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CAPITOLO 2 L’ATELIER DI RIUSO CREATIVO COME MEDIAZIONE ALL’AUTO IMPRESA

2.3. Gli atelier di riuso creativo oggetto della ricerca in Italia

Nella prima fase della ricerca è stata condotta un’analisi dei possibili atelier di riuso creativo presenti in Italia, individuandone cinque (Refugee Scart a Roma, Depression is

Fashion a Mantova, Made in Carcere a Lecce, Le Malefatte a Venezia e Il Fare Insieme a

Trento) e decidendo in un secondo momento di ridurre a tre i campi osservati in maniera estesa, per poter analizzare le loro prassi in modo più approfondito, e reinterrogare la domanda di ricerca.

La scelta di avere un campo situato anche fuori da Verona è stata dettata dalla necessità di osservare contesti indipendenti dal campo multisituato preso in esame nel paragrafo precedente, in modo da avere uno sguardo meno condizionato dal processo euristico anche se, durante il suo svolgimento, si sono creati dei legami anche con i campi di ricerca italiani59.

59 In particolare Made in Carcere ha rappresentato una risorsa di accompagnamento alla

nascita di Common Ground, con il progetto Venezia/Lecce A/R e con Depression is Fashion si è creata una rete di recupero e condivisione materiale da laboratori in fase di dismissione.

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2.3.1 Refugee Scart

Refugee Scart60 è un progetto di Spiral Fundation (già operante nella cooperazione

internazionale con progetti in Nepal e in Vietnam), che ha sede a Roma e prevede la lavorazione sartoriale di imballaggi di plastica, trasformati in tessuti attraverso una tecnica asiatica. Si rivolge a uomini richiedenti protezione internazionale.

«Stazione Termini dove si smistano i destini di chi ha azzardato tutto per sbarcare. In un locale offerto dalla solidarietà pura, una squadra di rifugiati, undici, raccoglie plastica buttata via e la trasforma in oggetti utili e anche belli. Un laboratorio di pochi utensili dà scopo, dignità e valore alle loro mani buone a tutto. […] Spiral Fundation - ha aperto un'altra breccia nel muro dell'isolamento, facendo circolare l'aria fresca della fraternità» (da un’intervista ad Erri de Luca, in

Spiral Fundation: Refugee Scart – Migrant Art - Spostamenti Coraggiosi Aiutando Riciclo Terra, Il corriere delle donne, 2 gennaio 2012).

Il progetto ha due ulteriori punti di forza: da un lato un’elevata capacità di coinvolgere testimonial d’eccellenza, dall’altro lato una grande presenza sul territorio, in quanto il recupero degli imballaggi e delle plastiche direttamente dalla strada è parte integrante del processo di auto-impresa.

È nata da 3 volontari – rimasti tali e che tengono a rimanere tali – e al momento della raccolta e analisi dei dati, ha contribuito alla formazione di più di 40 artigiani, permettendo stabilmente a 6-8 persone di generare un reddito per sé.

2.3.2 Depression is fashion/Epico

Depression is fashion è stato l’atelier di moda della Cooperativa Sociale La.Co.Sa., nato

nel 2007, per promuovere il lavoro come strumento di coesione sociale, per gli utenti del Dipartimento di Salute Mentale dell’Azienda Ospedaliera Carlo Poma di Mantova. La cooperativa si occupava da tempo di inserimento lavorativo e ha deciso di creare un contesto specifico per incrementare il suo operato:

Da diversi anni, in collaborazione con lo Sportello lavoro del dipartimento di Salute mentale, riusciamo a inserire con borse lavoro in varie aziende della zona almeno 200 persone all’anno, da qui l’idea di creare un ente non profit per favorire ulteriormente l’inserimento degli utenti del servizio psichiatrico.

La scelta del nome è volta a trasformare il concetto negativo di depressione, tipico delle persone con

60 Cfr. REFUGEE SCART/ARTE MIGRANTE, Spostamenti Coraggiosi Aiutando Riciclo Terra, Libreria

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problemi psichiatrici, e a positivizzarlo, accostandolo al mondo della moda, in continua evoluzione. (da intervista a Paolo Tortorella, Vita, 28 maggio 2008)

Quando ho incontrato Manuela, la responsabile del laboratorio, questo era abbastanza in sofferenza: la scelta di aprire bottega in una galleria centrale a Mantova ma in via di riqualificazione61, messa insieme a una riduzione dei finanziamenti da parte

dell’Azienda Ospedaliera, aveva portato lei e il presidente a non percepire più lo stipendio per alcuni mesi e la difficoltà mi viene palesata fin dal primo giorno di osservazione:

Torna Luca.

