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In attesa dei decreti attuativi della l del 23 giugno 2017 n 103 Proposte per un’alternativa applicazione della videoconferenza

all’interno del procedimento di sorveglianza: verso il recupero del diritto alla presenza?

La legge 23 giugno 2017 n. 103, recante “Modifica al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario”, è stata approvata in via definitiva dopo un lungo percorso, fatto di contrasti, politici e non solo, di ritardi, e compromessi all’interno dello stesso partito, e con esponenti della magistratura, restii a certi cambiamenti che limitavano il loro potere di azione. La volontà originaria della riforma della “Giustizia”, era quella di un ambizioso progetto capace di rivedere tutto l’ambito penale, dalla sanzione, alla decisione, all’esecuzione, e, per quest’ultimo aspetto in particolare, la legge sarebbe dovuta l’occasione per un cambio di rotta rispetto al previgente sistema, con un implemento, per la materia penitenziaria, delle garanzie e tutele nell’ottica dell’art. 27, comma terzo, Cost. Oltre a questa volontà, il “maxiemendamento” si proponeva anche di poter fungere da

(pro)ponendosi altresì come “riforma dei principi”» 285 per il riallineamento alla lettera costituzionale di taluni settori dell’ordinamento penale, che erano costantemente, sotto questo profilo, messi in dubbio.

Nonostante le intenzioni iniziali, è da sottolineare che talmente diverse e lontane sono state le istanze che hanno portato alla formulazione del testo, e con input così differenti fra loro, che il risultato finale è stato quello di una «non semplice reductio ad unum, forse neanche tentata o

comunque non realizzata»286.

Se questa era la ratio della legge delega, ciò che maggiormente si è atteso per mesi è stata la realizzazione di quei decreti attuativi che soli avrebbero potuto dar concretezza alle previsioni contenute nell’art. 1, comma 85, della l. n. 103/2017.

Nel corso dei mesi la dottrina non è certamente rimasta ferma a guardare, e anzi, sperando in qualche modo di poter ispirare e indirizzare talune scelte del legislatore, in molti hanno formulato proposte sui vari aspetti della materia287.

Nel seguente paragrafo non verranno, per ragioni di inerenza al presente lavoro, presi in considerazione tutti gli aspetti della riforma, ma ci si concentrerà su due punti salienti del comma 85: a) la semplificazione

delle procedure anche con la previsione del contraddittorio differito ed eventuale, per le decisioni di competenza del magistrato di sorveglianza e del tribunale di sorveglianza (…); i) disciplina dell’utilizzo dei collegamenti audiovisivi (…) a fini processuali, con modalità che garantiscano il rispetto del diritto di difesa, (…)288.

Procediamo con ordine. Per quanto riguarda la prima delle due questioni, molte sono state le proposte degne di essere prese in

285 V. F. FIORENTIN, La delega per la riforma dell’ordinamento penitenziario, in (a cura di) G. SPANGHER La riforma Orlando. Modifiche al codice penale, di

procedura penale e Ordinamento penitenziario, Pisa, 2017, p. 306.

286 Cfr. G. SPANGHER, La riforma Orlando della giustizia penale. Prime riflessioni, in (a cura di) G. SPANGHER, op. cit., p. 11

287 Per tutti vedi AA. VV., in (a cura di) G. GIOSTRA – P. BRONZO, Proposte per

l’attuazione della delega penitenziaria, Roma, 2017.

considerazione, tra chi sceglieva di convertire la semplificazione in una riduzione delle occasioni di partecipazione delle parti all’udienza, lasciando al tribunale di sorveglianza, con la sola acquisizione delle memorie e gli atti relativi al trattamento, la decisione da notificarsi in seguito a tutti gli interessati; chi propendeva per la partecipazione da effettuarsi però nella forma a distanza in modo da ledere il meno possibile il diritto alla presenza del detenuto, riducendo al contempo le tempistiche; e chi richiedeva, al contrario, l’estensione della pubblicità delle udienze, ad un maggior numero di casi.

Iniziamo con l’analisi compiuta da Rossano Adorno289, che, sebbene

nella relazione illustrativa del suo lavoro tenda a sottolineare come la propria riscrittura dell’art. 678 c.p.p., che dagli attuali 5 commi passerebbe ad averne 9, sia in linea con la maggiore pubblicità delle udienze e una maggiore tutela del diritto alla presenza da parte dell’imputato, qualche dubbio sorge se leggiamo attentamente le modifiche disposte. Innanzitutto, lo snellimento della procedura si avrebbe grazie ad un rimando diretto, in tutto l’art 678 c.p.p., alla procedura ex quarto comma dell’art. 667290, e dunque, in una prima fase dello stesso, in totale assenza delle parti che, per intervenire davanti all’organo decidente non avrebbero altra scelta se non quella di proporre opposizione all’ordinanza, da svolgersi, si precisa al comma 8, nella forma dell’udienza pubblica. L’autore giustifica tale scelta proprio con

289 R. ADORNO, Semplificazione, diritto alla presenza dell’interessato e pubblicità, in (a cura di) G. GIOSTRA – P. BRONZO, op. cit., sez. I, p. 1.

