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CAPITOLO 4 – IL METODO

4.2. Il diario di ricerca

4.2.1 Il diario di ricerca di stampo fenomenologico

Per la scrittura del diario della ricerca, mi sono in parte rifatta al diario di stampo fenomenologico172, annotando, dunque, i fatti accaduti, trasversali alla ricerca, arricchiti

con i significati che vi attribuivo con il modo in cui li avevo pensati. La scrittura non ha avuto una cadenza quotidiana, ma un tempo e uno spazio propri straordinari, dedicati in alcuni momenti specifici per descrivere quanto avevo esperito o elaborato. Non volevo, infatti, che fosse un’azione meccanica, obbligata, forzata, ma che risultasse un movimento necessario a me e alla ricerca e che si potesse inserire in armonia in una quotidianità complessa, composta da diverse pratiche.

171 Cfr. DEMETRIO D., La scrittura clinica: consulenza autobiografica e fragilità esistenziale, Raffaello Cortina

Editore, Milano 2008.

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Gli obiettivi di questo tipo di scrittura, a me familiare per il precedente lavoro di ricerca173, sono quelli di intensificare la capacità di analisi dettagliata dell’osservazione,

migliorare la capacità di indagare i processi cognitivi e metterli in parola, mettere a fuoco le contraddizioni emerse dalla ricerca, conoscere e dare espressione ai propri vissuti emotivi, al fine di andare a individuare, oltre alla «zona chiara»174 della ricerca

(sfondo paradigmatico, scelte epistemiche, strategie individuate per la raccolta dati), anche lo «sfondo opaco», che rischia di restare latente e che riguarda i presupposti e gli automatismi del pensiero, che tendono a restare impliciti e ad agire sui processi di conoscenza, senza che ve ne sia coscienza. Sono aspetti radicati nella biografia soggettiva di ciascuno175 e possono essere portati alla luce solo attraverso una disciplina

di consapevolezza di sé, per «scandagliare la propria interiorità e acquistare gli strumenti per poter cogliere l’esperienza epistemica nel corso del suo farsi e per riflettere criticamente sui presupposti radicati nella soggettività»176. Il fine ultimo della

scrittura del diario è proprio quello di incrementare l’autocomprensione, anche rispetto alla propria «geografia e storia emotiva»177.

Ho inteso lo scrivere come pratica riflessiva e ho adottato il criterio dell’annotare in maniera pensata ciò che appariva necessario estrarre dal silenzio, attraverso una scelta accurata delle parole da utilizzare.

Per quanto riguarda la forma, il diario ha previsto l’annotazione della data e l’individuazione dell’oggetto della descrizione, l’indicazione di un titolo, ove possibile, o solo di un argomento. A margine è stato lasciato un ampio spazio bianco, per permettere l’aggiunta di note, secondo il seguente schema di analisi:

- NT (Note Teoretiche): idee ed ipotesi sulla prassi educativa;

- NM (Note Metodologiche): osservazioni su strategie e metodi di ricerca utilizzati;

- NP (Note Programmatiche): riflessioni su possibili alternative, o riorganizzazioni, rispetto ai modi in cui sono state utilizzate determinate tecniche;

173 Cfr. BERGAMASCO M.A., La gentile proposta. Dire la pratica di insegnamento nella casa circondariale di Montorio Veronese, Verona 2011.

174 MORTARI L., Cultura della ricerca e pedagogia. Prospettive epistemologiche, Carocci, Roma 2007. 175 Cfr. SITA’ C., Indagare l’esperienza, op. cit.

176 Ibidem, p. 45.

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- NC (Note Critiche): temi e punti problematici, che hanno evidenziato delle difficoltà.

Questo tipo di scrittura ha portato principalmente a delineare due livelli: il primo, descrittivo, che conteneva tutto ciò che veniva alla mente come coscienza, senza selezioni a priori (quali conoscenze ho elaborato? Come?); il secondo, critico, di analisi delle concezioni del processo cognitivo (che cosa penso di tale conoscenza? Come sono arrivata a questa valutazione?).

La postura soggiacente alla scrittura ha trovato le sue radici nella fenomenologia, facendo un movimento di messa tra parentesi dei codici che significano a priori l’esperienza, per lasciare spazio ad una descrizione concreta dei vissuti, dando particolare risalto ai sentimenti e ai movimenti trasformativi.

L’atteggiamento di fondo, usando le parole di Luisa Muraro è che «nel tuo ragionare, giudicare, decidere, non ti fai trovare dove gli altri ti aspettano»178.

Il movimento epistemico fondamentale è l’esercizio dell’epochè, seguendo il principio ontologico della natalità179, del generare qualcosa di nuovo, che viene dal rapporto tra

interiorità e mondo, e che non è già dato e costituito.

In definitiva, intendere il diario di ricerca in chiave fenomenologica, prevede che questo sia considerato come uno strumento negoziale ed ermeneutico: «la pratica del diario va, quindi, intesa non nella sua accezione intimistica e privatistica, né evocante pratiche psicoanalitiche, ma come luogo entro il quale sedimentare racconti di esperienza da condividere con gli altri»180.

Benché questa forma di scrittura mi sia rimasta cara anche nei lavori non accademici per descrivere la mia pratica di educatrice e pedagogista e gli spostamenti di pensiero a essa soggiacenti e purché questa forma si sia rivelata adeguata, in questa sede, per riflettere in maniera critica su quanto avveniva (percorso della ricerca, elaborazioni a partire dai testi, ecc.), ho trovato necessario sviluppare una forma diversa di scrittura, per ciò che riguardava le osservazioni sul campo - sia quello veronese, sia quello italiano -, che mi ha portato allo studio (e sperimentazione) di altre forme di diario. Ho

178 MURARO L., Partire da sé e non farsi trovare in DIOTIMA (a cura di), La sapienza di partire da sé, op. cit.

p. 8.

179 Cfr. ARENDT H, La vita della mente, trad. it., Il mulino, Bologna 2009 e BÀRCENA F., MELICH J.-

C, cur DESBOUTS C.G., ZDZIEBORSKI J., L’educazione come evento etico. Natalità, narrazione e ospitalità, trad. it., LAS, Roma 2009.

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conservato questa la forma di diario fenomenologico come riflessione sulle letture e sui loro intrecci con la ricerca-azione, come strumento di meta-riflessione sulle interviste e sulla scrittura e, più in generale, sull’esperienza di ricerca e su come questa potrebbe diventare un modus-operandi della mia professionalità.