1.3 Ragioni che spiegano la femminilizzazione del lavoro
1.3.6 La segregazione occupazionale
Accanto all'aumento del tasso di occupazione femminile, tuttavia, va segnalata la persistente segregazione delle donne italiane nel mercato del lavoro. La segregazione può essere di due tipi: (i) quella orizzontale misura il grado di concentrazione in professioni e settori differenti senza valutarne la desiderabilità e riguarda sia i settori economici sia le occupazioni; (ii) quella verticale misura la concentrazione di uomini e donne nei livelli gerarchici di una professione, questa è difficilmente analizzabile a causa della mancanza di disponibilità dei dati. I paesi considerati all’avanguardia per la presenza di donne nel mdl, come il Regno Unito e i paesi scandinavi, presentano livelli di segregazione orizzontali maggiori rispetto a Grecia e Italia dove l’occupazione femminile è notoriamente più bassa. Il trade off tra occupazione e segregazione è chiaro se si analizza il rapporto tra tasso di occupazione femminile e indice di dissomiglianza8:
alla fine degli anni Novanta Svezia, Danimarca, Finlandia mostravano i valori più alti dell’indice di segregazione mentre quelli più bassi si ritrovano nei paesi a più bassa occupazione femminile, come Grecia e Italia (Oecd 2002, Reyneri 2005). Anche all’inizio del nuovo secolo l’Italia è il paese EU15 con la più bassa segregazione settoriale e occupazionale delle donne (tabella 8). La bassa segregazione in relazione alla scarsa occupazione femminile in Italia è data dallo mancato sviluppo di settori a prevalente presenza femminile, da una minor diffusione del part time, dalla bassa natalità e dal più elevato livello istruzione delle donne occupate, visto che in tutti i paesi la segregazione per genere è più alta per le persone meno istruite e per quelle con figli (Oecd 2002). In Svezia, ad esempio, il tasso di occupazione femminile è molto elevato ma lo è anche quello di segregazione perché le donne si concentrano nei settori pubblici dove possono lavorare part- time o assentarsi per la cura dei figli. La scarsa natalità e l’esclusione dal lavoro delle donne poco istruite ci aiutano a spiegare perché in Italia la segregazione occupazionale rimane
8Proporzione di maschi e di femmine che dovrebbe cambiare settore o occupazione perché vi sia uguale distribuzione per genere in ogni settore od occupazione.
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relativamente bassa nonostante sia in aumento l’occupazione femminile. Questo non toglie che la caratterizzazione di genere nei posti di lavoro sia rilevante anche in Italia.
Fig 1.10: Professioni per genere in Italia. Anni 2004-2012 Dati Istat
La segregazione verticale indica la presenza di un limite (fenomeno noto in letteratura come “glass ceiling”) che ostacola le donne nella crescita professionale e nell’avanzamento verso posizioni di maggiore responsabilità (Reyneri, 1996). Una barriera invisibile che tiene le donne lontane dai vertici organizzativi e che spesso è il risultato di sottili meccanismi di discriminazione e processi di auto- esclusione. In Italia, ma anche nei paesi sviluppati, donne e uomini con lo stesso livello di istruzione occupano posizioni lavorative diverse per livello di qualificazione professionale (OECD 2002). I dati italiani sono in linea con quelli europei: le donne che ricoprono ruoli manageriali erano il 5,7% contro il 14,2% degli uomini a fronte di una media EU15 pari a 12% per le donne e 23,9% per gli uomini trovare dati aggiornati. Alcuni studi (Sala, 2003) trovano che sia più difficile per le donne fare carriera piuttosto che entrare nel mercato del lavoro. Secondo Reyneri questo fenomeno può essere ricondotto a due motivi: (i) fare carriera richiedere alti investimenti di tempo (orari senza limite, impegni senza preavviso, ecc.) e di disponibilità (in particolare alla mobilità geografica) che mal si conciliano con il modello della doppia presenza; (ii) le donne hanno maggiori difficoltà ad entrare nelle reti informali. Non tanto perché sono meno efficaci nell’instaurare relazioni personali a fini strumentali, ma perché