290 Art. 667, comma 4°, in cui si legge che « Il giudice dell’esecuzione provvede in ogni caso senza formalità con ordinanza comunicata al pubblico ministero e notificata all’interessato. Contro l’ordinanza possono proporre opposizione davanti allo stesso giudice il pubblico ministeri, l’interessato e il difensore; in tal caso si procede a norma dell’art. 666. L’opposizione è proposta, a pena di decadenza, entro quindici giorni dalla comunicazione o dalla notificazione dell’ordinanza». La tenuta costituzionale della norma, per quanto riguarda il contraddittorio nonostante l’estrema semplicità del rito, è garantita dalla possibilità di proporre opposizione. Al contrario, non è stata salvata dalla Corte costituzionale che, nella parte in cui non è consentito che il procedimento di opposizione proposto su istanza degli interessati, limitatamente ai casi di applicazione della confisca, si svolga, sebbene di fronte al giudice dell’esecuzione, nella forma dell’udienza pubblica, con sentenza del 15 giugno 2015, n. 109 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 666, terzo comma, 667, quarto comma e 676 c.p.p.

questa facoltà lasciata ai soggetti, per cui ritiene l’iter procedurale snellito, «senza sacrificare il contraddittorio, che potrà sempre attuarsi,

in via eventuale e differita, nelle forma contemplate dall’art. 666 c.p.p.».

Inoltre, allo scopo di limitare questi casi di opposizione laddove la richiesta di pronunciarsi provenisse dall’interessato, dal suo difensore o fosse d’ufficio, nella proposta del nuovo terzo comma, si prospetta la possibilità, in tutti i casi in cui la decisione del tribunale di sorveglianza dovrà vertere sulla concessione di misure che possano cospicuamente incidere sull’an, sul quando, o sul quomodo della pena carceraria, che venga preliminarmente chiesto al p.m. di pronunciarsi in merito, presentando memorie di cui il tribunale potrà tenere di conto ai fini della decisione. Lo stesso non viene, al contrario, previsto, per l’ipotesi in cui il ricorso al tribunale fosse stato richiesto dal p.m., l’interessato infatti, non ha la possibilità di far valere la sua posizione presentando memorie, ma, al massimo, potrà entrare in contatto con l’organo giudicante in un momento solo successivo: l’opposizione. Pensiamo adesso al soggetto che è detenuto fuori dal circondario dell’organo emanante decisione, lo stesso non solo si vedrebbe applicare un procedimento, potenzialmente a lui sfavorevole, ma questo accadrebbe senza aver preso minimamente parte al processo, come un atto calato dall’alto e a lui solo notificato. Anche l’opposizione a poco potrebbe servire, visto che, il meccanismo rogatoriale anticipato abbiamo visto difficilmente può essergli d’aiuto, non conoscendo neppure il magistrato di sorveglianza che porrà le domande, né l’oggetto vero e proprio della pronuncia, né tanto meno gli atti processuali in gioco.

Sembra che più che andare verso una maggiore garanzia della partecipazione, il diritto difensivo sia maggiormente leso, prefigurandosi per taluni la totale estraneità all’intero svolgimento procedimentale.

Ritorno ad un sistema maggiormente garantista, con il «ricorso alla

definizione, come sottolinea il presente lavoro, si può avere tutto tranne che delle certezze), viene apprezzabilmente prospettato, in tutti i casi in cui il tribunale debba pronunciarsi circa la revoca di misure alternative alla detenzione o di qualunque altra misura ampliative dello status

libertatis. La presente proposta, più che vertere sulla garanzia del

contraddittorio (e, ancora, possiamo esserne così sicuri?), è finalizzata ad aumentare le istanze di economia processuale, sempre nel tentativo di ridurre le richieste di opposizione. Allo stesso tempo, riconoscendo una differenza nelle necessità legate alla concessione di taluni diritti, o nella emanazione di certe decisioni particolarmente rilevanti sotto il profilo della libertà del singolo, si propone una procedura ad hoc, con contraddittorio stavolta eventuale e cartolare, per l’adozione di quei provvedimenti che, inerenti alle misure di sicurezza o alla dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato o di tendenza a delinquere e ai permessi premio, vanno in una direzione di ampliamento della sfera giuridica dell’interessato.

