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Le modifiche della disciplina: la Riforma Orlando e i primi decreti attuativi.

Ultimo tassello dell’evoluzione legislativa, è il disegno di legge del 23 dicembre 2014, C.n. 2798 recante “Modifiche al codice penale e di procedura penale allo scopo di rafforzare le garanzie difensive e la durata ragionevole del processo, e per un maggior contrasto del fenomeno corruttivo, oltre che modifiche all’ordinamento penitenziario per l’effettività rieducativa della pena”, e oggi divenuta definitivamente legge con la Riforma della Giustizia Orlando, del 23 giugno 2017, n. 103, che si occupa anche di videoconferenza e, in particolare, dell’art. 146bis disp. att. La volontà del legislatore è il recupero di tempi

processuali ragionevoli, secondo quanto prescritto dall’art. 111 Cost., in tema di giusto processo.

La nuova lettera della disposizione, così come proposta in sede di riforma, prevede che i soggetti richiamati al comma 1 dello stesso articolo, partecipino nella forma “a distanza” alle udienze dibattimentali dei processi nei quali è imputato, non soltanto se in stato detentivo, ma anche nei «processi (…) relativi a reati per i quali sia in libertà». Inoltre, con le stesse modalità parteciperà, se chiamato ad intervenire, in veste di testimone, alle udienze civili e penali. Lo stesso è previsto per coloro che sono stati ammessi a programmi o misure di protezione (anche urgenti o provvisorie), nei processi in cui sono imputati.

Ulteriore consistente modifica è prevista anche per l’ipotesi eccettiva, laddove si prevede la possibilità di una scelta per il giudice circa la traduzione di qualunque dei soggetti previsti ai commi 1 e 1bis in udienza, in luogo della partecipazione tramite videoconferenza. La sostituzione può avvenire con decreto motivato, laddove l’organo giudicante lo ritenga «necessario» (non più «indispensabile»), ma, soprattutto, questa può avvenire non solo d’ufficio, ma anche su istanza di parte, e, si precisa, mai nei confronti di detenuti sottoposti al regime del carcere duro. Questi ultimi dunque, non avranno in nessun caso la possibilità di comparire di fronte al giudice.

Inoltre, le due condizioni suppletive racchiuse nel primo comma del vecchio art. 146bis disp. att., lett a e b, sono state, a seguito della riforma, trasposte nel nuovo comma 1quater, divenendo così criteri generali per la disposizione della partecipazione a distanza, praticamente estesa ad ogni ipotesi possibile, e dipendente dalla sola volontà dell’organo giudiziario, in luogo di quella fisica. Quindi in ogni processo, laddove sussistano «gravi ragioni di sicurezza», o «il dibattimento sia di particolare complessità», il presidente del tribunale, dandone comunicazione alla Corte d’Assise (se in fase di atti preliminari), o al giudice (se in fase di dibattimento), e alle parti, può disporre la teleconferenza. La nuova disposizione estendendo il

possibile utilizzo dello strumento tecnologico nei confronti di tutti gli imputati per il solo fatto di essere “detenuti”, con un’inversione di rotta rispetto alla ratio applicativa precedente che voleva maggiormente sanzionare il soggetto non per il suo status detentionis, bensì per la gravità del reato commesso, pone degl’importanti interrogativi circa la tenuta costituzionale del sistema, venendo così sacrificato quell’elemento fondamentale del contraddittorio, realizzabile solamente con la partecipazione delle parti al processo. Inoltre, non viene precisato che lo «stato detentivo» debba essere considerato esclusivamente quello “in istituto penitenziario”, potendovi astrattamente venir ricompresi anche tutti coloro che si trovano agli arresti domiciliari o in altro luogo299.

