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L’assistenza informale da parte delle giovani anziane e la sandwich generation

L’assistenza informale verso i membri della famiglia (genitori, figli e anche nipoti) è stata affidata alle donne. Nel futuro prossimo molte donne si troveranno schiacciate tra il ruolo di figlie di genitori anziani e quello di nonne di nipoti a cui badare, perché a causa del calo della fertilità, negli ultimi decenni si è ristretto il numero di adulti con cui spartire il lavoro di cura (Sabbadini, 2005). Coesistenza multigenerazionale spesso significa anche co-residenza (De Rose e Racioppi, 2011) soprattutto in Italia dove il ritardo nel processo di acquisizione dell’autonomia da parte dei giovani fa sì che oltre il 40% di quelli tra i 25 e i 34 anni viva ancora con i genitori (Salvini e De Rose, 2011). Nei sistemi di welfare dove la famiglia riveste ancora un ruolo centrale nelle attività di cura e sostegno ai membri più deboli (Leseman e Martin, 1994; Sundström, 1994; Golini, 1999) e dove le politiche e le strutture di conciliazione sono ancora ben distanti dai livelli dei paesi nordeuropei (Stranges 2008; Da Roit e Sabatinelli, 2005) le reti di solidarietà coincidono quasi del tutto con le reti familiari e parentali (Sabbadini, 1994). Secondo alcune stime (Kohli et al., 2008) circa il 25% degli anziani di età compresa tra i 70-79 anni o più vive nella stessa casa di uno dei figli e la prossimità abitativa che caratterizza l’Italia più di altri paesi europei (Hank, 2007) incentiva la presa in carico dei soggetti più deboli. Gran parte del lavoro di cura è svolto dalle donne che continuano ad essere la colonna portante delle reti di aiuto informale: esse sono le principali caregiver, e si fanno carico dei due terzi delle ore dedicate agli aiuti ad altre famiglie, per un totale di oltre 2 miliardi di ore in un anno (Istat, 2011). Si delinea così un fenomeno noto con il termine di sandwich generation, introdotto per la prima volta dalla sociologa Miller nel 1981, secondo il quale gli individui adulti (donne in particolare) si trovano schiacciate tra la generazione dei giovani e quella degli anziani, sia dal punto di vista

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strettamente demografico (nel senso di coorte), sia dal punto di vista dei ruoli svolti, essendo questa generazione quella su cui gravano le attività di cura degli figli e di assistenza agli anziani. Il fenomeno della generazione sandwich è particolarmente attuale in quanto reso più evidente dai recenti trend demografici che hanno coinvolto i paesi occidentali maggiormente industrializzati negli ultimi 30 anni. Le donne della sandwich generation non solo si prendono cura della propria famiglia, quella formata dal marito e dai figli che in molti casi necessitano di sostegno fino ad un’età avanzata (aumento benessere economico, fine studi posticipati, matrimonio posticipato), ma anche della famiglia di origine. Definire la sandwich generation in termini di un gruppo all’interno di una popolazione non è facile in quanto sono presenti troppe variabili caratterizzanti: dal numero di figli, alla loro età, alle condizioni di salute dei propri genitori anziani, alla disponibilità economica, al lavoro del partner. Può essere però utile per la comprensione di questo fenomeno confrontare le biografie di tre donne quarantenni, nate rispettivamente nel 1940, nel 1960 e nel 1970.

Tab. 3.1: Indicatori del carico familiare e di lavoro delle donne di 3 coorti differenti a 40 anni.

Anno di nascita Età media al parto N° medio di figli Genitori e suoceri Nipoti N° anziani bisognosi di cure N° anni in cui gli anziani hanno bisogno di cure

N° adulti con cui dividere il lavoro di cura di bambini/anziani % di lavoratrici 1940 25 2,0 1 10 Ameno 1 12 anni 9 30% 1960 27 1,7 3 6 Ameno 1 18 anni 5 50% 1970 30 1,4 3 4 Ameno 1 22 anni 5 63% Fonte: Stanges 2013

A causa del processo di invecchiamento demografico il carico dei soggetti bisognosi di cura all’interno della famiglia non diminuisce nello stesso modo in cui diminuisce il numero medio di figli. Se le quarantenni nate 1940 dovevano attendersi di condividere circa 12 anni della loro vita con almeno un genitore anziano, tale valore è aumentato a 18 anni per le quarantenni del 1960 e a ben 22 per le attuali quarantenni (quelle nate nel 1970). Da un punto di vista quantitativo, lo squilibrio tra nonni e nipoti presente nelle generazioni più recenti porterebbe a

