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CAPITOLO 2 L’ATELIER DI RIUSO CREATIVO COME MEDIAZIONE ALL’AUTO IMPRESA

2.5 Alcuni elementi cruciali: la sfida della sostenibilità e dell’innovazione per gli atelier

2.5.1 Il pensiero filosofico di Serge Latouche e il modello delle 8R

Le acquisizioni che vengono da questi summit e trattati vengono accostate solitamente alla sostenibilità economica e a un’innovazione sociale che poco hanno a che vedere con i processi educativi e trasformativi delle comunità cittadine. Tuttavia, ciò che viene affermato a Johannesburg apre la riflessione anche alla sostenibilità sociale e al suo non essere secondaria rispetto a quella economica, come si è detto nel precedente paragrafo.

Si vuole adottare come orizzonte di senso di questo lavoro e della strutturazione degli atelier di riuso creativo proprio questo mutamento di pensiero che, per dirlo con le parole di Ivan Illich, significa valorizzare la dimensione relazionale e conviviale della società.

«Passare dalla produttività alla convivialità significa sostituire a un valore tecnico un valore etico, a un valore materializzato un valore realizzato. La

65 Cfr. United Nations Conference on Environment & Development Rio de Janeiro, Brazil, 3 to 14 June 1992, nota

anche come AGENDA 21.

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convivialità è la libertà individuale realizzata nel rapporto di produzione in seno a una società dotata di strumenti efficaci»67.

Il pensiero del filosofo austriaco ha costituito la base per l’elaborazione di quella che Serge Latouche chiama «utopia concreta della decrescita felice»68, attraverso la

definizione del programma di otto cambiamenti interdipendenti che si rafforzano tra di loro, definito delle 8R, che vuole essere assunto non solo come lente per guardare lo sviluppo economico, ma anche quello sociale e come stimolo per i processi educativi, co-costruiti e di auto-impresa con persone adulte. Vediamo questi otto punti, calati nella realtà degli atelier di riuso e della ricerca, per quanto possibile:

1. Rivalutare: decolonizzare l’immaginario, proponendo una rivoluzione culturale, che promuova un cambiamento di valori e atteggiamenti, per sviluppare una diversa visione del mondo e della società. In particolare: - altruismo, interesse per la comunità e spirito del dono vs egoismo ed arrivismo; - collaborazione e convivialità vs competizione;

- piacere del tempo libero vs ossessione del lavoro; - locale vs globale;

- autonomia vs eteronomia;

- gusto per il bello vs efficienza produttivistica;

- ragionevole vs razionale (inteso come razionalità calcolatrice dell’economia comunemente intesa);

- relazionale vs materiale;

- armonia con la natura vs dominio della natura e suo controllo.

Tali proposte valoriali appaiono fondamentali sia per descrivere l’essenza degli atelier di riuso creativo, ma anche per inquadrare il contesto della ricerca in cui essi si collocano. La ricerca-azione stessa, infatti, richiede una rivalutazione di alcuni concetti che stanno alla base del lavoro con adulti e adulte per cui, alle proposte di Latouche, si potrebbe aggiungere anche persona vs utente, per citare la principale proposta di cambiamento valoriale di questo strumento. 2. Riconcettualizzare/ridefinire: ripensare, a partire dal piano psico-cognitivo,

alcuni concetti fondamentali, come ricchezza e povertà, mettendo al centro le

67 ILLICH, I., La convivialità, trad. it., Mondadori, Milano, 1974, p. 31.

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relazioni come bene più alto, per la ricchezza che viene dalla reciprocità e dalla condivisione; ma anche il binomio scarsità e abbondanza, per mettere in discussione l’induzione e la mercificazione del bisogno, che genera una creazione artificiale.

Ridefinizione e ripensamento stanno anche alla base dei laboratori presi in esame da questo lavoro. In particolare, il binomio che viene a essere ripensato è quello di persona in stato di bisogno e portatrice di ricchezza. Tale ripensamento è spesso richiesto sia al sistema dei servizi sociali istituzionale, sia a quello del privato sociale, sia, infine, alla comunità.

3. Ristrutturare: cambiare i valori e le lenti attraverso cui guardare alla società, implica, necessariamente, un adeguamento dell’intero apparato produttivo e della gestione dei rapporti sociali, con una ristrutturazione della società che preveda una riduzione dello spazio della pubblicità e un riorientamento della ricerca tecnoscientifica.

In questo senso appare fondamentale la visione economica presentata dagli atelier che, più che promuovere una crescita infinita orientata al prodotto, chiedono il riconoscimento di uno sviluppo sociale, orientato ai processi e alla costruzione di un diverso vocabolario per parlare di educazione degli adulti e delle adulte e di sviluppo sostenibile.

