una diversa nozione delle nullità della sentenza, per corroborare al- meno i suoi argomenti critici, rivolti alla demolizione della Urteilschelte, intesa come mezzo impeditivi della formazione della sentenza, e della “validità formale della sen- tenza” e alla dimostrazione del carattere esclusivamente privatistico della cosa giudi- cata» (F. DELLAROCCA. Le nullità della sentenza… cit., p. 17).74L’espressione è di un processualpenalista molto attento alla dimensione sto-
rica del diritto come F. CORDERO, Guida alla procedura… cit., Torino 1986, p. 441.
75P. GROSSI, L’ordine giuridico… cit., pp. 39-85.
del diritto comune poiché il ricorso sarebbe stato ivi prescritto in
ogni caso, non soltanto per la sentenza ingiusta, ma anche per
quella formalmente invalida; ma non vi sono prove … che il re
abbia avuto presente anche il caso delle sentenze ‘formell feh-
lerhaft’, oltreché i più normali casi di sentenze errate, ingiuste od
inique. E comunque, riguardo all’asserito principio della ‘validità
formale’, l’appello avrebbe potuto costituire, anche nel caso
della sentenza invalida, un semplice mezzo a disposizione della
parte per farne dichiarare la nullità»
77.
In questa linea di riflessione critica va segnalata anche la sot-
tolineatura di Piero Calamandrei sull’istituto della «disapprova-
zione» della sentenza, in cui l’autore fiorentino giunge a cogliere
qualche affinità con la futura querela di nullità: una maggiore
cautela permette a mio parere di cogliere più correttamente la na-
tura dei due rimedi e della loro evoluzione nell’epoca medievale
78.
Nel corso dei secoli, peraltro, si può osservare la riemer-
sione dell’istituto dell’appellatio e ad una lenta, ma radicale, mo-
difica del criterio della validità formale, favorito pure dall’impor-
tante fenomeno di accentramento del potere carolingio, regio
prima ed imperiale poi
79.
L’istituto della «disapprovazione» – Urteilsschelkete – si av-
vicina per alcuni aspetti a quello dell’appellatio, da rivolgersi non
più in via preventiva all’assemblea, ma ex post quale reclamo ad
un giudice superiore, in un contesto in cui la decisione non pro-
viene più da un organo politico e collegiale come l’assemblea, ma
da un giudice inferiore, per di più monocratico
80. Peraltro, rife-
77Cfr. G. PUGLIESE, Piero Calamandrei giurista storico, in Piero Calamandrei.Ventidue saggi per un grande maestro, a c. P. BARILE, Milano 1990, pp. 3-30.
78Per tutti, si vedano: M. CARAVALE, Ordinamenti giuridici dell’Europa medie-
vale, Bologna 1994, pp. 117-190 ed E. CORTESE, Le grandi linee della storia giuridica
medievale, Roma 2000, pp. 119-170.
79Si vedano, per tutti, P. CALAMANDREI, La Cassazione civile… cit., pp. 105 ss.; P.
FIORELLI, Appello (diritto intermedio), in Enciclopedia del diritto, I, Milano 1958, p.
714; A. PADOASCHIOPPA, Ricerche sull’appello… cit., I, pp. 120 ss.
80Il tema è sterminato: mi limito a rimandare alle osservazioni problematiche di
G.S. PENEVIDARI, Un problema sempre aperto… cit., pp. 55-65; P. PRODI, Una storia
della giustizia… cit., pp. 107-154; T. SORRENTINO, Storia del processo penale. Dall’Ordalia
all’inquisizione, Soveria Mannelli 1999 e N. PICARDI, La giurisdizione… cit., pp. 17-44.
65
rendosi ad un eventuale sviluppo delle invalidità della sentenza
nel periodo altomedievale occorre domandarsi se in tale lungo
periodo si possa parlare di sentenza con qualche riferimento
certo alla nozione che comunemente si utilizza nell’ambito del
discorso giuridico; questa definizione generica di sentenza po-
stula la presenza necessaria di alcuni elementi senza i quali è ar-
duo poter pensare di parlare di sentenza. Anzitutto, richiede la
presenza di un giudice, di un decidente che operi sulla base di
un minimo di tecnica e di ragionamento giuridico: ci si muove,
cioè in un contesto caratterizzato dalla presenza di una – anche
minima – elaborazione teorica da parte dei giuristi
81.
