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Le conseguenze degli eventi familiari sulle scelte lavorative e di pensionamento

Abbiamo visto, nei capitoli precedenti, come diverse ricerche abbiano posto l’attenzione sul fatto che si stanno diffondendo modelli di genere più egualitari; nonostante questo tra le coppie dopo il matrimonio e la nascita dei figli la tendenza è quella di ritornare a comportamenti più tradizionali (Grunow et al. 2012). Questo suggerisce l’importanza dello studio degli eventi familiari nell’analisi delle scelte familiari quando gli equilibri di coppia in termini di distribuzione del lavoro remunerato e familiare vengono rimessi in discussione. La vita delle persone può essere considerata come una catena ininterrotta di scelte; tuttavia se siamo interessati alle scelte riguardanti il pensionamento sappiamo che esistono dei momenti particolari in cui queste si concentrano. Sono i momenti in qui aumenta la quantità di tempo richiesto dalla famiglia in termini di lavoro domestico e di cura, oppure quando si rende necessaria una redistribuzione delle attività all’interno della famiglia. Facciamo riferimento a questi momenti quando parliamo di eventi familiari e tra gli eventi familiari più studiati in letteratura, per quanto riguarda le scelte lavorative delle donne, troviamo il matrimonio, la nascita di un figlio e il divorzio o la separazione. Rientrano anche in questa definizione gli eventi che riguardano il partner e che possono avere ripercussioni sull’altro membro della coppia. Per esempio un prolungato periodo di inattività o di malattia di un membro della famiglia, può modificare il comportamento degli altri componenti sul mercato del lavoro, in seguito ad una redistribuzione del lavoro all’interno del nucleo familiare.

In questa sezione ci occuperemo delle ricerche che hanno affrontato il tema degli effetti di diversi eventi familiari sulla carriera lavorativa degli individui e successivamente, sul pensionamento. L’impostazione seguita da questo filone di ricerche è dinamica, basata sullo studio della relazione tra carriere familiari e carriere lavorative durante il corso di vita degli individui.

107 • Il matrimonio

L’analisi degli effetti del matrimonio si presta al confronto dei meccanismi che regolano la divisione del lavoro all’interno della coppia e la partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Il matrimonio è il momento simbolico in cui (i) le decisioni iniziano a essere prese in funzione del benessere della famiglia e (ii) inizia la contrattazione tra i coniugi sulla divisione del lavoro. Le conseguenze del matrimonio sono state oggetto di analisi degli studi sulle carriere di coppia (couples carreers) (Bernasco 1994; Bernasco et al. 1998, Blossfeld e Drobnic (2001) attraverso una serie di analisi comparative sulle carriere lavorative delle donne dopo il matrimonio in diversi Paesi europei. In Italia questi studi sono stati affrontati da Bernardi (1999a, b, 2001) e Lucchini et al. (2007).

Il matrimonio ha conseguenze diverse per uomini e donne. I ruoli maschili sono più resistenti all’influenza degli eventi familiari e gli effetti economici del matrimonio sugli uomini sono limitati. Alcuni studi hanno però dimostrato che gli uomini sposati hanno un vantaggio nel mercato del lavoro rispetto agli uomini non sposati (Pollmann-Schult 2010) a discapito della riduzione del tempo dedicato alle attività domestiche (Gupta 1999). Grunow et al. (2012) analizzando le conseguenze del matrimonio sull’apporto degli uomini al lavoro domestico trovano che gli uomini riducono il loro contributo a prescindere dalla posizione ricoperta dal partner sul mercato del lavoro. Risultati più visibili si hanno osservando la partecipazione delle donne al mercato del lavoro perché dopo il matrimonio una percentuale importante di donne lascia, temporaneamente o definitivamente il lavoro. Blossfeld e Drobnic (2001a) in accordo con la teoria del capitale umano, trovano che le donne con elevate risorse occupazionali dispongano di maggiori probabilità di proseguire la propria carriera lavorativa. Questo si spiega con il fatto che la partecipazione al mercato del lavoro delle donne può dipendere dalla posizione occupazionale ricoperta dal partner secondo due meccanismi: (i) il lavoro femminile aumenta se il reddito del marito non è sufficiente a sostenere il bilancio familiare oppure (ii) se il marito occupa una posizione prestigiosa la donna può aumentare la partecipazione al mercato del lavoro per effetto positivo del capitale sociale (Coleman 1988) del marito che può incrementare le chance della donna sul mercato del lavoro (Barbieri 1997). Ricerche più recenti hanno invece dimostrato che le carriere femminili sono spesso slegate dall’influenza del partner a dimostrazione di una più generalizzata volontà delle donne di partecipare al mercato del lavoro per essere indipendenti dalle reti familiari (Lundberg e Pollak 2007, Lugo 2015).

