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L’età di pensionamento e di età uscita dal mercato del lavoro

Se, come discusso nella prima parte della trattazione (cfr. Capitolo 2), nei modelli teorici il pensionamento viene definito come una transizione diretta da uno stato di piena occupazione a uno di completa inattività, nel quale la grande parte delle risorse finanziarie degli individui provengono dalla pensione, è evidente come questa definizione sia sempre meno realistica. Come vediamo dalla tabella 4.7, più della metà dei pensionati (61,8%) ha iniziato a ricevere la pensione nello stesso momento in cui è uscita dal mercato del lavoro senza particolari differenze tra i due anni di rilevazione. Se differenziamo l’analisi del campione per anno di intervista notiamo che nel 2006 è maggiore il numero di pensionati che ha iniziato a ricevere la pensione

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prima di uscire dal mercato del lavoro mentre nel 2012 sono aumentati i pensionati che hanno iniziato a ricevere la pensione solo dopo aver cessato l’attività lavorativa (sono il 16,2% rispetto al 14,6% del 2006). Se scomponiamo questi dati per genere, sono le donne le più soggette a ricevere la pensione successivamente al momento dell’uscita dal mercato del lavoro (19,5% rispetto 12,9% degli uomini).

Tabella 4.7: Differenza in classi d’età tra il momento della ricezione della pensione e il momento dell’uscita dal mercato del lavoro, valori percentuali.

2006 2012 Totale

Minore di due classi d'età o

più 2,1 1,0 1,6

Minore di una classe d'età 21,8 20,6 21,3

Stessa età 61,4 62,3 61,8

Maggiore di una classe d'età 11,8 12,3 12 Maggiore di due classi d'età 2,8 3,9 3,3

Totale 100,0 100,0 100,0

N 12.092 10.182 22.274

Fonte: elaborazione dati LFS

Negli scorsi decenni, per far fronte alle difficoltà economiche e alle rigidità del mercato del lavoro, sono stati introdotti diversi incentivi per avviare una transizione verso il pensionamento prima del raggiungimento dell’età legale prevista, come ad esempio gli schemi di pre-pensionamento appositamente introdotti o le modifiche alle misure di sostegno alla disoccupazione e alle pensioni di disabilità perché fossero maggiormente accessibili ai lavoratori anziani quale incentivo a un’uscita precoce dal mercato del lavoro (Croda, Callegaro 2006). Questo ha creato uno spazio tra il momento dell’uscita dal mercato del lavoro e quello del pensionamento così che le due soglie non corrispondo più necessariamente. Se da un lato il passaggio allo stato di inattività può non corrispondere al raggiungimento dei requisiti per la pensione di vecchiaia – ed essere dunque anticipato attraverso misure di sostegno al reddito di altro tipo può accadere invece che due le soglie si sovrappongano: quando la transizione al

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pensionamento è flessibile, gli individui, seppur in pensione, svolgono attività lavorative di vario genere, combinando redditi da pensione e redditi da lavoro.

Il passaggio a un sistema pensionistico che consente un ritiro graduale è stato più volte invocato dagli organismi internazionali (Ocse 2006) perché ritenuto opzione importante di incentivo ad una permanenza prolungata al lavoro; tuttavia tale indicazione è ad oggi stata recepita solo in parte. Per invertire la tendenza al prepensionamento, sono molte le riforme che sono state messe in campo a partire dai primi anni Novanta. Tuttavia, la situazione si è modifica molto lentamente a causa della graduale attuazione delle nuove norme previdenziali e dalla presenza di diversi criteri di ammissibilità. L’approfondimento che la letteratura fa del rapporto tra età al pensionamento e di uscita dal mercato del lavoro con il livello di istruzione segue due filoni. Il primo è che all’aumentare del titolo di studio aumenta anche l’età al pensionamento o l’età di uscita dal mercato del lavoro (Hofäcker et al. 2015) e questa relazione fa leva sul fatto che (i) il prolungamento della permanenza nel sistema scolastico porta ad un ingresso tardivo nel mercato del lavoro e che (ii) a titoli di studio elevati spesso vengono associate maggiori possibilità di carriera, rendendo la presenza sul lavoro una scelta volontaria, protratta per lo più fino ai limiti di legge (De Luigi, Rizza, Santangelo 2016). Il secondo, è che l’aumento del tasso di occupazione femminile è dovuto in larga parte dalla modificazione della composizione della forza lavoro femminile in termini di titoli di studio, a seguito di un aumento considerevole della quota di diplomate e laureate (Scherer e Reyneri,2008). Da questo primo approfondimento del campione ciò che emerge è che l’età del pensionamento si discosta dall’età di uscita dal mercato del lavoro e che, tendenzialmente è maggiore per le donne, a parità di titolo di studio. Per le analisi successive verrà utilizzata solamente la variabile relativa all’età del pensionamento perché come già anticipato, non disponendo dell’anno in cui si è terminato l’ultimo lavoro né tanto meno dell’età, se non in classi, non ci è consentito risalire con certezza a quand’è avvenuta la cessazione definitiva dell’ultimo rapporto di lavoro. L’età della pensione è l’unica variabile “esatta” presente nel nostro dataset anche se questa riflette le normative nazionali piuttosto che il ritiro effettivo dal lavoro (Hofacker, 2015) e anche se può essere una variabile soggettiva perché per l’individuo intervistato può non essere del tutto chiara la differenza tra l’inizio del percepimento della pensione e l’uscita definitiva dal mercato del lavoro (il confine è molto sottile). Lo scopo di questo lavoro tuttavia non è quello di analizzare in maniera approfondita l’età del pensionamento o dell’uscita dal mercato del lavoro, anche perché la costruzione della banca dati non permette di farlo in maniera esaustiva, ma è quello di cercare di comprendere

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quali sono i fattori che hanno influenzato le decisioni di pensionamento e analizzare se questa scelta è avvenuta in maniera volontaria o meno.