In secondo luogo, occorre che la pronuncia abbia specifico
valore decisorio con riferimento al caso concreto, differenzian-
dosi almeno in qualche modo dalle attività specificamente «am-
ministrative». Se evidentemente è impensabile considerare tali
ambiti di attività distinti come nell’epoca moderna, è comunque
rintracciabile una qualche differenziazione di finalità e di fun-
zioni delle attività delle autorità in quasi tutte le epoche della no-
stra storia giuridica. Queste considerazioni, che interessano da
vicino la natura della iurisdictio
82medievale, portano a riflettere
sulla presenza di vere e proprie sentenze nel senso ‘tecnico’ so-
pra delineato nell’alto medioevo. La presenza di attività di giudi-
zio di vastissime proporzioni è senz’altro indubitabile, ma oc-
corre individuare la natura giuridica dei verdetti pronunciati dai
«giudici» altomedievali
83.
81In generale cfr. P. COSTA, Iurisdictio. Semantica del potere nella pubblicistica
medievale (1100-1433), Milano 1969 (rist. Milano 2002).
82Chi sono questi giudici? Con riguardo alle giurisdizioni laiche, cfr. R. FERRARI
ZUMBINI, La lotta contro il tempo… cit., passim (ed ampia bibliografia ivi contenuta alle
pp. 515-597); per i giudici ecclesiastici si vedano esemplificativamente: J. GAUDEMET,
Storia del diritto canonico. Ecclesia et Civitas, Milano 1998, pp. 205-325 e O. CONDO- RELLI, Ordinare-Iudicare. Ricerche sulle potestà dei vescovi nella Chiesa antica e altome-
dievale (secoli II-IX), Roma 1997.
83Quella del giudizio inteso come garanzia della giustizia e dell’ordine giuridico
«naturale» è attività di primario rilievo fra quelle esercitate dal princeps altomedievale, ma è un’attività da intendersi come «politica» in senso lato, imparagonabile – per l’as- senza di tecnica e di ragionamento giuridico – all’attività giudicante dell’epoca del di- ritto comune (per tutti, cfr. P. GROSSI, L’ordine giuridico… cit., pp. 87-98 e pp. 130-144).
Senz’altro tali giudici non sono giuristi, ma al più pratici del
diritto o, in genere, politici o militari
84. Anche l’istituto del ri-
corso all’autorità regia o imperiale che tende a diffondersi in Eu-
ropa a partire soprattutto dall’epoca carolingia coinvolge l’auto-
rità suprema in un giudizio di equità e di benignità che poco ha
a che fare con l’appello romano o con l’appello del periodo dei
glossatori
85. Se nelle compilazioni barbariche altomedievali si
parla talora di iudex, occorre comunque notare che si intende –
per lo più – con questa formulazione la presenza di un soggetto
chiamato ad accertare il risultato di un duello giudiziario che ha
coinvolto due parti molto più che una compiuta attività istrutto-
ria e decisoria, come sarà, invece, in seguito
86.
Qualche parola per i giudici ecclesiastici. Come’è noto, la
cultura altomedievale è in gran parte cultura ecclesiastica in ge-
nere e monastica in specie; ma di cultura giuridica ve n’è poca
anche in ambito ecclesiastico e monastico. Si tratta per lo più di
una cultura volta ad affinare gli strumenti penali e penitenziali
dell’embrionale diritto canonico e da questo punto di vista si
deve notare una generale indistinzione della valutazione degli
aspetti giuridici, teologici e morali (foro interno e foro esterno)
che impedisce la visualizzazione di un’autonoma dimensione giu-
ridica
87. Inoltre, le scarne norme processuali sono per lo più an-
cora allo stadio di consuetudine, la decisione delle cause è quasi
84Cfr. A. PADOASCHIOPPA, Ricerche sull’appello… cit., II, pp. 1-20.
