1.4 Il lavoro femminile nella teoria economica e sociologica
1.4.2 Le teorie sulla segmentazione del mercato del lavoro
I limiti delle teorie di matrice neoclassica hanno facilitato l’affermarsi delle teorie sulla segmentazione del mercato del lavoro che concentrano l’analisi sulle caratteristiche strutturali della domanda di lavoro e sulle sue differenziazioni interne, cogliendo l’importanza del ruolo delle organizzazioni produttive e sindacali nell’ incoraggiare l’avanzamento di carriera delle persone occupate e nel definire una retribuzione adeguata. L’approccio dualista proposto da Piore e Doeringer nel 1971 è uno dei più noti. I due autori criticano l’assunto dell’uniformità ed omogeneità del mercato del lavoro, dimostrando come in esso coesistano due grandi insiemi che hanno proprietà e logiche di funzionamento distinte, nonché rigide barriere che ne ostacolano la comunicazione e la mobilità. Da un lato c’è un mercato del lavoro «centrale» composto dalle grandi imprese caratterizzato da occupazioni ben retribuite, stabilità contrattuale, possibilità di carriera e alti livelli di protezione. Il personale impiegato è caratterizzato dalla continuità del lavoro e le modalità di accesso sono condizionate, oltre che da competenze e capacità individuali, da caratteristiche ascritte quali il sesso, la razza e l’età. Attorno al nucleo centrale troviamo un mercato «periferico» nel quale sono presenti bassi salari, alta vulnerabilità occupazionale e scarse possibilità di mobilità sociale. Ed è qui, inserite nelle attività meno retribuite, più incerte e più povere di opportunità che ritroviamo le donne assieme alle altre fasce deboli del mercato. “Le donne verrebbero discriminate proprio in quanto donne, sfruttando lo stereotipo che assegna loro altre priorità rispetto all’occupazione, e solo dopo diventerebbero meno affidabili, più instabili e disaffezionate’” (Aburrà, 1989: 49). L’approccio dualistico insiste sulla tesi che siano i fattori di natura istituzionale a determinare la diseguaglianza dei redditi e delle opportunità di lavoro. Questi fattori sono: il sistema delle norme che regola il mercato, le organizzazioni sindacali, le tendenze ed i comportamenti delle imprese. La difformità di atteggiamenti e propensioni da parte dei lavoratori viene ricondotta pertanto a fattori esogeni
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rispetto al mercato del lavoro, più precisamente concernenti il sistema sociale (in particolare: i processi di distinzione dei ruoli familiari, i processi di socializzazione ed istruzione, le attitudini derivanti da culture non industriali), o ancora al comportamento della domanda di lavoro che contribuirebbe a creare differenze, in termini di affezione/disaffezione al lavoro, discriminando nel momento dell’assegnazione dei posti e delle mansioni sulla base di stereotipi prodotti in ambito sociale. Un altro limite di queste spiegazioni è riscontrabile nella mancata attenzione al legame tra le modalità di partecipazione attiva al sistema economico-produttivo e la definizione dei ruoli nella sfera familiare e sociale: le due sfere “sono viste separatamente, come rette e strutturate da logiche autonome, i cui riflessi reciproci si manifesterebbero solo in forma di atteggiamenti soggettivi o stereotipi ‘culturali’ e non come connessioni strutturali, espressione di faticosi adattamenti necessari al funzionamento del sistema socio-economico in essere” (Aburrà, 1989). La teoria della competizione, detta job competition e conosciuta anche come modello dell’assegnazione dei posti di lavoro (Thurow, 1975) afferma che esistono differenze nella produttività, nelle capacità e nell’esperienza tra i lavoratori (ad esempio, il disoccupato è meno produttivo e perciò ha meno possibilità di trovare un’occupazione). Queste differenze portano il datore di lavoro a scegliere e ad investire su quegli individui che presentano minori problematicità nell’inserimento e nella permanenza in una determinata posizione lavorativa. Secondo il modello della job competiton la produttività e il reddito individuale non dipendono dallo stock di capitale umano posseduto ma dalle caratteristiche della pozione lavorativa ricoperta. È il contesto lavorativo a determinare la retribuzione, e un alto livello di istruzione denota il potenziale individuale ma non la produttività. Sono i costi della formazione a carico del datore di lavoro a influenzare la selezione ed orientare la domanda per la quale la massimizzazione dell’efficienza presuppone una minimizzazione delle spese di formazione e di addestramento dei soggetti inseriti nelle differenti posizioni occupazionali, in presenza di una rigida struttura delle retribuzioni. La scelta degli offerenti avviene in base alle caratteristiche del gruppo di appartenenza (sesso, livello di istruzione, età.) non essendo possibile una misurazione delle caratteristiche personali di ogni singolo individuo. Ed è qui che trova fondamento il meccanismo della discriminazione statistica che “si manifesta tutte le volte che un individuo è giudicato in base alle caratteristiche medie del gruppo, o dei gruppi, a cui appartiene piuttosto che in base alle sue caratteristiche personali” (Thurow, 1982).
Riassumendo, queste teorie ci permettono di capire le disuguaglianze di genere ed i meccanismi di esclusione femminile operanti sul mercato del lavoro, malgrado non ci sia un interesse specifico nell’individuare le motivazioni che stanno alla base di questi fenomeni.