Si chiude la norma con la previsione di un altro possibile ampliamento, statuendo che nelle ipotesi in cui al processo una parte partecipi già con il meccanismo della videoconferenza «il giudice, su istanza, può consentire alle altre parti e ai loro difensori di intervenire a distanza assumendosi l’onere dei costi del collegamento». Si arriva dunque al paradosso per cui alle udienze sieda solamente il giudice collegato con le altre parti attraverso strumenti audio-visivi.

La riforma rientra nell’ambito d’interesse del procedimento di sorveglianza in quanto, non solo l’art. 146bis delle disposizioni attuative viene espressamente richiamato in toto nel primo comma dell’art. 45bis delle stesse, ma soprattutto perché a subire modifiche è stata anche quest’ultima norma. Ponendo il vecchio testo a confronto col nuovo si vede come il testo sia infatti stato adattato alle nuove disposizioni dell’art 146bis, sottraendovi, a titolo esemplificativo, l’ordinanza con cui il giudice, o il presidente del collegio, disponeva il collegamento audiovisivo, e sostituendola con la mera comunicazione. Da domandarsi è inoltre come possano essere equiparabili anche le garanzie in materia d’impugnazione di una comunicazione rispetto a quelle di un’ordinanza.

299 V. Proposte emendative del governo all’art. 146bis disp. att. c.p.p., in

La riforma finisce così, nella stessa opinione dell’Unione delle Camere Penali, per incidere sull’essenza del principio di “immediatezza” e, di conseguenza, sul diritto difensivo.

Per queste ragioni la sola proposta di legge aveva trovato un forte contrasto da parte degli avvocati penalisti, tanto da spingere la Giunta delle Camere Penali a deliberare, in data 3 novembre 2015, l’astensione da ogni attività giudiziaria nell’ambito penalista, che si è protratta fino al 4 dicembre 2015. Nonostante a questa ne siano seguite altre, il legislatore non ha fatto un passo indietro, restando fermo sulla propria posizione fino a che la proposta non si è tramutata in legge. Il punto che più era criticato da parte degli operatori del diritto era che la tecnologia venisse utilizzata, con la suddetta riforma, non in ausilio dei complessi meccanismi burocratici (ad esempio con la smaterializzazione dei fascicoli processuali), ma per questa estensione indiscriminata dell’uso della partecipazione mediante collegamento audiovisivo. Il risultato finale era la «smaterializzazione dell’imputato»300.

Anche all’interno del decreto legislativo recante “Riforma dell’ordinamento penitenziario”, molte sono state le norme toccate, soprattutto in relazione alla semplificazione dei procedimenti. Come già si era evidenziato leggendo le proposte di legge dottrinali, la materia in esame è estremamente connessa a quella delle videoconferenze. È, infatti, con l’utilizzo delle moderne strumentazioni e la partecipazione “a distanza” che il legislatore ha inteso la semplificazione, tramutando quel «contraddittorio differito ed eventuale»301, non già, fortunatamente, con l’impossibilità di una qualunque forma di contatto tra giudice e interessato, ma con uno strumento che surroga tale presenza, consentendola virtualmente, da un luogo altro rispetto all’aula del dibattimento.

300 In questi termini si è espressa l’Unione delle Camere Penali, Unione delle Camere

Penali: decisa l’astensione dalle udienze dal 30 novembre al 4 dicembre 2015, in

www.altalex.com.

La modifica cui si fa riferimento è quella dell’art. 678 c.p.p., articolo profondamente rivisto da questa riforma, in cui il differimento del contraddittorio è stato introdotto in due differenti modalità.

Il primo corposo cambiamento riguarda il comma 1-bis della norma, in cui la forma adottata per la realizzazione della semplificazione è l’estensione, per un maggior numero di casi, della procedibilità ex art. 667, comma 4302, che, come precedentemente visto, prevede la presenza delle parti in una fase avanzata ed eventuale: l’opposizione. Quest’ultima potrebbe anche non svolgersi, laddove le parti scegliessero di non impugnare l’atto adottato dall’organo decidente, seppur in assenza di chiunque altro. Il provvedimento diviene autonomo del magistrato, che provvede, senza formalità, con l’onere successivo di comunicare le proprie scelte ai soggetti interessati.