108 • Le dissoluzioni familiari

L’analisi delle dissoluzioni familiari si è sviluppata negli ultimi anni perché il loro incremento ha reso fruibili campioni sufficientemente ampi per poter analizzare non solo l’evento in sè, ma anche gli effetti delle politiche sociali in un momento in cui l’equilibrio familiare si spezza (Covizzi 2008; Kalmijn 2005). La specializzazione dei ruoli all’interno della famiglia assume un ruolo fondamentale nel determinare le conseguenze economiche del divorzio tra i partner (Becker 1981). Gli studiosi concordano sul fatto che le donne subiscono la maggiore riduzione del reddito dopo il divorzio, ma anche gli uomini soffrono conseguenze finanziarie negative (McManus e DiPrete 2001). Le differenze di genere sono originate dalla divisione del lavoro all’interno della famiglia e dall’affidamento della custodia dei figli dopo il divorzio: le donne sono più penalizzate perché i tassi di occupazione sono mediamente più bassi durante il matrimonio e, dopo il divorzio, normalmente ottengono la custodia dei figli (Lugo 2015). Quando una situazione finanziaria diventa difficile, la prima strategia di coping che può essere adottata è l’incremento della partecipazione al mercato del lavoro. La maggior parte degli studi ha osservato un aumento dell'occupazione femminile, dopo il divorzio (Bonnet et al. 2010; Haurin 1989; Raz-Yurovich 2013; van Damme et al. 2009), ma alcuni non hanno osservato nessun cambiamento (Mueller 2005) mentre altri ne hanno notato una diminuzione (Jenkins 2008). Sono molti i fattori che influenzano la partecipazione al mercato del lavoro delle donne dopo il divorzio. La possibilità delle donne divorziate di essere occupate dipende dalle risorse e dai vincoli a loro disposizione perché le donne che hanno investito di più nel loro capitale umano prima del divorzio, avranno più possibilità di trovare un'occupazione dopo il divorzio (Duncan e Hoffman 1985).

• La nascita dei figli

La partecipazione femminile al mercato del lavoro è strettamente legata ai comportamenti riproduttivi in quanto, con la nascita dei figli, emergono le problematiche relative alla conciliazione delle responsabilità familiari con le carriere lavorative. Svariati autori hanno analizzato il legame della partecipazione femminile al mercato del lavoro con la diminuzione del tasso di natalità registrato negli ultimi decenni, sia in ambito sociologico (Esping-Andersen 2009), sia economico (Del Boca 1997; Del Boca e Pasqua 2005), sia demografico (Blau e Robins 1989; Van de Kaa 1987). La nascita di un figlio modifica l’equilibrio lavoro-famiglia dei coniugi

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perché i figli hanno bisogno di cure e quest’attività porta ad un ripensamento della divisione del lavoro all'interno della famiglia. Diverse ricerche hanno evidenziato come nelle famiglie in cui vi è almeno un figlio, la divisione del lavoro si avvicina di più al modello tradizionale di specializzazione di genere (Craig e Mullan 2010), altre hanno messo in luce come le donne con più alti livelli di istruzione e con posizioni lavorative migliori tendano a sostenere il peso delle attività di cura attraverso l’acquisto di servizi sul mercato (Evertsson e Nermo 2007; Gupta 2006, 2007). In questo caso la continua presenza delle donne nel mercato del lavoro è garantita dall’esternalizzazione del lavoro familiare, che porta alla riduzione del lavoro domestico senza un parallelo aumento dell’impegno del marito (Van der Lippe et al. 2004).

