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Il quarto comma dell’art 666 c.p.p e le somiglianze con l’art 127 c.p.p

Trattando il procedimento di sorveglianza, non si può prescindere da uno sguardo più ampio ai riti camerali, cui lo stesso appartiene. Stella polare di tutto il sistema è l’art. 127 del codice di rito98, che descrive analiticamente, nei suoi dieci commi, tutto il dipanarsi di questi procedimenti, dall’instaurazione fino alla loro conclusione. Si parla innanzitutto di un modello di udienza “semplificato” in quanto svolto con la «massima semplificazione nello svolgimento del processo con

l’eliminazione di ogni atto o attività non essenziale»99 (tra cui la redazione del verbale in forma riassuntiva100).

98 R. FONTI, Sub Art. 127, in Atti processuali penali. Patologie. Sanzioni. Rimedi., Milano, 2013, p. 492 ss.

99 Art. 2, co. 1, l. 16.02.1987, n. 81.

100 Punto sul quale peraltro è intervenuta la Corte Costituzionale, con sentenza 3 dicembre 1990, n. 529, (in Giur. Cost., 1990, 3052) sancendo l’illegittimità costituzionale della norma in rifermento all’art. 76 Cost., per contrasto con i principi individuati dall’art. 2, punto 8, l. 16 febbraio 1987, n. 81. Difatti la Consulta ha sottolineato che, sebbene caratteristica dei riti camerali sia indubbiamente la forma più celere e scevra di determinate solennità, non può essere il legislatore a determinare a

In quanto species di un più ampio genus, vediamo le caratteristiche del rito in esame, e, in seguito, le somiglianze dell’art. 666 c.p.p., con il , con riguardo, in particolare, alla presenza del soggetto nei cui confronti si procede.

Considerando l’elemento del contraddittorio si può, all’interno dei riti camerali, operare una classificazione. Si distinguono così un prima categoria di procedimenti a contraddittorio eventuale, o non necessario, in cui le parti sono libere nella scelta se intervenire o meno in udienza101; una seconda categoria a contraddittorio rafforzato, o necessario, in cui si ha l’obbligo di partecipazione delle parti, almeno nella persona del proprio difensore (è questo il caso del procedimento di sorveglianza e del quarto comma dell’art. 666, c.p.p.)102; ancora, un’ulteriore fattispecie è quella del contraddittorio affievolito, in cui la forma scritta prende il posto di quella dialogica, tipica e prevalente nei processi (sono i riti a contraddittorio cartolare); e da ultimo, casi in cui il giudice procede de plano, ovvero senza formalità.

Focalizzando adesso l’attenzione sul procedimento di sorveglianza e dunque sull’art. 666, risulta lampante come le due disposizioni siano in parte sovrapponibili, soprattutto circa l’instaurazione, i termini e le comunicazioni da farsi.

Ancora, esempio di disciplina similare è quella che riguarda la partecipazione delle parti al rito. Se l’art. 127 c.p.p. prevede che «il

priori e inderogabilmente le ipotesi di “semplicità” e “limitata rilevanza”, che permettono la redazione del verbale in forma riassuntiva in luogo di quella integrale. La norma deve oggi pertanto essere letta, non più come «soltanto», bensì «di regola», in forma ridotta, in modo da lasciare al singolo giudice una valutazione circa le necessità del caso concreto.

101 A titolo esemplificativo, i procedimenti di ricusazione (art. 41, 3° co., c.p.p.), di rimessione (art. 48, 1° co., c.p.p.), di riesame delle misure cautelari personali (art. 309, 9° co., c.p.p.), di appello o ricorso per cassazione in tema di misure cautelari (artt. 310, 2° co., c.p.p. e art 311, 5° co., c.p.p.), ecc..

102 Le ragioni di una simile necessità hanno natura diversa a secondo del procedimento di cui si tratta. Possono infatti risiedere nell’importanza dell’assunzione della prova (esempio ne è l’art. 401, 1° co., c.p.p., incidente probatorio), o ancora nell’oggetto del procedimento stesso, e nella natura delle questioni affrontate (è proprio in caso dell’art. 666, 4° co., c.p.p.) o, infine, hanno fondamento nella tipologia dell’atto da adottare, specie in relazione alle conseguenze che esso determina per il successivo svolgimento del processo (è il caso dell’udienza preliminare e delle prescrizioni dell’art. 420, 1° co., c.p.p.).

pubblico ministero, gli altri destinatari dell’avviso nonché i difensori sono sentiti se compaiono», sottolineando quindi l’importanza ma, al contempo, la libertà delle parti nello scegliere se prendere o meno parte all’udienza. Inoltre, una volta presentatisi, essi non hanno ulteriori oneri, dal momento che, «tutti i destinatari dell’avviso, nonché i

difensori delle parti, devono essere sentiti, se presenti indipendentemente da una loro richiesta»103.

