La partecipazione delle donne anziane al mercato del lavoro è aumentata considerevolmente negli ultimi decenni (vedi cap.1) Le generazioni di donne che stanno transitando verso la pensione hanno lavorato per la maggior parte della loro vita adulta e allo stesso tempo si sono assumente la maggior parte del carico del lavoro di cura verso i nipoti e verso un numero sempre più crescente di persone anziane. La transizione delle donne verso l’uscita dal mercato del lavoro e le loro condizioni di vita durante la pensione sono il risultato diretto dei (i) cambiamenti strutturali del mercato del lavoro in relazione alla crescita dell'occupazione femminile e (ii) dei cambiamenti nelle relazioni di genere non solo nel mercato del lavoro ma anche all'interno della famiglia che influenzano la carriera delle donne. Questi fattori, insieme, renderanno il pensionamento delle donne incerto e irregolare.
Le pensionate di oggi sono le testimoni dei cambiamenti demografici e culturali che stanno avvenendo in Italia. Vivono più a lungo, in migliori condizioni di salute e reclamano una soggettività ed un protagonismo che fino ad ora gli sono stati negati. Si distinguono dalle “vecchie” pensionate per aspettative di vita eterogenee, percorsi personali alquanto differenziati e, di conseguenza, sono portatrici di bisogni, esperienze e aspettative differenti. Demografi, gerontologi, sociologi, economisti e scienziati politici hanno spesso sottovalutato l’aspetto della femminilizzazione del pensionamento e considerato i pensionati come un insieme omogeneo di persone, dimenticando che le donne hanno le loro peculiarità. Per affrontare la questione del pensionamento femminile in modo adeguato è opportuno considerare, in maniera complessiva, i mutamenti della società italiana, in termini di superamento del modello di lavoro fordista, di
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trasformazione dei bisogni dei cittadini e di miglioramento delle condizioni di vita e di salute della popolazione anziana.
Tab 2.1 – Le trasformazioni sociali
Trasformazioni Effetti
Superamento del modello di lavoro fordista – taylorista
➢ Occupazione flessibile, precaria e atipica ➢ Carriere discontinue
➢ Crisi dei soggetti forti di rappresentanza e regolazione
➢ Disgregazione delle classi sociali tradizionali Destrutturazione dei soggetti sociali
tradizionali
➢ Declino dei nuclei familiari estesi
➢ Invecchiamento demografico (calo natalità)
Miglioramento degli stili di vita e cambiamento dei bisogni dei cittadini
➢ Migliori condizioni di vita in età anziana ➢ Crescita della qualità della vita e dei consumi ➢ Nuove forme di disagio e povertà
Crisi del welfare state tradizionale
➢ Propensione alla responsabilizzazione e all’autotutela individuale
➢ Nuove forme di welfare (mix pubblico privato)
Queste metamorfosi hanno innescato una trasformazione del paradigma non solo del mercato del lavoro e del welfare state ma anche nell’approccio alla previdenza, nel senso della flessibilità, della coerenza sistemica, dell’equità e della responsabilizzazione individuale (Censis, 2003). Le donne anziane, poco o per nulla presenti nel mercato del lavoro, godevano nel sistema antecedente le riforme degli anni ‘90 di una protezione pensionistica garantita dalla componente maschile della famiglia. Pensioni di reversibilità generose e requisiti per il pensionamento molto più favorevoli di quelli degli uomini rappresentavano dei dispositivi disciplinati ad hoc al fine di regolamentare una sorta di previdenza familiare. Con le riforme pensionistiche intraprese negli
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anni ‘90 la condizione della donna pensionata ha subito notevoli mutamenti: dall’innalzamento dei requisiti dell’età anagrafica per la pensione di vecchiaia, all’innalzamento del requisito contributivo, passando dall’ introduzione di requisiti reddituali per l’integrazione al minimo al taglio delle pensioni di reversibilità del 25, 40 e 50%. L’innalzamento dell’età pensionabile femminile è stato più incisivo di quello maschile a causa dell’innalzamento del limite di età e di carriere discontinue e frammentate; se nel quinquennio 1990/1995 l’età media al pensionamento era di 59,6 anni per gli uomini e di 57,4 per le donne, nel quinquennio 2009- 2014 si è registrato un aumento di 3,7 anni per le donne e di 1,8 per gli uomini, arrivando a 61,4 anni per gli uomini e a 61,1 anni per le donne (Figura 2.1). I prepensionamenti, nel corso degli anni Novanta, sembrano aver colpito in maggior misura le donne perché queste “si sono accontentate di una pensione minima, essendo il carico economico della famiglia ancora in massima parte sugli uomini. Nell’ultimo decennio, invece, si è registrata una propensione al prolungamento della vita attiva e conseguentemente un innalzamento dell’età al pensionamento. Interessante notare che l’avvicinamento dell’età effettiva al pensionamento per uomini e donne sembra essersi avviata” (Basso e Reynaudi 2007)