85Sinteticamente, C. SCHWARZENBERG, Giurisdizione (diritto intermedio), in Enci-
clopedia del diritto, XIX, Milano 1970, pp. 200-218; inoltre (con riguardo anche alla commistione fra attività negoziali e processuali) cfr. G. DIURNI, Fiducia. Tecniche e
principi negoziali nell’alto medioevo, I, Torino 1992; N. PICARDI, La giurisdizione… cit.,
passim; A. PADOASCHIOPPA, Ricerche sull’appello… cit., I, in specie pp. 109-204 e F. SI- NATTID’AMICO, Le prove giudiziarie nel diritto longobardo. Legislazione e prassi da Ro-
tari ad Astolfo, Milano 1968.
86P. GROSSI, Somme penitenziali, diritto canonico, diritto comune, in «Annali
della Facoltà giuridica. Università di Macerata», n.s. 1 (1966), pp. 94-134.
87In specie l’ordalia, su cui cfr. F. PATETTA, Le ordalie. Studio di storia del diritto
e scienza del diritto comparato, Torino 1890. Ha osservato acutamente Tullio Scovazzi che la Chiesa accettò tale pratica barbarica e pagana facendo – per così dire – «di ne- cessità virtù»: T. SCOVAZZI, Processo e procedura nel diritto germanico, in Scritti di storia
del diritto germanico, II, Milano 1975, pp. 121-215.
67
sempre orale e fondata non su un procedimento definito, mentre
la valutazione delle prove è spesso fondata sulla presa d’atto del
risultato di un «giudizio di Dio»
88. Qualche barlume di «giuridi-
cità» si può riscontrare nelle decisioni dei vescovi
89e dei grandi
abati (anch’essi dotati, di fatto o di diritto – comunque – di pre-
rogative vescovili)
90.
Queste poche annotazioni ci possono fare comprendere
come le tre grandi categorie di verdetti giudiziali dell’alto me-
dioevo – quelle dei giudici barbarici (singoli o assembleari),
quelle dei sovrani e quelle ecclesiastiche – non hanno le caratteri-
stiche delle sentenze nel senso sopra evidenziato. Non rientrano
nello schema ipotizzato ciascuna per motivi diversi, ma così è in
tutti i casi. Occorre peraltro non cadere nel rischio opposto: cioè
quello di compiacersi troppo di classificazioni formali limitandosi
ad un’impostazione meramente tecnica (o tecnicista) ed inevita-
bilmente formalista. Il diritto, infatti, oltre che tecnica e ragiona-
mento è ordine, è la veste di ogni civiltà, è l’insieme di mezzi pre-
visti per assicurare la convivenza civile e realizzare la iustitia. In
questo senso un discorso sulla validità o meno delle pronunzie
giudiziali, dei verdetti costruiti per assicurare la giustizia ai con-
sociati deve valutare anche la concreta funzione dei diversi ver-
detti altomedievali alla luce del loro scopo e della loro previsione,
accettata, in qualche modo, dalle diverse popolazioni coinvolte.
Perciò, se anche la gran parte delle decisioni presenti nel
campo civile ed ecclesiastico nell’alto medioevo può non rientrare
nella definizione di sentenza tecnicamente definita, ma svolge co-
munque la stessa funzione all’interno dell’ordinamento al fine di
risolvere le controversie e contribuire ad assicurare la giustizia.
Per cui il discorso tecnico non può essere fine a se stesso, ma d’al-
88Sulla giurisdizione dei vescovi, cfr. G. VISMARA, Episcopalis audientia. L’attività
giurisdizionale del vescovo per la risoluzione delle controversie private tra laici nel diritto romano e nella storia del diritto italiano fino al secolo nono, Milano 1937.
89Si veda per tutti G. PENCO, Storia del monachesimo in Italia dalle origini alla
fine del Medioevo, Roma 1961; alcune indicazioni anche in P. GROSSI, Le abbazie bene-
dettine nell’Alto Medioevo italiano, Firenze 1957.