L’applicazione del quarto comma, art. 667, è estesa “a tappeto”, diretto richiamo si rinviene anche nei “nuovi” e proposti: art. 69 ord. penit., in cui viene osservato, in quanto compatibile; art. 35bis ord. penit., relativamente alla richiesta di ottemperanza del provvedimento, emesso in sede di reclamo, dell’interessato o del suo difensore munito di procura; art 14ter ord. penit., in cui al terzo comma, eliminando la «partecipazione del difensore en del pubblico ministero», nonché la previsione per cui l’interessato può presentare memorie, si mantiene questa facoltà solo in capo all’amministrazione penitenziaria, applicando per il resto la procedura della decisione emessa de plano da parte del tribunale, ed opponibile in un secondo momento.

Ultimo interessante cambiamento, nell’ottica della realizzazione di quel requisito del “giudice terzo ed imparziale” stabilito dall’art. 111 della Carta Fondamentale e nel procedimento in esame passibile di sollevare plurimi dubbi in proposito291, è offerto dal “nuovo” comma 3 dell’art.

678, in cui è sancita «l’incompatibilità a giudicare, del magistrato di

sorveglianza che abbia emesso il provvedimento impugnato». La

conseguente integrazione dell’organo collegiale avverrà con l’inserimento nello stesso di magistrati di sorveglianza del distretto, o, laddove questo risulti impossibile, «il presidente della Corte di appello procede con decreto alla relativa integrazione, individuando un giudice avente la qualifica di magistrato di cassazione, di appello o di tribunale». Tale negazione è diretta a impedire ad un giudice che abbia già emesso un atto, e dunque il cui convincimento sulla questione in esame si sia già formato e sia sostenuto da valutazioni precedentemente consolidatesi, possa andare a pronunciarsi, e, soprattutto a influenzare gli altri componenti dell’organo, la cui “terzietà” rispetto alle circostanze è indubbia. Qua maggiormente la problematica si fa palese, se difatti il problema che ci si era posti nel primo capitolo riguardava la possibile “verginità” nei convincimenti, e, dunque, concreta imparzialità del magistrato di sorveglianza che avesse chiesto il ricorso alla decisione camerale, qua maggiormente il pensiero del giudice sarà strutturato, avendo lo stesso già condotto una fase procedimentale, peraltro nella totale assenza dell’interessato.

Di diverso orientamento è Marcello Bortolato292, il cui intervento, ben più breve del precedente, sottolinea due aspetti di criticità nella norma dell’art. 678 c.p.p.

In primo luogo l’autore, con tendenza diametralmente opposta a quella di R. Adorno, limita (nel comma 1bis), l’applicabilità del rito di cui all’art. 667, comma quarto, alla sola ipotesi di libertà controllata, e (nel proposto comma 1ter) a quella dei soggetti “liberi sospesi” che debbano ancora espiare, come residuo di maggior pena comminata, un periodo di reclusione non superiore ad un anno, ex art. 656, comma 5, ritendendo che per tutte le altre attualmente sottoposte alla medesima disciplina, sia necessario procedere in ottica maggiormente garantista, ai sensi dello stesso art. 666 c.p.p.

292 V. M. BORTOLATO, Contraddittorio eventuale e differito per le pene brevi, in (a cura di) in G. GIOSTRA – P. BRONZO, op. cit., sez. I, p. 13.

Giustifica la propria scelta l’autore rifacendosi alla Relazione accompagnatoria, Analisi tecnico-normativa della legge delega293, in cui si prevede che alla revoca che la concessione delle misure alternative, di differimento della pena (ex artt. 146 e 147 c.p.), di ricovero per infermità psichica (art. 148 c.p.), nonché all’applicazione, esecuzione, trasformazione e revoca delle misure di sicurezza (art. 679 c.p.p.), riesame della pericolosità (art. 208 c.p.), e, infine alla tutela giurisdizionale dei diritti (ex artt. 35bis e ter), «va opportunamente

riservata al contraddittorio pieno a salvaguardia della natura stessa della “giurisdizione rieducativa” in quanto costitutivamente discorsiva, dialettica e multidisciplinare, garanzia fondamentale della qualità dei giudizi prognostici».