La ratio a fondamento della modifica consiste nel sacrificio del contraddittorio, in una prima fase del procedimento, per poi recuperarlo, laddove le parti ritengano l’atto inadeguato. Potenzialmente la semplificazione è massima, con una riduzione di tempistiche e costi mancando la tappa iniziale delle notificazioni e tutta l’udienza camerale. Le garanzie si considero mantenute nel momento in cui ai soggetti viene sempre consentito, a seguito della notifica del procedimento, di richiedere al giudice, opponendosi, una nuova pronuncia, stavolta al cospetto di tutti.

Fondamentale, e strettamente connesso sia alla disposizione di cui all’art. 667 comma 4, che 666 (la cui lettura e applicazione sono essenziali per l’esecuzione ex art. 678 c.p.p.), è l’introduzione del nuovo comma 3.1., in cui si prevede che «quando ne fa richiesta l’interessato, l’udienza si svolge in forma pubblica», per la cui circostanza sono applicate, se compatibili, le norme di cui agli articoli 471 e 472 c.p.p.

302 La norma previgente dell’art. 678 c.p.p., prevedeva infatti l’applicazione del procedimento ex art. 667, comma 4, solamente per i casi di «materie attinenti alla rateizzazione e alla conversione delle pene pecuniarie, alla remissione del debito e alla esecuzione della semidetenzione e della libertà controllata, ed il tribunale di sorveglianza, nelle materie relative alle richieste di riabilitazione ed alla valutazione sull'esito dell'affidamento in prova al servizio sociale, anche in casi particolari».

Una simile novità è stata certamente indotta dalla giurisprudenza costituzionale e dalle censure di illegittimità303 per l’assenza di una simile possibilità all’interessato, seppur richiedente. Il principio di pubblicità dei procedimenti giudiziari, infatti, non è solo garanzia prevista dall’art 117, comma 1 Cost., ma anche dall’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, così come interpretata dalla Corte EDU, ragion per cui la Consulta ritenne fondata la richiesta del Tribunale di sorveglianza di Napoli, sulla lettura, in combinato disposto degli artt. 666, comma 3, e 678, comma 1, c.p.p. nella parte in cui non era prevista la possibilità di udienza pubblica, rappresentando questa, «un principio connaturato ad

un ordinamento democratico»304.

Simile contrasto con il suddetto principio era già stato rilevato dalla stessa Corte Europea, per taluni dei procedimenti in cui la legge italiana prevedeva esclusivamente la forma del rito camerale305. A tale conclusione la Corte Edu è giunta, con un richiamo alla sua costante giurisprudenza, per cui il requisito della pubblicità è servente alla tutela degli individui soggetti alla giurisdizione, ponendosi essa in contrasto con ogni qualsivoglia forma di “giustizia segreta”, che, sfuggendo al controllo del pubblico, andrebbe a discapito della fiducia nei confronti dei giudici e dell’intero sistema giudiziario, nonché all’equo processo.

303 Corte cost., sent. 5 giugno 2015, n. 97, in www.giurcost.it .

304 Seppur ciò non fosse espressamente previsto nella norma, la Corte rinviene, come già aveva rilevato con una pronuncia dell’anno precedente (Corte cost. n. 135/2014 cit.) , «L’art. 678, comma 1, cod. proc. pen. prevede, infatti, che il tribunale di

sorveglianza, nelle materie di sua competenza, procede «a norma dell’articolo 666». Trova, pertanto, applicazione anche il comma 3 di tale articolo, il quale prevede la fissazione di una «udienza in camera di consiglio»: formula che rende operante, a sua volta, in assenza di previsioni derogatorie, la disciplina generale del procedimento camerale recata dall’art. 127 cod. proc. pen. e, segnatamente, dal suo comma 6, in forza del quale «l’udienza si svolge senza la presenza del pubblico».