L’udienza può anche essere rinviata in caso di legittimo impedimento del soggetto nei cui confronti si procede (imputato o condannato), il quale abbia chiesto di essere sentito personalmente. A questa possibilità è tuttavia aggiunta una clausola, che si concilia perfettamente con la seconda parte del comma 3° dello stesso articolo, trasposto poi nel comma quarto dell’art. 666. L’eccezione si ha nel caso in cui il richiedente sia «detenuto o internato in luogo diverso da quello in cui ha

sede il giudice». La ratio deriva, per l’appunto, dalla precedente

disposizione, in cui si prevede che «se l’interessato è detenuto o internato in un luogo posto fuori dalla circoscrizione104 del giudice e ne

fa richiesta, deve essere sentito prima del giorno dell’udienza dal magistrato di sorveglianza del luogo», con l’aggiunta, nell’art. 666, «salvo che il giudice ritenga di disporre la traduzione».

Se per colui che si trova in istituto esterno alla circoscrizione il quadro è chiaro, nel senso di impossibilità del rinvio, in quanto in ogni caso il

103 Così M. GARAVELLI, in Commento al nuovo codice di procedura penale, vol. II,

sub art. 127, (a cura di) M. CHIAVARIO, Torino, 1989, p. 97.

104 Definita da M. POLVANI, Le impugnazioni de libertate,2a ed., Padova, 1999, p.

314, come: «(…) l’ambito territoriale entro cui esercita il potere giurisdizionale

ciascun giudice, e che, per il tribunale, corrisponde al circondario. La determinazione di tale ambito territoriale è determinata per il tribunale dall’art. 42 dell’Ordinamento giudiziario (…) All’interprete non può pertanto sfuggire il difetto di coordinamento che risulta dal raffronto tra la determinazione normativa del circondario del tribunale e l’ambito territoriale di competenza del tribunale delle libertà [, o di quello di

sorveglianza]. Quest’ultimo, infatti, (…) estende eccezionalmente la propria

competenza territoriale in tutta l’area del distretto nel quale ha sede, e quindi, oltre il proprio ambito circoscrizionale. Ciò comporta che un imputato può essere detenuto fuori dalla circoscrizione del tribunale della libertà [o di sorveglianza] ma nell’aria di competenza territoriale di questo. (…) [tale] difetto di sovrapposizione (…) rende praticabile l’audizione per rogatoria, oltre che nelle ipotesi in cui l’imputato sia detenuto fuori del distretto in cui ha sede il tribunale, anche in quelle in cui sia detenuto entro il distretto ma fuori dal circondario».

soggetto non parteciperebbe all’udienza, dubbia è l’ipotesi di chi si trova per cosi dire «in una sorte di limbo a metà strada tra le

disposizioni dei commi 3 e 4»105 dell’art. 127. È il caso di chi, pur

recluso all’interno della «circoscrizione» del giudicante, non rientri nella sua «sede». Sul punto le tesi si dividono, riguardo alla stessa definizione da dare a questi due differenti termini utilizzati dal legislatore, tra chi tende a considerarli pressoché sinonimi, e chi invece ne fa una distinzione precisa106. Tuttavia, qualunque sia il rapporto tra i due, deve considerarsi attivabile il meccanismo della rogatoria interna,

«non essendo pensabile che [il soggetto] riceva meno di quanto il comma 3 accorda al detenuto fuori circoscrizione»107.

Cerchiamo altresì di inquadrare questa previsione all’interno del procedimento di sorveglianza, che abbiamo poc’anzi descritto come rito a contraddittorio rafforzato. Per il particolare oggetto che si è visto avere lo stesso, in relazione alla formazione di quella specifica prova insita nell’individuo, la sua presenza sembrerebbe dover essere imprescindibile.