L’ultima problematica sulla quale Bortolato ha scelto di porre l’attenzione riguarda la pubblicità delle udienze. Ricollegandosi alla giurisprudenza recente della Corte costituzionale294, in cui la Consulta ha dichiarato l’illegittimità degli artt. 666, comma 3, 678, comma 1, e 679, comma 1, c.p.p. «nella parte in cui non consentono che, su istanza

degli interessati, il procedimento per l’applicazione delle misure di sicurezza si svolge, davanti al magistrato di sorveglianza e al tribunale di sorveglianza, nelle forme dell’udienza pubblica», l’autore ha

proposto l’inserimento di un quarto comma all’interno dell’articolo 678 c.p.p. Nello stesso si riallinea la disciplina a quanto detto dalla Corte, prevedendo l’udienza pubblica per tutti i procedimento da svolgersi di fronte al tribunale di sorveglianza, con la sola eccezione dei casi di cui al comma 1ter dello stesso articolo.

L’ultimo autore sul quale ritengo interessante soffermare l’attenzione, per quel che concerne la lettera a del comma 85, si pone a cavallo fra la problematica della semplificazione delle procedure e quella di un nuovo utilizzo dello strumento della videoconferenza, utilizzando l’una a

293 Relazione accompagnatoria alla legge delega 23 giugno 2017, n. 103, p. 31. 294 Corte cost. sent. 19-21 maggio 2014, n. 135, in G.U. 1a s.s. 28 maggio 2014, n. 23.

risoluzione dell’altra: si tratta di Antonino Pulvirenti295. Lo stesso suggerisce l’introduzione di nuovi commi all’art. 678 c.p.p., nei quali si occupa, da un lato di aumentare le tutele del contraddittorio, prevedendo la necessaria presenza del difensore e del pubblico ministero, per le udienze di cui al primo comma dello stesso articolo e quella successiva all’opposizione del quarto comma dell’art. 667 c.p.p., e dall’altro, specificamente, della presenza dell’imputato. Su questo ultimo punto la riflessione compiuta mi sembra particolarmente interessante e degna di nota, anche in vista degli sviluppi legislativi che stanno, negli anni, andando proprio in tale direzione. Il futuro successo della tecnologia, anche nel presente ambito, è dovuto alla rapida evoluzione in tale ambito, che consente di avere a costi sempre minori collegamenti audio- video sempre più raffinati296.

Riconoscendo i molti dubbi e le perplessità che la disciplina sulla partecipazione personale del condannato detenuto ha sollevato nel corso del tempo, soprattutto con riferimento al comma quarto dell’art. 666 c.p.p., e, sostenendo lo stesso autore l’insufficienza della sola difesa tecnica ad essere presente alle udienza in cui da riscontrare siano questioni di fatto nonché attinenti alla personalità del detenuto, che è il solo, in sede di giudizio, a poter fornire quelle « “informazioni”

necessari e a confutare eventuali argomentazioni o dati probatori che emergano direttamente in udienza». Il problema è che le suddette

informazioni devono essere fornite contestualmente di fronte allo stesso giudice che di lui andrà a giudicare. Solo in questo modo, ritiene Pulvirenti, il diritto di difesa viene effettivamente a realizzarsi. Il problema, che nel corso degli anni ha subito una notevole evoluzione, dapprima con interpretazione costituzionalmente orientata delle Sezioni Unite della Cassazione a metà anni novanta, e, recentemente, con la legge n. 47/2015, che ha inserito nell’art. 309 c.p.p., un nuovo comma,

295 A. PULVIRENTI, Bilanciamento tra diritto a partecipare personalmente al

procedimento ed esigenze di efficienza, in (a cura di) in G. GIOSTRA – P. BRONZO,

op. cit., sez. I, p. 83.

296 Per quanto riguarda gli aspetti tecnici della materia, si veda Manuale, diffuso dall’Unione Europea, in http://e-justice.europa.eu;/content_manuel-71-it-do.

l’8bis, in cui è previsto espressamente il diritto alla partecipazione in udienza all’imputato che ne faccia richiesta. A fondamento della sua proposta, focalizzata sulla condizione di chi, interessato al procedimento di sorveglianza, faccia richiesta di parteciparne, Pulvirenti pone le divergenze giurisprudenziali attuali, che vedono, da un lato, chi riconosce a questi soggetto un diritto all’intervento diretto, e, dall’altro, chi lo nega, «uno scenario che di certo non può essere ritenuto

risolutivo e che, anzi, potendo determinare inaccettabili disparità di trattamento di situazioni identiche, sembra aggravare il problema». La