Figura 2.1: Età effettiva media al pensionamento in Italia per sesso, 1965-2014*
52,0 54,0 56,0 58,0 60,0 62,0 64,0 66,0 Men Women
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*Età media stimata alla quale individui con 40 anni e più escono dalla forza lavoro durante un dato periodo di tempo di cinque anni. Fonte: Oecd, ageing and employment policy statistics on average effective age of retirement - 2014
Per analizzare il fenomeno del pensionamento attraverso una lente di genere sono necessarie alcune premesse. Sappiamo che le condizioni previdenziali femminili rivelano i percorsi di vita personali e familiari che, generalmente, sono caratterizzati da (i) un ingresso tardivo nel mercato del lavoro legale e/o da una presenza più irregolare; (ii) da una difficile situazione di conciliazione lavoro-cura dovuta prevalentemente all’impegno familiare; (iii)e da risorse erogate dal sistema di welfare insufficienti. Le opportunità di rientro nel mercato del lavoro sono spesso inadeguate, le carriere sono più lente e meno accessibili, il gap tra titolo di studio e ruolo ricoperto è evidente e lo è soprattutto il differenziale retributivo con gli uomini a parità di ruolo. Oltre a ciò, l’aumento della presenza nel mondo del lavoro delle donne ultracinquantenni fa emergere nuove problematicità legate agli effetti delle ristrutturazioni aziendali e alle esigenze di assistenza a genitori anziani non più autosufficienti e/o a nipoti. L’Italia presenta un quadro produttivo e demografico problematico, con un indice di vecchiaia aggravato dalla diminuzione dei tassi di natalità insieme ad una riduzione dei tassi di occupazione femminile e diffusa disoccupazione, specie nelle regioni meridionali. La flessibilità introdotta nel mercato del lavoro ha contribuito all’aumento dei tassi di occupazione femminile in termini assoluti ma ha precarizzato i percorsi di lavoro e di vita, modificando i livelli retributivi e contributivi, in particolare delle donne più giovani. In alcune aree territoriali e segmenti della società questo ha portato al rifiuto di lavori scoraggianti e svantaggiosi e alla crescita della cultura femminile del “non lavoro” (Collicelli,2003). Le donne adulte, a differenza degli uomini, non godranno della generosa protezione che ha caratterizzato la previdenza dei loro mariti, ma non potranno beneficiare nemmeno, almeno per ora, delle compensazioni che potrebbero derivare da una riforma adeguata del sistema di welfare, soprattutto in termini di sviluppo del terzo pilastro della previdenza, nonché del welfare locale e del sostegno alla famiglia ed alla procreazione.
Alla luce di queste analisi, la transizione al pensionamento rappresenta un evento complesso “nel quale si condensano, in un intrico non sempre scomponibile nei suoi elementi costitutivi, la storia personale pregressa (reddito, competenze, ruolo, relazioni), le aspettative relative al periodo post professionale, i compiti richiesti al soggetto “pensionato”, le occasioni a lui offerte dal contesto di vita, i “ripensamenti” riguardanti i diversi progetti di vita individuali e del nucleo familiare” (Tramma, 2002)
66 2.4 Una previdenza rosa pallido
Le differenze di genere presenti all’interno del sistema pensionistico italiano possono essere analizzate in relazione a diversi aspetti. Il primo è relativo all’ammontare medio dei redditi pensionistici percepiti, il secondo riguarda sia l’anzianità contributiva che l’età effettiva di ritiro dal mercato del lavoro, mentre il terzo interessa le pensioni percepite da uomini e donne (Casarico e Profeta, 2009). Le donne italiane, pur essendo la maggioranza dei pensionati del nostro Paese sono titolari innanzitutto di pensioni mediamente più basse e è presente un rapporto inverso tra il numero delle pensionate e l’importo complessivo da esse percepito. I dati ISTAT ci mostrano che nel 2014 le pensionate erano circa il 53% del totale e percepivano 14 mila euro di reddito pensionistico lordo annuo, importo di circa 6 mila euro inferiore a quello maschile (19.686€). Tuttavia, poiché le donne percepiscono in media un numero di trattamenti pro capite superiore agli uomini il divario di genere si riduce al 41,4% se calcolato sul reddito pensionistico.