4. Ridistribuire: ripartire in maniera più equa le ricchezze e l’accesso al patrimonio della natura (sia tra Nord e Sud, sia all’interno di ogni società e comunità). L’idea portante è quella che, diminuendo le ore di lavoro per ciascuno e ciascuna, si possano generare più posti di lavoro e nuove professioni ecologiche, rivalutando, in parallelo, anche il significato che si attribuisce al denaro. A questo punto si collega anche lo strumento dell’impronta ecologica, la cui analisi evidenzia un grande squilibrio tra nord e sud del mondo.

Il tema della ridistribuzione, qui, è collegato in maniera evidente alla definizione di nuove professioni ecologiche ma a questo si aggiunge anche una diversa visione del carico lavorativo, che viene diviso equamente tra i diversi attori e le diverse attrici coinvolte. Una nota a margine di questo punto è, però, che la ridistribuzione del carico lavorativo, finalizzato a una vita con maggiore benessere per un numero più alto di persone, è possibile se in parallelo si attiva un movimento che valorizzi le professioni di cura e del sociale e quelle

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artigianali. L’assenza di tale sensibilità non limita le creatrici e i creativi coinvolti nella ricerca, tuttavia rischia di scoraggiare la replicabilità e la scalabilità delle pratiche indagate, nonché di consolidare un’idea che il lavoro di cura non richieda una reale professionalità; parallelamente, per quanto riguarda il disconoscimento del lavoro artigianale, a consolidarsi è uno stile di consumi che genera sfruttamento e svalutazione del concetto stesso di persona69.

5. Rilocalizzare: il suggerimento di questo punto è quello di consumare principalmente prodotti locali e limitare trasporti, spostamenti di persone, politiche statali; per dirlo con le parole di Latouche, «se le idee devono ignorare le frontiere, al contrario i movimenti di merci e di capitali devono essere limitati all’indispensabile»70. In questo punto è contenuto un legame importante con

alcuni dei principi cardine della progettazione sostenibile, come il localismo della progettazione bioclimatica71 e l’uso di risorse locali, anche nelle

realizzazioni edilizie, per ridurre l’impatto ambientale e i consumi legati ai trasporti.

Anche in questo caso è possibile individuare un legame forte con le proposte del sistema cooperativistico alle istituzioni locali, che propongono di adottare le loro forniture, piuttosto che operare una delocalizzazione al ribasso, verso beni più facilmente portati all’obsolescenza e che, appunto, non producono valorizzazione e ricchezza locale. Inoltre, la proposta dei laboratori promuove anche una sorta di democrazia di prossimità, come indicato da Latouche, in quanto cercano di sviluppare una rete di piccole comunità di cittadini e associazioni, che si impegnano per valorizzare le proprie risorse locali e attivare relazioni solidali e trasversali.

6. Ridurre: non significa fare meno rispetto a prima, ma promuovere e agire uno stile di vita nuovo, qualitativamente migliore: ridurre l’orario di lavoro, il consumo di beni e risorse e gli spostamenti dovrebbe permettere un

69 Sul tema dello sfruttamento lavorativo si rimanda al documentario del 2005 China Blue di Micha Peled,

che fa luce sulle condizioni lavorative delle fabbriche cinesi, in relazione, anche, all’importanza delle esportazioni cinesi per l’economia mondiale. Se non si può affermare che tutta la produzione globale sia sottoposta a tali rigide condizioni di vita, che negano la dignità umana e il valore della persona in quanto tale, questo documento costituisce comunque una base di riflessione importante per ciò che riguarda la richiesta di un ripensamento rispetto al costo umano e monetario degli oggetti di cui scegliamo di circondarci.

70 Latouche S., L’invenzione dell’economia, tr. it. Grillenzoni F., Bollati Boringhieri, Torino 2010, p.95. 71 Cfr. GIACCHETTA A., Il progetto ecologico oggi: visioni contrapposte, Alinea, Firenze 2010.

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miglioramento della salute umana ma, soprattutto, anche la creazione di una nuova ricchezza, data dalla riconquista del tempo libero, necessario per allacciare relazioni personali e dedicarsi alla vita politica (intesa anche come politica prima), artistica, culturale e sociale.

La riduzione del tempo è un tema caro agli atelier che, attraverso il lavoro manuale, permettono di recuperare la dimensione del tempo e del valore degli oggetti, rivalutando, infondo, anche il proprio tempo di vita e di lavoro. 7. Riutilizzare: è questo il punto che si oppone all’obsolescenza programmata e

che suggerisce di produrre beni più resistenti, che possano durare nel tempo, così da ridurre la produzione. L’obsolescenza programmata alimenta una cultura dello spreco e dell’inquinamento e genera un senso di spaesamento nell’uomo, facendogli desiderare beni che non soddisfano alcun bisogno reale72.