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pensare che un numero maggiore di nonni possa potenzialmente occuparsi di un numero sempre più esiguo di nipoti, contribuendo ad allentare il peso sulle donne della generazione di mezzo. Tuttavia, questa situazione strutturale non corrisponde necessariamente a una maggiore condivisione dei carichi familiari. Le nonne hanno un ruolo sempre più oneroso (Istat, 2011b) a cui non sempre riescono a far fronte anche per via del fatto che sono e saranno sempre più coinvolte in attività extrafamiliari. Basti pensare che, ad esempio, tra le donne nate nel 1945, il 23% ancora lavorava quando è diventata nonna (mediamente nel 2000 a 55 anni). La situazione è aggravata dal fatto che al maggiore coinvolgimento femminile nel mercato del lavoro non è corrisposta una maggiore equità nella suddivisione del lavoro domestico e di cura all’interno delle coppie e delle famiglie. Dunque, ancora di più in futuro, assisteremo ad un peggioramento di questa situazione, con le nonne sempre più schiacciate tra cura dei nipoti, carico di lavoro all’interno della propria famiglia (non solo il coniuge ma, sempre più frequentemente, anche figli che non vanno via dalla casa parentale), assistenza ai genitori anziani (spesso non autosufficienti) e lavoro al di fuori della famiglia, con il rischio concreto di andare incontro a burn out (Bramanti, 2011). L’assistenza informale gioca un ruolo importante e spesso fondamentale, soprattutto in mancanza di una rete di servizi adeguata. Secondo Crespo (2007) l’assistenza informale è la più importante forma di aiuto agli anziani nelle nazioni dell’Europa mediterranea, ed è stata delegata alle famiglie dove donne adulte, spose o figlie diventano le principali fornitrici di aiuto e di assistenza verso i familiari anziani. Negli Stati in cui l’assistenza è stata delegata prevalentemente ai figli, solitamente alle figlie non occupate, il bisogno di sistemi pubblici di assistenza formale è stato sentito come meno urgente e di conseguenza si è sviluppato più lentamente. Risultati analoghi si hanno quando si analizza la situazione degli anziani attivi e dei nipoti. Il NiDi (Netherlands interdisciplinary Demographic institute) ha analizzato la solidarietà tra genitori e i figli adulti in Europa utilizzando i dati dell’indagine SHARE; dove per solidarietà si intende l’offerta di aiuto che proviene dai genitori verso i figli e viceversa. Lo scopo di questo studio, oltre a stabilire se tra genitori e figli con più di 50 anni ci siano ancora rapporti di solidarietà e aiuto reciproco, consiste anche nel capire il motivo per cui i familiari si aiutano: se ciò dipende da un altruismo prescritto da usi e costumi oppure se si tratta di un rapporto di reciproco di aiuto. I risultati dimostrano che i figli supportano i genitori anziani più di quanto questi facciano per i figli e questo aumenta all’aumentare dell’età del genitore; in cambio i genitori “ricompensano” i figli con un aiuto finanziario anche se quest’aiuto diminuisce all’aumentare dell’età dei figli. Le analisi mettono in evidenza che la vicinanza e la frequenza nei contatti con i familiari incide positivamente sul fatto di prestare assistenza. Ciò che emerge è che

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l’assistenza è legata soprattutto al bisogno di aiuto da parte dei genitori anziani e che quest’aiuto dipende soprattutto dallo stato di salute. Rispetto alla cura dei nipoti, le nonne prestano più aiuto ai figli rispetto ai nonni e la probabilità di prestare assistenza aumenta se si ha più di una figlia, oppure se il figlio o la figlia lavorano.