All’interno della normativa rinveniamo due differenti situazione: quella di chi, non detenuto, perché sottoposto a misura alternativa, presentarsi direttamente in udienza ed essere sentito; colui che invece, detenuto, all’interno del circondario del giudice, per avere la medesima possibilità, deve avanzare richiesta (descritta peraltro dalla Corte di Cassazione come «atto personalissimo, non delegabile al

difensore»108); ancora, colui che si trova ristretto in circondario diverso, a cui questo diritto viene negato (salva specifica decisione del giudice), sostituendolo con una rogatoria interna al cospetto del proprio

105 V., G. DI CHIARA, op. cit., p. 182.

106 Tra coloro che propendono verso un sinonimo significato, F. CORBI, op.cit., p. 225 ss.; Contra, a sottolineare la distinzione sono in particolare, A. GALATI, Gli atti, in D. SIRACUSANO – A. A. DALIA – A. GALATI – G. TRANCHINA – E. ZAPPALÀ, Manuale di diritto penale processuale, vol. I, Milano, 2004, p. 299. 107 In questi termini, F. CORDERO, Codice di procedura penale commentato, I ed., Torino, 1989, sub artt. 127 e 128, p. 149.

magistrato di sorveglianza, da tenersi anticipatamente rispetto al procedimento che lo vede protagonista.

La prima domanda che viene da porsi è circa la motivazione che possa aver mosso il legislatore verso la tale scelta, o, se questa trasposizione non sia stata piuttosto un refuso, in fase di scrittura successiva all’articolo 127, con una disattenzione rispetto alle conseguenze sul diritto di difesa del sottoposto a procedimento di sorveglianza.

Leggendo la Relazione al progetto preliminare del codice di rito, nel Capo I del Titolo III, si nota come sia analiticamente ricostruito il percorso ideologico che ha prodotto il quarto comma così come oggi lo conosciamo. Difatti, sebbene « [nei confronti dell’interessato] è sancito

il suo diritto a comparire personalmente (dal che si desume implicitamente che, ove risulti l’esistenza di un legittimo impedimento, l’udienza dovrà essere rinviata)», resta ferma la disposizione esclusiva,

salva la facoltà lasciata al giudice di disporre, per le esigenze del caso concreto, il trasferimento dell’individuo, in modo da garantirne la presenza. Tuttavia anche in questo senso è lasciata un’importante indicazione, che potrà essere utilizzata dai magistrati come parametro valutativo o semplice linea guida: un criterio di «utilità ai fini della

decisione».

«Nell’adozione della suddetta disciplina sono state decisive le esigenze organizzative e di sicurezza, che sarebbero rimaste gravemente compromesse ove si fosse optato per un indiscriminato diritto dei detenuto alla traduzione»109.

Il detenuto avrebbe potuto in ogni momento sollevare l’incidente e richiedere l’audizione di fronte al tribunale di sorveglianza, peraltro senza l’obbligo di intercessione del difensore. Il maggior timore era il

«concreto pericolo di iniziative strumentali, anche le più pretestuose, da parte di pericolosi criminali, finalizzate unicamente ad ottenere il trasferimento110 (per tentare la fuga, mantenere contatti con altri

109 Relaz. prog. prel. c.p.p., p. 147.

110 Secondo F. DELLA CASA, op. cit., p. 127, questa argomentazione non rispecchia i principi del procedimento di sorveglianza, bensì «riflette una concezione subalterna

membri dell’organizzazione criminale, riaffermare la propria presenza nell’ambiente di origine, eventualmente per compiere vendette o eliminare avversari)»111. La maggiore difficoltà sarebbe stata bloccare tali iniziative, non esistendo nell’ordinamento uno strumento in tal senso efficace (poco incisiva sarebbe stata la stessa inammissibilità, per i limiti della sua configurazione). Con questa ricostruzione il legislatore ha giustificato una scelta che in futuro ha suscitato non poche perplessità, portando le maggiori corti a pronunciarsi numerose volte, con una stratificazione della disciplina.

Laddove il detenuto faccia richiesta di partecipare (se recluso in istituto compreso nella circoscrizione), potendo quindi rivolgersi direttamente al collegio che di lui andrà a decidere, o chieda di essere ascoltato (nei casi dell’art. 666, 4° co.), «sorge in capo all’autorità carceraria