Sul riutilizzo, le storie dei laboratori coinvolti nella ricerca tendono a richiedere alle istituzioni di valutare anche un uso diverso del patrimonio urbano, che porti a valorizzare vecchi spazi, piuttosto che a crearne di nuovi, offrendo la possibilità all’economia etica e solidale di beneficiare (e, contestualmente, prendersene cura) di spazi e luoghi altrimenti lasciati in decadimento. Inoltre, l’invito è anche a prevedere progettazioni che abbiano tempi di applicazione medi – se non, addirittura, medio lunghi – che scongiurino sprechi dovuti a costi strutturali dei progetti (sede, arredo, ecc.), permettendo di ammortizzare questi e l’impiego di energie e risorse intellettuali e lavorative, in servizi destinati a durare nel tempo e non ad esaurirsi in 12-18 mesi.

8. Riciclare: invece di trasformare le materie in rifiuti, reimpiegarle nel ciclo produttivo.

Appare chiaro come questo punto sia rispettato dagli atelier di riuso creativo che cercano di proporre alle aziende (e ai privati) un’alternativa alla necessità di smaltire materiali non più utili o fallati.

Più che uno studio economico, la proposta delle 8R è un programma pratico e filosofico, che mette al centro la domanda su cosa sia il benessere e quale sviluppo possa portare maggiore benessere agli uomini e alle donne.

72 Cfr. SENATORE G., Storia della sostenibilità. Dai limiti della crescita alla genesi dello sviluppo, Franco Angeli,

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Le prime due R – Rivalutare e Riconcettualizzare, costituiscono quasi una premessa per le altre, perché sottendono un cambiamento culturale e di pensiero, senza il quale il programma non può essere adottato. La richiesta del filosofo e antropologo francese è quella di operare un cambio di punto di vista, quasi confidando in quello che definisce un «pensiero magico», passaggio che mi pare molto affine alla richiesta di fede dei processi educativi che vengono attivati all’interno dei laboratori.

La Rilocalizzazione costituisce, invece, il cardine delle scelte politiche. Ha bisogno, dunque, di un passaggio non solo personale, ma anche istituzionale, perché si possa permettere lo sviluppo di comunità più eque e rispettose delle persone, ma anche più ecologiche e rispettose dell’ambiente e dell’ecosistema.

Importante è anche la visione che viene data al lavoro, non solo per quanto già illustrato (la trasformazione dell’aumento di produttività in riduzione del tempo lavorativo e creazione di nuova occupazione), ma anche per la richiesta di un reddito minimo di inserimento e un reddito massimo consentito, per evitare una concentrazione di ricchezza in poche persone, a fronte di un basso reddito di molti. Il modello che ne esce, a detta del suo teorizzatore, non è definitivo e ognuno può completare aggiungendo le R che vuole, o declinandolo ulteriormente, come si è cercato di fare rispetto all’idea di economia proposta dagli atelier.

«Il progetto di costruire una società della decrescita dunque è un’utopia, un’utopia nel senso concreto e positivo della parola che è un altro mondo possibile. Ho proposto di realizzare questo progetto attraverso uno schema delle otto “R”: Rivalutare, Riconcettualizzare, Ristruttutare, Ridistribuire, Rilocalizzare, Ridurre, Riutilizzare, Riciclare. Ogni volta che faccio una conferenza c’è qualcuno nella sala che mi dice: “Lei ha dimenticato una R molto importante, si deve anche Reinventare la democrazia”. Un altro mi dice: “Si deve ri-cittadinare”. Il concorso è aperto, si possono aggiungere molte altre R»73.

Oltre a fornire alcune indicazioni operative, spendibili nella quotidianità e da cui ha origine il movimento della Decrescita felice74, la proposta delle 8R e il pensiero di

Latouche, più in generale, puntano a mettere in discussione il concetto di sviluppo sostenibile, specificato all’inizio del paragrafo. La scelta di affiancare ai documenti dei

73 LATOUCHE S., Contributo al seminario sulla decrescita organizzato dalla Commissione Cultura della Camera dei deputati, 4 ottobre 2007.

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summit internazionali anche questa visione, più filosofica e antropologica, risiede nell’esigenza, maturata in anni di lavoro per lo sviluppo sociale, di declinare in maniera più articolata il concetto di sostenibilità, affinché questo non celi, nelle sue trame, la giustificazione di uno sviluppo economico infinito, che non sappia anteporre le persone e le comunità al progresso e all’innovazione.

2.5.2 Uno sguardo all’innovazione sociale