La relazione tra fecondità e offerta di lavoro femminile è diventato uno dei temi centrali da quando i tassi di fertilità sono diminuiti e quelli di partecipazione delle donne al mercato del lavoro sono aumentati. Le determinanti istituzionali delle conseguenze della nascita di un figlio sulle carriere lavorative femminili costituiscono un oggetto di studio di crescente importanza (Del Boca 2002; Del Boca et al. 2009; Del Boca e Sauer 2009). La maternità è dunque un fattore cruciale che influenza la carriera delle donne. L'esperienza della maternità colpisce in modo significativo la sicurezza finanziaria durante la pensione, che varia a seconda dei contesti e dei sistemi di welfare. In letteratura ci sono molti studi relativi al “orderly careers” anche se questi modelli si adattano meglio ai ruoli maschili rispetto a quelli femminili, in particolare quando si studiano le vecchie generazioni. Molti studi dimostrano che per gli uomini sposati la paternità ha, in genere, un impatto positivo sulla carriera o porta a dei ritardi sui tempi di pensionamento (Damman et al. 2011). L'interpretazione è che, di fronte a maggiori responsabilità finanziarie dovute alla presenza di figli, un uomo aumenterà il suo impegno lavorativo. Più complessa è la situazione delle donne che diventano madri (in particolare nel Europa del Sud) che spiega parzialmente la maggiore vulnerabilità delle stesse. L'esempio dei congedi parentali è un buon esempio per illustrare la condizione femminile in termini comparativi. I congedi parentali sono un diritto da condividere con il partner in Austria, Danimarca, Finlandia, e Lussemburgo, mentre rimangono un diritto individuale in Belgio, Francia, Germania, Grecia, Italia, Irlanda, Portogallo, Spagna, Paesi Bassi e Regno Unito. In Islanda, Norvegia e Svezia sono un "misto"; in questi paesi infatti se il congedo non viene utilizzato dal padre non può essere ceduto alla madre. (Crespi Zanier 2015). I congedi costituiscono una sorta di "riconciliazione" per le donne, anche se potrebbero rinforzare le differenze di genere tra lavoro retribuito e non retribuito e diventare una trappola per le madri, in quanto possono rendere più difficile il reingresso il lavoro al livello precedente. Al fine di contrastare questi effetti negativi, in alcuni paesi, come la Svezia, le donne

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che fanno uso di congedi prolungati sono considerati alla pari delle altre dipendenti di sesso femminile. Le politiche familiari, i servizi di assistenza all'infanzia, il congedo di maternità e altri benefici garantiti dal welfare state, così come la struttura del mercato del lavoro, hanno prodotto diversi modelli di equilibrio tra lavoro e famiglia (Crompton et al 2007; Lewis 2009) e le ragioni per analizzare il pensionamento delle donne diversamente da quello degli uomini è la peculiarità con cui queste sperimentano la transizione verso la pensione e la vecchiaia. Se è vero che vi sono state molte ricerche sui risultati delle politiche pubbliche in materia salariale durante gli anni della maternità (Waldfogel 1997; Budignd England 2001; Rossi 2006) è vero anche che gli esiti di queste politiche sul pensionamento sono stati affrontati solo parzialmente. I dati dimostrano che, se il sistema di welfare sostiene le donne che lavorano durante i periodi di maternità attraverso congedi parentale e/o di cura ad hoc - come nei paesi scandinavi -, i trattamenti pensionistici e la qualità della vita in età avanzata sono più simili (non solo economicamente) a quelle degli uomini (Esping-Andersen, 2009; Pettit e Hook, 2009). Al contrario, l'accesso limitato ai congedi di maternità o ai congedi parentali, come in Italia, fa sì che le madri che lavorano prima o poi lasceranno il mercato del lavoro in modo permanente (Crespi e Strohmeier 2008) perché le interruzioni dovute alla maternità rendono la vita lavorativa delle donne discontinua, e l'occupazione tende ad essere basata su contratti part-time o a tempo determinato, con ripercussioni sul salario e sui contributi pensionistici