l’obbligo di non vanificare in concreto quel diritto»112. Infatti, le

richieste fatte dal detenuto o internato, a norma dell’art. 123 c.p.p., oltre a dover essere «iscritte in apposito registro, sono immediatamente comunicate all’autorità competente e hanno efficacia come se fossero ricevute direttamente dall’autorità giudiziaria» (art. 123, 1° co., c.p.p.). A questo si deve aggiungere quanto predisposto dall’art 44 norme attuaz., che, specificando i termini della trasmissione, stabilisce che essa deve avvenire nel giorno stesso o, comunque, entro quello successivo, con l’uso di qualunque mezzo tecnicamente idoneo113. Dunque, ulteriore caso di violazione del diritto di difesa si prefigura anche nel caso in cui, a seguito di una legittima richiesta formulata dal detenuto, non segua la tempestiva comunicazione dell’amministrazione, o l’inerzia del giudice a procedere, che non possono essere contemplate come giuste cause di disconoscimento del suo diritto ad essere sentito durante l’udienza o in rogatoria interna. Il contraddittorio s’instaura

del procedimento di sorveglianza, e che contrasta apertamente con la più marcata giurisdizionalizzazione della fase esecutiva imposta dalla legge delega».

111 Relaz. prog. prel. c.p.p., p. 147.

112 Cfr. T. DELLA MARRA, Sulla partecipazione dell’imputato detenuto all’udienza

di riesame, in Giur. It., 1992, 12, (nota a sentenza), Cass. pen. Sez. VI, 29 novembre

1992.

infatti a seguito della semplice richiesta, anche laddove eseguita senza le modalità prescritte dalla legge in relazione al locus detentionis114. La

conseguenza del difetto di audizione sarà un vizio di nullità assoluta, per violazione del diritto di difesa (ex art. 24 Cost.), di tutte le decisioni prese in sede di udienza, nel caso di sua assenza slegata da una qualsiasi forma di volontà, nelle ipotesi di mancata traduzione o mancato rinvio per legittimo impedimento dello stesso115.

Neppur si può ritenere che la concessione allo stesso della facoltà di difendersi, tramite il suo legale, seppur con ogni altro mezzo (es. memorie difensive), possa colmare la lacuna. Dobbiamo però considerare che l’art. 309 del codice di rito (procedimento di riesame), caratterizza questi atti come personali dell’imputato, e dunque, se da una parte essi non potrebbero avere la stessa valenza se presentati a mezzo di avvocato, a maggior ragione non ne avranno se esercitati di fronte al magistrato di sorveglianza delegato, in luogo dell’organo giudicante116. «È perfino superfluo sottolineare come tali ragioni –

filtrate attraverso la mediazione del verbale redatto dal cancelliere del giudice delegato all’audizione – finiscano per perdere gran parte della forza di persuasione che avrebbero potuto esercitare sul giudice competente a decidere»117. Al tribunale del riesame sono invero

attribuiti ampi poteri cognitivi, che riguardano anche elementi nuovi, sui quali dovrà esser redatto verbale prima dell’inizio dell’udienza, in

114 Sostiene sul punto la Cassazione che: «qualora il condannato, detenuto in un luogo

posto fuori dalla circoscrizione del giudice che procede, chieda di essere sentito personalmente, previa traduzione all’udienza camerale, il giudice deve disporre tale traduzione o l’audizione davanti al magistrato di sorveglianza del luogo, in quanto, ai fini dell’instaurazione del contraddittorio è sufficiente che vi sia una richiesta ad essere ascoltati, attenendo le ulteriori indicazioni a modalità di attuazione del diritto di audizione che sono riservate alla decisione del giudice». Così Cass., Sez. I, 23

febbraio 1995, Piras, in Cass. pen., 1996, p. 150.

115 Cfr., in giurisprudenza, Cass., Sez. I, 2 ottobre 1985, Martelli, in Cass. pen., 1987 p. 1014, m. 836.

116 Cfr. G. BELLAVISTA, Lezioni di diritto e procedura penale, Milano, 1965, p. 294. 117 Così, V. GREVI, Tribunale della libertà, custodia preventiva e garanzie

individuali: una prima svolta oltre l’emergenza, in Tribunale della libertà e garanzie individuali, a cura dello stesso, Bologna, 1984, p. 53.

ossequio al principio cardine del nuovo c.p.p. del «costante contatto

immediato del giudice con tutti gli elementi della decisione»118.

Il parallelo con il procedimento di sorveglianza appare lampante: le necessità che il giudice del riesame ha rispetto alla conoscenza delle nuove prove, risultano forse essere ancora maggiori laddove, non soltanto il tribunale sia proprio su quelle nuove prove che debba giudicare (abbiamo detto, il soggetto), ma le stesse siano irripetibili, se non espletate di fronte al collegio.

2.2. L’autodifesa nell’ambito del procedimento di sorveglianza: la