Sono molti gli studiosi che si sono occupati dell’influenza dell’assistenza informale sulla partecipazione femminile al mercato del lavoro, cercando un qualche effetto tra assistenza e stato occupazionale. Alcuni hanno trovato una correlazione negativa tra il prestare assistenza e la partecipazione femminile al mercato del lavoro. Ettner (1995) analizza l’impatto dell’assistenza ai genitori anziani sull’offerta di lavoro, attraverso i dati della SIPP (Survey of Income and Program Partecipation) ed è emerso che per le donne che vivono con un genitore malato, la riduzione del numero di ore lavorate è significativa ed è dovuta soprattutto al passaggio ad uno stato di inoccupazione. Se invece il genitore non coabita nello stesso nucleo, sembra non esserci nessun effetto significativo, anche se peggiora qualora il genitore necessitasse di cure in termini di tempo. Ettner (1996) ha condotto un’analisi simile utilizzando i dati NSFH (National Survey of Families and Households) distinguendo tra assistenza fornita a genitori coresidenti e non, analizzando il numero di ore lavorate da parte di uomini e donne. I risultati hanno dimostrato che le attività di assistenza non hanno un effetto negativo sul lavoro femminile, soprattutto per le donne che prestano aiuto a genitori anziani che non vivono nello stesso nucleo familiare. In modo analogo, Johnson e Lo Sasso (2000) hanno esplorato il trasferimento di tempo da parte dei figli verso i genitori anziani bisognosi di cura e l’impatto sull’offerta di lavoro di uomini e donne sopra i 50 anni. Le conclusioni mettono in evidenza che il tempo fornito alle cure riduce sostanzialmente e significativamente le ore lavorative sia per gli uomini che per le donne. Altre ricerche non hanno però riscontrato un effetto significativo dell’assistenza sulla partecipazione al lavoro. Wolf e Soldo (1994) si sono focalizzati su un campione di donne sposate che vivono con uno o più familiari “a rischio” di assistenza informale. A differenza di Ettner non hanno riscontrato evidenze sulla minore propensione delle donne ad essere occupate o sul numero di ore lavorate. Per quanto riguarda l’Europa, non sono state condotte molte ricerche. Spiess e Schneider (2002) hanno analizzato un campione di donne tra i 43 e i 57 anni (European Community Household Panel) provenienti da 12 paesi ed hanno trovato un’associazione negativa tra l’iniziare a prestare assistenza o l’aumentare il tempo dedicato all’assistenza informale ed il cambiamento nel numero di ore lavorate settimanalmente. Heitmueller e Michaud (2006) hanno sviluppato un modello per identificare l’effetto causale tra assistenza informale e occupazione per uomini e donne tra i 16 e i 64 usando i dati del BHPS

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(British Household Panel Study) e ciò che è emerso è che l’assistenza informale riduce la probabilità di essere occupati per quegli individui che prestano aiuto a persone entro il loro nucleo familiare mentre non c’è un effetto significativo per chi presta aiuto a persone che vivono fuori dal nucleo. Come giustificato da Crespo (2007) questi effetti limitati possono essere dovuti dal fatto che non è stata raccolta e dunque analizzata nessuna informazione sull’intensità dell’aiuto; inoltre ci possono essere attività di assistenza che non richiedono molto tempo per chi presta aiuto.

Casanova (2001) non riscontra alcuna evidenza degli effetti dell’assistenza informale sulle decisioni lavorative delle donne spagnole tra i 35 e i 64 anni che risiedono insieme ai genitori e/o ai suoceri. Crespo (2007) con dati SHARE (2004) analizza il costo/opportunità delle lavoratrici adulte nel fornire assistenza informale a genitori anziani, in diversi paesi europei. In particolare, lo studio si concentra sulle differenze tra paesi del Nord Europa (Svezia, Danimarca e Olanda) e del Sud Europa (Spagna, Italia e Grecia) perché c’è un’elevata differenza tra la partecipazione al lavoro delle donne, e dove la disponibilità e l’utilizzo dell’assistenza formale e informale sono molto diverse. In particolare Crespo considera la frequenza e l’intensità con cui avviene l’aiuto, concentrandosi sull’assistenza fornita su base giornaliera o mensile. Lo studio rivela che l’effetto sulla probabilità di partecipare al mercato del lavoro e fornire assistenza è elevato sia nelle nazioni del nord che del sud Europa.

In sintesi, la maggior parte degli studi effettuati ha rilevato una correlazione negativa tra l’assistenza informale e lo status occupazionale delle donne, anche se la maggior parte di questi ha tentato di analizzare come la partecipazione al lavoro venga influenzata dal fatto che la donna fornisca assistenza informale. Non sembrano, al contrario, esserci studi che si siano occupati di misurare la probabilità di prestare aiuto o di quantificare l’aiuto prestato dalle donne, in base al proprio stato occupazionale, per la precisione se vi è una differenza tra le occupate e le pensionate.