56% 43% 85% 51% 44% 57% 15% 49% 0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100% Q U A L I F I C A T E E T E C N I C H E I M P I E G A T I E A D D E T T I O P E R A I E A R T I G I A N I P E R S O N A L E N O N Q U A L I F I C A T O UOMO DONNA
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sono le ultime arrivate. Si trovano perciò a dover essere valutate da superiori uomini, “che anche tendono a seguire criteri di “affinità elettive” in scelte che implicano spesso elementi non valutabili, come la fiducia” (Reyneri,2012). Secondo Albertini (2011, p. 360) «Il superamento del soffitto di cristallo, quindi, rimane ancora un obiettivo lontano per le donne italiane, molto più lontano di quanto non sia per le colleghe europee». Inoltre, anche quando le donne occupano le stesse posizioni degli uomini, permane un differenziale salariale in base al genere. L’asimmetria salariale tra donne e uomini ha suscitato ampia attenzione all’interno del dibattito sociale ed economico. Per poter analizzare questo fenomeno è importante capire come si misura e come viene definito. La definizione attualmente più diffusasi riferisce al gender pay gap come al differenziale medio nel salario orario lordo di donne e uomini. Secondo le rilevazioni Eurostat l’Italia risulta agli ultimi posti tra i paesi europei per quanto riguarda le differenze di retribuzione tra uomini e donne. In un dato relativo al 2005 l’Italia figura al quint’ultimo posto sui 27 paesi dell’Unione Europea, che raggiunge un valore medio del 15%, mentre i paesi con i maggiori divari a sfavore delle donne (Germania, Gran Bretagna, Finlandia e un paio di paesi dell’Est) superano il 20%. Questa posizione si deve a un effetto di composizione dell’occupazione. Infatti, il differenziale retributivo di genere è basso non solo in Italia, ma in tutti i paesi con una scarsa occupazione femminile, perché in questi paesi tra le donne occupate relativamente poche sono quelle poco retribuite perché poco occupate. Invece, nei paesi ad alta occupazione femminile anche un’elevata proporzione di donne poco istruite sono occupate e quindi il gender pay gap tende a essere più ampio, a parità di altre condizioni (Oecd 2002). La recente crescita dell’occupazione femminile in Italia ha ridotto il gender gap che contraddistingue l’inserimento delle donne nel mercato del lavoro e nel nostro Paese le differenze retributive fra uomini e donne sono più basse rispetto ad altri paesi europei (Davies e Pierre, 2005; Plantenga e Remery, 2006) ma l'indicatore utilizzato per effettuare l’analisi comparativa non considera: (i) il basso tasso di occupazione femminile che contraddistingue l'Italia, (ii) il livello di istruzione particolarmente elevato delle donne italiane occupate (iii) e i regimi orari su base mensile o annua (Villa, 2006). Studi più recenti dimostrano, tramite la correzione dell’indicatore, che l'incidenza nel nostro Paese della diseguaglianza nelle retribuzioni fra uomini e donne aumenta (Villa, 2006)9. Il differenziale retributivo è aumentato
9 Il differenziale salariale fra uomini e donne calcolato con un indicatore “aggiustato” varia a seconda dei fattori che di volta si prendono in considerazione, tuttavia in tutti i casi esso risulta maggiore rispetto a quello misurato con l'indicatore “grezzo”. È stato mostrato ad esempio che esso, se tenute in considerazione le caratteristiche individuali, risulta essere pari al 16%, il che significa che in media le donne italiane occupate ricevono una retribuzione inferiore del 16% rispetto alla media degli uomini [Olivetti e Pentrogolo, 2008]
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verso la fine degli anni ’80, con un'accelerazione a metà anni '90 in concomitanza con la flessibilizzazione del mercato del lavoro e dell'aumento dell'occupazione atipica, che ha riguardato, in primis, le giovani donne (Brandolini et al., 2001).