• Non ci sono risultati.

L’uso della tecnologia all’interno del sistema penitenziario: gli artt 146bis e 147bis delle norme di attuazione fino alla Riforma

Orlando.

Parlare dell’utilizzo della tecnologia, in particolare nella forma della videoconferenza, o teleconferenza, richiede una serie di riflessioni, circa gli scopi, le modalità di svolgimento, nonché l’evoluzione che ha portato il legislatore italiano a scegliere questo particolare strumento all’interno del sistema processuale penale.

La materia è stata introdotta nell’ordinamento italiano, per la prima volta, con l’art. 7, comma 2, del d.l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito in seguito nella l. 7 agosto 1992, n. 356. In quest’ultima, unica previsione riguardante i sistemi di collegamento audiovisuale, era l’art. 147bis, che regolava, seppur ancora ad uno stato embrionale rispetto al sistema attuale, la partecipazione a distanza, in fase di dibattimento, in relazione all’esame di coloro che, collaboratori di giustizia, erano chiamati ad intervenire. La ratio in questo senso era in ottica protettiva rispetto agli

stessi, che si esponevano a concreti rischi di ritorsione, che potevano sfociare in minacce concrete per la loro incolumità fisica269.

La previsione è stata mantenuta anche in seguito, quando, nel 1998, il legislatore italiano con la l. 7 gennaio n. 11, stabilizzata definitivamente con un intervento de 2002 (l. 23 dicembre 2002, n. 279), dal momento che nella prima fissava un termine finale di efficacia della stessa normativa, al 31 dicembre 2000, scelta che, per quel che si può evincere dagli atti parlamentari, è legata all’ “eccezionalità dell’attuale contingenza”, giustificandosi quindi come un rimedio speciale introdotto per far fronte ad attuali problematiche di ordine sociale, di cui si auspicava la temporaneità270. La nuova legge non limitandosi a

perfezionarne la disciplina271, l’ha arricchita aggiungendo nuove specifiche fattispecie, cui erano sottesi interessi differenti.

Questo è avvenuto con l’art. 146bis disp. att., leggendo il quale, due sono le ipotesi in cui i soggetti detenuti per reati di particolare gravità («indicati nell’art 51, comma 3bis, nonché nell’art. 407 comma 2, lett a, n. 4»), e precipuamente quelli legati ad associazioni di criminalità organizzata, italiana o estera, partecipano al dibattimento “a distanza”. La prima di queste riguarda la sussistenza di «gravi ragioni di sicurezza o di ordine pubblico», potenzialmente conseguenti dalla diretta traduzione del soggetto in aula, eliminandone ab origine i rischi. Approfondendo il significato di tale formula, possiamo considerare le ragioni di sicurezza come quelle di pericolo per l’incolumità del soggetto connesse alle possibili reazioni da parte della collettività, e, invece, quelle di ordine pubblico, le ipotesi di tensione e allarme sociale scaturenti dalla stessa celebrazione del procedimento272.

269 D. CURTOTTI NAPPI, L’uso dei collegamenti audiovisivi nel processo penale tra

necessità di efficienza nel processo e rispetto dei principi garantistici, in Riv. it. dir. proc. pen., 1999, p. 487.

270 D. CURTOTTI NAPPI, I collegamenti audiovisivi nel processo penale, Milano, 2006, p. 17-20.

271 L. KALB, La partecipazione a distanza al dibattimento, in Nuove strategie

processuali per imputati pericolosi e per imputati collaboranti, Milano, 1998, p. 18 ss.

La seconda, al contrario, si rinviene qualora il dibattimento presenti caratteri di particolare complessità, e dunque la videoconferenza è finalizzata a non dilungare eccessivamente le tempistiche di svolgimento. Esigenze di celerità possono configurarsi anche laddove nei confronti dell’imputato pendano contemporaneamente una pluralità di processi in diverse sedi giudiziarie.

Questa la regola generale, che si fonda su esigenze, ancora una volta, economiche e di sicurezza sociale e che ha portato all’introduzione di strumenti di telecomunicazione che, creando un collegamento audiovisuale tra l’aula di celebrazione dell’udienza e la postazione remota, interna all’istituto penitenziario, nella quale si trova il detenuto, consentono la sua partecipazione a distanza, mediante la «contestuale, effettiva e reciproca visibilità delle persone presenti in entrambi i luoghi e la possibilità di udire quanto vi viene detto» (art. 146bis, 3° co., disp. att.). Inoltre, in aggiunta alla coesistenza di queste condizioni, indispensabili ai fini della tutela del diritto difensivo273, nel caso in cui più siano gli imputati partecipanti a distanza alla stessa udienza, il collegamento deve essere predisposto nei confronti di tutti, ed in modo tale che possano vedere e sentire anche gli altri, oltre che l’aula.