Figura 2.2: Importo medio delle pensioni e del reddito medio pensionistico
Fonte: Istat – Trattamenti pensionistici e beneficiari, un’analisi di genere - 2014
La percentuale di donne titolari di un numero di trattamenti pensionistici pro capite è superiore agli uomini (1,51 contro 1,32) e questo numero cresce all’aumentare dei trattamenti percepiti. Tra i percettori di una sola pensione, la quota femminile è più bassa di quella maschile
13.921 € 9.195 €
0 5.000 10.000 15.000 20.000 25.000 Importo medio reddito pensionistico
Importo medio delle pensioni
Femmine Maschi
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mentre tra i titolari di due pensioni le donne rappresentano il 59,4%, quota che sale al 70,5% tra i percettori di tre pensioni e arriva al 73,9% tra i titolari di quattro o più trattamenti. Se esaminiamo i dati sulle pensioni possiamo individuare con maggiore accuratezza dove sono presenti le disuguaglianze di genere. Le donne raggiungono con più difficoltà un importo pensionistico elevato e anche se e soprattutto quando ci riescono, percepiscono meno rispetto agli uomini; tutto questo avviene in un momento in cui le riforme pensionistiche mirano ad una effettiva parità tra i sessi tramite l’innalzamento dell’età pensionabile a 66 anni e 7 mesi per entrambi i sessi. La riforma richiede, in particolar modo alle lavoratrici sulla soglia del pensionamento, un grande sforzo di adattamento con tutte le conseguenze che derivano dalla costante attribuzione di carichi di cura familiari. Gli uomini incassano pensioni più alte su tutto il territorio nazionale, ma nelle regioni meridionali le disuguaglianze di genere sono più basse. Le prestazioni del gruppo vecchiaia, invalidità e superstiti rappresentano oltre i tre quarti del totale, tuttavia le pensioni degli uomini hanno un importo medio (17.746) più alto del 72,7% rispetto a quello delle donne (10.277). Il peso delle pensioni ai superstiti è significativamente più elevato fra le donne, che le percepiscono in un terzo dei casi (31,9%) a fronte del 6,1% rilevato tra gli uomini.
Figura 2.3: Pensionati suddivisi per numero di pensioni ricevute e sesso
Fonte: Istat – Trattamenti pensionistici e beneficiari, un’analisi di genere - 2014 51,7 40,6 29,5 26,1 48,3 59,4 70,5 73,9 0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100% 1 2 3 4 Maschi Femmine
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Nel 2015 l’età media delle pensionate era superiore a quella dei pensionati (71,8 contro 68,6 anni) e per quanto riguarda la condizione professionale di provenienza le pensioni femminili sono la maggioranza sia tra le ex dipendenti (55,9%) sia tra le ex lavoratrici autonome (54%). L’apporto al reddito familiare delle pensioni di vecchiaia e di anzianità muta in base al tipo di famiglia in cui uomini e donne vivono la fase finale della loro vita. Le disuguaglianze di genere rispetto all’età di pensionamento, la differente speranza di vita e le diverse età dei coniugi/conviventi sono elementi che incidono diversamente sui pensionati a seconda delle caratteristiche della famiglia di appartenenza. Le percettrici di pensione di vecchiaia e anzianità che vivono sole sono il 36%; in coppia senza figli il 35%; il 12% in coppia con figli, il 7% è una madre sola e il 10% vive in famiglie con altri membri (ad esempio con nipoti, genero/nuora, genitori o suoceri). Le donne sotto i 65 anni, che percepiscono una pensione di vecchiaia o di anzianità spesso vivono in famiglie con redditi familiari elevati, in particolare modo se vivono in coppia. Il contributo che le pensioni delle donne apportano alla famiglia diminuisce se aumenta il livello di reddito familiare, passando dal 79% tra le famiglie del primo quinto (della distribuzione dei redditi) al 39% tra quelle dell’ultimo. La pensione di vecchiaia della donna rappresenta circa l’80% del suo reddito complessivo se vive sola e ha meno di 65 anni ma che diventa il 92% nel caso si tratti di donne sopra i 65 anni. Tra le donne e madri sole, con più di 65 anni, il reddito pensionistico rappresenta circa la metà del reddito familiare e tra le donne in coppia senza figli circa un terzo; questa quota scende a circa un quarto se sono presenti dei figli (Istat,2015). La pensione da lavoro delle donne emerge dunque come una fonte di reddito importante specialmente per le famiglie più vulnerabili, apportando un contributo rilevante proprio in presenza di quelle caratteristiche familiari che si associano a un maggior rischio di povertà e deprivazione. Questo quadro fotografa la situazione delle pensionate di oggi e riflette la più generale situazione dell’occupazione femminile, confermando sì la presenza stabile e strutturale delle donne nel mercato del lavoro ma evidenziando il gap ancora esistente nelle posizioni lavorative e retributive. I differenziali di genere nelle pensioni non saranno colmati fintanto che non verranno superate le disuguaglianze nel mercato del lavoro, nell’organizzazione dei tempi di vita, e non sarà disponibile una rete adeguata di servizi sociali per l’infanzia e strutture a supporto della vecchiaia (Istat,2015).
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