Luca è il presidente della cooperativa. Era in Regione per parlare del futuro del laboratorio. Quando arriva, tutte scattano: la difficoltà, per questa cooperativa, è la garanzia di poter continuare ad esistere. Non ci sono grandi novità. Luca, quindi, invita tutte a ricominciare e, con calma, le cose riprendono, con fiducia: anche se non ci sono sicurezze, una in realtà c’è e, cioè, che si deve continuare a fare il proprio lavoro e questo è quanto conclude Raffaella [una delle tirocinanti]. (dal diario di campo del 19 luglio 2013)

Questa situazione, oltre a una riflessione sull’accessibilità del campo per le osservazioni, mi ha portato a prediligere questo luogo di ricerca, per ottenere degli elementi su come una realtà riesca a riorganizzarsi (se ci riesce), fuori dalla protezione delle istituzioni o, in caso, se riesca a creare nuove reti, per la sua riuscita.

A fine 2014 il marchio è stato rilevato dalle cooperative Santa Lucia (Asola – Mantova) e Terra dei Colori (Parma), riuscendo così a conservare e rinforzare la sua identità. Nella nuova veste, ha preso il nome di Epico:

All’interno del progetto Epico giocano un ruolo prioritario sia l’aspetto umano che la filiera produttiva: recupero dei materiali, trasformazione e coinvolgimento di persone (che sanno fare e che imparano a fare) consentono di delineare le caratteristiche ideali per la realizzazione di un luogo di relazione sociale: il laboratorio/atelier. (dal sito web epicolab.it/progetto)

Nella sua ripartenza, il progetto ha esteso la sua produzione, oltre che agli accessori di PVC, anche a quelli di pelle (sempre fondo di magazzino) e al ripensamento dei vestiti, sapendo valorizzare le competenze della responsabile e offrendo maggiore pluralità di formazione.

61 Quando Depression is fashion è nato, era situato all’interno dei locali dell’Azienda Ospedaliera, aspetto

che gli permetteva di godere di una locazione gratuita. Dopo qualche anno, è stata presa la decisione di spostarlo all’interno della Galleria Apollo, una struttura costruita negli anni ’70, in zona centrale, ma scarsamente valorizzata. Negli anni la galleria ha subito diverse mutazioni, che non hanno mai portato ad una reale valorizzazione dello spazio. L’atelier mantovano vi si è inserito in un momento in cui sembrava che anche altri artigiani e artigiane la stessero ripopolando ma, di fatto, non è mai realmente partito un rilancio e la posizione non favorisce in alcun modo la diffusione del marchio.

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Al momento della raccolta e analisi dei dati, il marchio garantiva l’assunzione di 3 persone e la turnazione su borse-lavoro pagate di un’altra donna.

2.3.3 Made in Carcere

Made in Carcere è il marchio sartoriale di accessori della Cooperativa Officina Creativa di

Lecce, nato nel 2007, per volontà di Luciana delle Donne, per generare percorsi inclusivi per le donne detenute principalmente nel Carcere Borgo San Nicola. In nome della continuità dei progetti di vita, ha poi realizzato anche un laboratorio, per l’esecuzione penale esterna a Lequile, sempre in provincia di Lecce.

Il progetto cerca di conciliare etica ed estetica, nella valorizzazione di un’educazione possibile e necessaria per chi si trova a scontare una pena, in seguito a reati:

ETICA: lo scopo principale di Made in Carcere è di diffondere la filosofia della "Seconda Opportunità" per le Donne Detenute e della "Doppia vita" per i tessuti. Un messaggio di speranza, di concretezza e solidarietà, ma anche di liberà e rispetto per l'ambiente.

ESTETICA: Ironia, semplicità e creatività sono le caratteristiche che contraddistinguono i prodotti

Made in Carcere. Sono manufatti che nascono dall'utilizzo di materiali e tessuti esclusivamente di

scarto, provenienti da aziende italiane che credono in noi e particolarmente sensibili alle tematiche sociali e ambientali.

CHI CUCE LE BORSE? Ogni detenuta che lavora a Made in Carcere ha una storia unica. (dal sito www.storemadeincarcere.it/chisiamo)

Made in Carcere ha contribuito alla nascita di Common Ground, gestendo per due anni il

progetto di recupero e valorizzazione dei banner della Mostra del Cinema di Venezia, dando vita alla collaborazione “Venezia/Lecce A/R”, in cui 4 donne sono state affiancate, in momenti diversi, alle detenute di Officina Creativa, sono state protagoniste di un percorso di formazione e poi sono tornate in Veneto, dove hanno prima contribuito ad avviare il nuovo laboratorio di Verona e poi hanno trovato un nuovo lavoro in campo sartoriale.

Made in Carcere, tra le realtà osservate è, insieme a Progetto QUID, la cooperativa più

redditizia. Ciò non le impedisce di essere levatrice di altri progetti, oltre a quello già citato, come la creazione del marchio Sigillo, insieme al Ministero di Giustizia, per la realizzazione di una rete nazionale di coordinamento dell’imprenditoria delle donne detenute, con l’obiettivo di garantire loro un futuro e di ridurre la possibilità di recidiva. Al momento della raccolta e analisi dei dati, la Cooperativa contava al suo attivo circa 25 assunzioni.

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