305 Ciò è avvenuto, con riguardo al procedimento applicativo delle misure di prevenzione (Corte Edu, sent. 13 novembre 2007, Bocellari e Rizza c. Italia, n. 399702, in https://hudoc.echr.coe.int, sulla cui scia, Corte Edu, sent. 17 maggio 2011, Capitani e Campanella c. Italia, n. 24920707, in https://hudoc.echr.coe.int; Corte Edu, sent. 2 febbraio 2010, Leone c. Italia, n. 30506/07 in https://hudoc.echr.coe.int; etc..) e al procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione (Corte Edu, sent. 10 aprile 2012, Lorenzetti c. Italia, n. 32075/09, in https://hudoc.echr.coe.int).

Ha aggiunto in seguito che ciò non determina un’illegittimità tout court delle udienza camerali, trovando esse giustificazione in talune situazioni particolari legate, ad esempio, al carattere «altamente tecnico»del contenzioso, tuttavia, in simili circostanze, l’udienza a porte chiuse, anche laddove limitata ad una sola parte della sua durata, deve essere

«strettamente imposta dalle circostanze della causa».

In ragione di queste argomentazioni, ha concluso la Corte costituzionale che «il principio non ha valore assoluto, potendo cedere in presenza di

particolari ragioni giustificative, perché, tuttavia, obiettive e razionali»,

giustificando in tal modo la cesura di costituzionalità.

Assieme all’apprezzabile inserimento del comma 3.1., il legislatore ha ritenuto, forse seguendo molte delle indicazioni giunte anche dalla dottrina, di aggiungere una ulteriore disposizione all’art. 678 c.p.p., il comma 3.1.1. Quest’ultimo è proprio quello che lega le due materie, della semplificazione dei riti e dell’utilizzo di strumenti tecnologici ai fini processuali. Si è stabilito, infatti, risolvendo l’annosa questione della spesso denunciata lesione del diritto difensivo di colui che, recluso in un istituto posto fuori dalla circoscrizione del giudice, non ha la possibilità di intervenire di fronte all’organo giudicante, a meno che questi non ne ordini la traduzione, dovendosi in caso contrario accontentare del mero mezzo della rogatoria interna, che allo stesso venga consentita la partecipazione “a distanza”. Tuttavia, ad ulteriore presidio delle proprie garanzie difensive, rinvenendo come la teleconferenza si trovi in realtà in una via di mezzo tra l’esclusione totale della presenza (nella rogatoria), e l’effettiva partecipazione personale, il nuovo comma si chiude stabilendo che «ove lo ritenga opportuno, il giudice dispone la traduzione dell’interessato».

Innegabile sia come lo sforzo sia finalmente in un bilanciamento di interessi che tenga conto soprattutto del diritto difensivo, nonostante le complicate dinamiche che probabilmente comporterà la dotazione, da parte degli istituti penitenziari, delle strumentazioni necessarie.

Se la direzione sembra quella corretta, non possiamo però negare che, come spesso accade, la riforma sembra incompiuta. Difatti, non essendo stata la modifica dell’art. 678, accompagnata da un equivalente intervento per il quarto comma dell’art. 666, laddove si è colmata una lacuna se n’è creata un’altra. Sarebbe, infatti, bastata una revisione del secondo, alla cui disciplina il primo rimanda. Con una tale manovra invece, si è creata una nuova forma di diseguaglianza, (oltre a quella preesistente fondata sul locus detentionis) fra coloro che, nella stessa situazione detentiva extracircondario, debbano essere giudicati dal giudice dell’esecuzione piuttosto che da quello di sorveglianza, solo nel secondo caso. Possiamo immaginare che nei prossimi mesi questa scelta (o forse svista?) da parte del legislatore non passerà inosservata agli occhi della dottrina.

3.4. Limiti del sistema: possiamo considerarlo equipollente alla