soluzione che si prospetta è intermedia tra, l’inaccettabile situazione attuale, e la previsione di un indistinto diritto alla traduzione che pare dar luogo a fenomeni altrettanto pericolosi (c.d. “turismo giudiziario”). Dunque, accanto alla posizione di chi, detenuto nella medesima circoscrizione del giudice potrà presentarsi direttamente di fronte allo stesso, una volta presentata adeguata richiesta, essendo nei suoi confronti configurato un vero e proprio diritto, si prefigura, per il detenuto extracircondario, la possibilità si richiedere la partecipazione con le modalità di cui all’art. 45bis del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271. Questa norma, rubricata “Partecipazione al procedimento in camera di consiglio a distanza”, con un diretto richiamo all’art 146bis disp. att., e alla sua disciplina, regola il funzionamento dello strumento tecnologico della teleconferenza per tutte le udienze nelle quali l’interessato , imputato o condannato, non possa presenziare direttamente. In più, aggiunge l’autore nel suo quarto comma, oltre ad un obbligo di richiesta da presentarsi almeno cinque giorni prima dell’intervento a distanza, laddove il giudice lo ritenga opportuno, possa disporre, in luogo di quella, la traduzione del condannato. La valutazione del giudice quindi non è totalmente rimossa, tuttavia, se lo stesso non ritenesse “utile” far condurre il soggetto di fronte a sé, l’alternativa sarà sempre nell’ottica della contestualità delle informazioni fornite dallo stesso, eliminando il meccanismo della rogatoria interna e inserendo la videoconferenza. Di queste possibilità

l’interessato sarà messo a conoscenza attraverso l’avviso di fissazione dell’udienza in cui saranno specificate tutte le modalità previste dal comma 4 (previsione ex comma 5, anch’esso introdotto da Pulvirenti con la proposta di attuazione della legge delega).

La scelta è sostenuta fermamente nella relazione illustrativa, in cui si cerca subito di allontanare le possibili critiche, ricordando come di fronte alle perplessità di adeguatezza di un tale strumento si fosse già espressa la Consulta297 nel senso della tenuta costituzionale che rispetto alla C.E.D.U.

Nonostante sia certo che una modifica in tal senso comporterebbe un

«maggiore sforzo organizzativo delle risorse umane e materiali» da

parte delle amministrazioni penitenziarie, nonché, la necessità di un nuovo tipo di pianificazione legate alla gestione di questa fase fino ad ora conosciuta solo in particolari istituti, «tale consapevolezza non può

mai giustificare, per ciò solo, l’obliterazione di un diritto fondamentale del detenuto». È in ragione di questo bilanciamento che la modifica

viene proposta solamente per il procedimento di sorveglianza e non anche per quello di esecuzione.

Passando invece alla seconda materia in esame, quella della lettera i, comma 85, dell’art. 1 della legge 103/2017, riguardante i collegamenti audiovisivi, la questione verrà affrontata soltanto dal punto di vista della loro applicabilità in ambito processuale, e non anche da quello dell’agevolazione delle relazioni familiari.

Prima autrice a trattare il tema, è Laura Cesaris298, su cui ci si soffermerà brevemente in quanto, similmente a quanto definito da Pulvirenti, propende verso un diretto richiamo all’interno dell’art. 666 c.p.p., della norma di cui all’art. 146bis disp. att., per tutti coloro che, interessati ad intervenire all’udienza davanti al tribunale di sorveglianza, si trovino impossibilitati a causa del locus detentionis. Se da un lato l’autrice riconosce un miglioramento della condizione

297 Sul punto v. Corte cost., 27 ottobre 2006, n. 341, in www.giurcost.it

298 V. L. CESARIS, Partecipazione a distanza e ricorso a collegamenti audiovisivi, in (a cura di) in G. GIOSTRA – P. BRONZO, op. cit., sez. IX, p. 218.

difensiva dei soggetti reclusi, dall’altro non nega che persistano degli

«aspetti negativi per le attuali concrete modalità tecniche» che, tuttavia, «potrebbero essere certo [migliorate] mediante ricorso a più moderni e funzionali strumenti, peraltro già previsti dal DAP».

L’auspicio è che anche il carcere, in quanto tassello apparentemente ineliminabile della moderna società, smetta di essere relegato nel passato, e possano trovarvi accesso tutti quei mezzi tecnologici avanzati di cui la collettività gode quotidianamente e che ormai sono entrati a far parte della nostra vita (uno su tutti, internet, per il quale, sebbene nel 2015 il DAP abbia prospettato la possibilità di utilizzo, ovviamente ristretto in base alle ovvie ragioni di sicurezza connesse alla condizione degli utilizzatori, non possiamo dire essere proficuamente entrato nella realtà carceraria). Continuare a lasciare gli istituti penitenziari in una condizione di arretramento, oltre che, troppo spesso, d’incuranza delle strutture e trascuratezza delle condizioni igieniche, fa parte di quella volontà in chiave afflittiva che, anziché tradurre la pena in rieducazione,