3.8 Conclusioni

Secondo il quadro che abbiamo tracciato, la bassa fecondità e la limitata partecipazione femminile al mercato del lavoro sono radicate nell’ambito di un sistema culturale e valoriale fortemente orientato alla famiglia. I dati avvalorano l’ipotesi secondo cui il lavoro di cura sostenuto autonomamente dalla famiglia abbia contribuito a inibire la fecondità e la partecipazione al mercato del lavoro perché più di tre quarti degli anziani bisognosi di assistenza

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restano a carico della famiglia mentre i figli tendono a uscire dalla famiglia d’origine solo quando si avvicinano ai trent’anni (Trifiletti 2005). A ciò si aggiunge che il carico di compiti domestici e di cura rallenta l’offerta di servizi formali in questo campo, rendendo l’idea di avere una famiglia numerosa poco allettante (Bettio e Villa 1998; Del Boca 2000).

Si evince l’esistenza di un circolo vizioso difficile da scardinare. In Italia, le cause strutturali della bassa fecondità e della bassa partecipazione femminile al mercato del lavoro sono largamente attribuibili al ruolo dello Stato, anche se cercare di cambiare le aspettative culturali e normative in tema di lavoro domestico e di cura, oltre alla bassa domanda di lavoro femminile retribuito sembra più un problema oggettivo. Diverse ricerche hanno posto l’attenzione sul fatto che sebbene modelli di genere più ugualitari si stiano diffondendo tra le coppie, dopo il matrimonio e la nascita dei figli la tendenza è quella di ritornare a comportamenti più tradizionali (Dribe e Stanfors 2009; Grunow et al. 2012). Questo suggerisce l’importanza dello studio degli eventi familiari per analizzare le scelte di pensionamento quando gli equilibri di coppia in termini di distribuzione del lavoro remunerato e familiare devono essere rimessi in discussione. Ci sono molteplici approcci teorici che cercano analizzare il fenomeno del pensionamento congiunto e dell’influenza del contesto familiare su questa scelta e sono molti gli studi sociologici ed economici che, a livello europeo, analizzano questo fenomeno. Tuttavia nella letteratura sociologica italiana, il pensionamento è un evento ancora poco approfondito, anche se negli ultimi anni si sta muovendo qualcosa (De Luigi, Rizza, Santangelo 206; Struffolino Zaccaria, 2016). Tenendo presente che le riforme del sistema pensionistico hanno portato all’aumento dell’età pensionabile e che le coppie sono sempre più interessate coordinare il momento del pensionamento per condividere il loro tempo libero, diventa importante analizzare se e come la pensione congiunta ha un'influenza sull’età di pensionamento. Facilitare la comprensione dell’influenza delle riforme in materia di età pensionabile può essere utile ad aumentare la partecipazione al mercato del lavoro delle donne e dei soggetti più maturi. Attualmente, il pensionamento femminile e il coordinamento dello stesso sono molto frequenti, ma le politiche pubbliche e quelle aziendali non si sono adattate alle richieste e all’evoluzione del mercato del lavoro. Il fatto dunque che le riforme del sistema pensionistico siano rimaste praticamente invariate e ancorate alla seconda metà del XX secolo, ha prodotto dei ritardi strutturali che interessano l'organizzazione sociale dei cicli di vita delle persone (Moen 2003). Alla luce delle analisi affrontate nel secondo e terzo capitolo, e dopo aver analizzato il pensionamento come processo influenzato non solo dalle dinamiche familiari ma anche da quelle individuali e istituzionali (cap.2), si può affermare che qualsiasi riforma dei sistemi

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pensionistici e qualsiasi evento familiare che colpisce uno dei coniugi tende a condizionare il comportamento dell'altro coniuge.

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Il pensionamento in Italia: quali fattori determinano tale scelta?

4.1 Introduzione

Dopo aver passato in rassegna la letteratura è necessario chiarire quali sono gli interrogativi a cui questo lavoro intende dare una risposta. Innanzitutto, cercheremo di comprendere quali sono i fattori implicati nel determinare le differenze in termini di decisioni di pensionamento e se la scelta avviene in maniera volontaria o se invece è forzata (Ebbinghaus, Hofäcker 2013; Hofäcker, Schröder, Li, Flynn, 2016). Nel corso del presente capitolo metteremo in luce i principali obiettivi che la tesi si prefigge di raggiungere, espliciteremo gli strumenti ai quali abbiamo fatto ricorso per rispondere agli interrogativi di ricerca e descriveremo i dati e le principali variabili utilizzate nel corso delle elaborazioni. Il capitolo è strutturato come segue: nel prossimo paragrafo saranno esposti gli interrogativi e illustrati gli obiettivi di ricerca individuati a partire dall’analisi della letteratura. Nel terzo paragrafo descriveremo i dati utilizzati, il quarto sarà dedicato alla presentazione delle tecniche di analisi impiegate e i successiv alle analisi descrittive.