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Inoltre non colgono “le ragioni strutturali della differente collocazione gerarchica dei principi che presiedono alla distribuzione del tempo di lavoro (per il mercato e non) degli uomini e delle donne ed il nesso di reciproca ‘determinazione’ che lega i modelli maschile e femminile di partecipazione alle attività retribuite” (Abburrà, 1989: 56) analizzate invece dalla corrente sociologica femminista. Le donne si contraddistinguerebbero dunque per una durata media della partecipazione al mercato del lavoro inferiore e per una superiore discontinuità di presenza rispetto al lavoratore maschio. Queste caratteristiche rendono le donne sconvenienti economicamente per l’impresa. In effetti, nel modello della job competition è l’aumento della durata dell’occupazione a permettere l’assorbimento degli oneri derivanti dal processo formativo, che prende avvio a seguito dell’assunzione. Se gli anni dai venticinque ai quaranta sono gli anni durante i quali viene acquisita la maggior parte delle competenze, il deficit della donna può essere molto forte perché in questi anni è molto probabile che le donne passino parte del loro tempo ad occuparsi dei bambini piccoli. Le teorie della segmentazione evidenziano come le donne presentino “una serie di rigidità sul mercato del lavoro rispetto agli uomini che le rendono più costose o meno produttive” (Altieri, 1993:37).
Se la crescita della partecipazione femminile che si è registrata in Italia a partire dagli anni ’70 ha alimentato le speranze di un superamento delle disparità di genere nell’accesso al mercato del lavoro, i dati più recenti dimostrano che le opportunità tra i generi sono ancora ineguali e che in alcuni ambienti si riducono più molto più lentamente di quanto ci si aspettasse, dimostrando che il processo di riequilibrio di genere nel mercato del lavoro è difficoltoso, soprattutto in quei contesti laddove la divisione dei ruoli è particolarmente resistente e dove le difficoltà del mercato del lavoro e l’inadeguatezza del welfare non favoriscono il superamento di profonde asimmetrie (Altieri, 2003; Bianco, 1997; Saraceno, 2003 e 2005; Sabbadini, 2004; Del Boca, 2005). In un mercato del lavoro frammentato e insicuro (Beck, 2000; Gallino, 2000, Accornero, 2006), le disuguaglianze connesse alle forme di instabilità e irregolarità del lavoro si tessono con quelle territoriali e di genere (Gallino 2000; Schizzerotto 2002).
Dove le difficoltà socio-economiche sono più diffuse, le donne sono le più colpite: è il caso del Mezzogiorno in cui risulta fortemente indebolita perfino l’efficacia dell’istruzione, che finora aveva consentito di migliorare le opportunità di inserimento lavorativo delle donne. Negli ultimi anni i tassi di occupazione femminile nelle regioni meridionali sono diminuiti in corrispondenza di tutti i livelli di istruzione.
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L’impegno della donna nel mondo del lavoro è spesso delineato come una sovrapposizione di ruoli tra loro incompatibili. Ciò nonostante, da un panorama totalmente dominato dal modello della casalinga a tempo pieno si è progressivamente imposta la questione della doppia presenza. La visione dualistica del mercato del lavoro italiano enfatizza il ruolo accessorio della donna che lavora. La bassa disponibilità di servizi sociali si traduce in doppi carichi di lavoro per la maggior parte delle donne e diventa un elemento di rigidità non solo dell’offerta sul mercato del lavoro ma anche rispetto alla disponibilità sul luogo di lavoro (Furnari, Pugliese e Mottura, 1978). L’offerta di lavoro femminile sembra condizionata dalle medesime modalità di ripartizione del lavoro all’interno del nucleo familiare. La famiglia, riprendendo Del Boca (1979:29) “esplica cioè rispetto al mercato del lavoro una funzione di ‘filtro’, differenziando qualitativamente l’offerta di forza lavoro secondo diverse modalità nelle varie fasi della vita lavorativa dei propri componenti”. Questi fattori porteranno molte delle donne in passato espulse dal mondo del lavoro in ragione di una domanda troppo selettiva ad essere riassorbite, in un secondo momento, in occupazioni marginali alimentando così il mercato del lavoro secondario composto da piccole imprese, dal lavoro decentrato e dal lavoro a domicilio e irregolare. Una maggiore flessibilità di contenuto, di luogo e di durata dell’attività conviene dunque alle donne sposate e con figli che voglio integrare il reddito familiare ma che non riescono ad ancorarsi ad un lavoro fisso (Vinci, 2002). Quello che ne discende è un mercato del lavoro spaccato a metà dove da una parte ritroviamo il lavoro retribuito in cui i principali occupati sono gli uomini mentre dall’altra ci si trova di fronte ad una situazione di lavoro periferico, sommerso, informale in cui la figura femminile fa da padrona. Le chiavi di lettura del lavoro femminile sono principalmente due: una individua nell’eccessiva discontinuità di presenza delle donne le motivazioni della riduzione della forza lavoro femminile, l’altra sostiene al contrario, la natura debole e marginale del lavoro femminile sfruttato, più che altro, in settori in cui le caratteristiche femminili (discontinuità di presenza, scarso attaccamento al lavoro, limitata disponibilità in termini di orario) vengono trasformate in fattori di flessibilità, nel senso di una maggiore apertura verso condizioni di minor sicurezza e continuità dell’occupazione, nonché verso minori livelli retributivi (Reyneri, 1996). Alla luce delle caratteristiche sinora descritte il ricorso alla forza lavoro femminile risulta essere più conveniente rispetto all’impiego della forza lavoro maschile per poter sviluppare un mercato ad economia periferica. L’analisi delle peculiarità del mercato del lavoro periferico (lavoro a domicilio, piccola impresa) seguiterà ad essere dominante nel dibattito e nell’analisi del lavoro femminile, riconoscendo nei vincoli e nelle responsabilità familiari i fattori che influenzano le scelte lavorative femminili. Ciò nonostante, solo verso la fine degli anni ’70 verrà perfezionato il
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concetto di “doppia presenza” (Balbo, 1978) capace di valorizzare e analizzare la presenza delle donne nel mercato del lavoro.