Tale alternativa modalità di partecipazione, per essere valida, deve essere obbligatoriamente disposta, anche d’ufficio, da parte del giudice, e, a seguito comunicata alle parti e ai rispettivi difensori nel termine di almeno dieci giorni prima della stessa udienza.

Al primo comma bis dell’art. 146bis, disp. att., si aggiunge poi, che si applica la teleconferenza anche nel caso di soggetto sottoposti a processo e a cui sono state applicate le misure di cui all’art. 41bis della legge sull’ordinamento penitenziario, e, seguito dello stesso, sono stati stabilmente introdotti nel nostro ordinamento, dalla legge del 2002 i “video processi”. Con questo meccanismo all’imputato vengono garantite comunicazioni private con il difensore, e, inoltre, la possibilità di essere assistito da un secondo soggetto nel luogo di custodia, durante

273 Sul punto, M. BARGIS, Udienze in teleconferenza con nuove cautele per i

la celebrazione dell’udienza. Interessante differenza rispetto ai soggetti imputati o condannati per i reati di cui al primo comma dell’art 146bis, per i quali la partecipazione è facoltativa, è che nella fattispecie in esame, il sottoposto a 41bis deve obbligatoriamente intervenire in udienza, nella forma prescritta. L’intento del legislatore era quello di garantire al detenuto, il diritto all’intervento, bilanciandolo però con le esigenze amministrative di sicurezza e organizzazione274, nonché di impedire quella pericolosa pratica del “turismo giudiziario”, che si stava diffondendo.

Questa specifica previsione, che si pone come un caso speciale rispetto alla regola del comma 1, si fonda sullo status dell’individuo, non equiparabile a quello degli altri detenuti, in quanto sottoposto alle ben più rigide restrizioni del cosiddetto “carcere duro”. Le esigenze che hanno spinto il legislatore ad affiancare questa ipotesi a quella generale, vertono specialmente sui rischi connessi alle attività di traduzione di questi individui, ed, in particolare, cercano di evitare «che i continui

trasferimenti pregiudichino l’effettività dei provvedimenti di sospensione delle ordinarie regole di trattamento penitenziario adottate nei confronti del detenuti più pericolosi»275. La formulazione su criteri

di determinatezza e tassatività, non lasciando al giudice spazi di discrezionalità nell’applicazione, in quanto apprezzabile, non dà luogo a particolari critiche.

La legge del 1998, con l’introduzione dei due strumenti, di riforma della partecipazione audiovisiva e la previsione della condizione maggiormente restrittiva per i sottoposti al 41bis ord. penit. persegue lo scopo di migliorare le condizioni di sicurezza, con la conseguenza automatica di impedire a coloro che rivestono un ruolo di spicco nella criminalità organizzata, di comunicare tra di loro in occasione della

274 L. FILIPPI, La novella penitenziaria del 2002: la proposta delle Camere Penali e

una “controriforma” che urta con la Costituzionale e con la Convenzione Europea, in Cass. pen., 2003, 2, p. 32.

275 D. MANZIONE – E. MARZADURI, L. 7/1/1998 n. 11- Disciplina della

partecipazione al procedimento penale a distanza e dell’esame in dibattimento dei collaboratori di giustizia, nonché modifica della competenza sui reclami in tema di articolo 41bis dell’ordinamento penitenziario, in Legislazione penale 1999, p. 863.

celebrazione di udienze alle quali partecipino, con il conseguente rischio che possano impartire direttive al resto degli associati.

Nel rivisitare la materia, all’inizio degli anni duemila, il legislatore si è accorto che prevedere tale meccanismo solamente nell’ipotesi di cui al comma 1bis dell’art 146bis disp. att., potesse essere restrittivo. Le critiche giungevano soprattutto da dottrina e giurisprudenza che ritenevano irragionevole la limitazione, oltre a sottolineare gli evidenti problemi pratici che a questa conseguivano. Il paradosso consisteva nell’impossibilità di disporre la partecipazione a distanza ogni qualvolta, nonostante sussistessero le esigenze, il procedimento si discostasse da quelli previsti nell’art. 51 comma 3bis, con concreti rischi per l’effettività dei provvedimenti di rigore276.

Per questa ragione, con il d.l. 24 novembre 2000, ha esteso la partecipazione audiovisiva dell’imputato o detenuto ai procedimenti diversi da quelli di criminalità organizzata, e a quelli per delitti previsti dall’art. 4bis c.p.p., che configura un più ampio catalogo di fattispecie. Punto debole della disciplina, che genera dubbi anche sulla possibile tenuta costituzionale della stessa, è la mancata previsione, in caso di utilizzo scorretto della videoconferenza da parte del giudice del dibattimento, o del presidente del tribunale, d’ipotesi d’invalidità277. Le disposizioni regolanti la materia non chiariscono, infatti, se possano derivare sanzioni processuali dall’inosservanza dei termini previsti, o da vizi della notifica del procedimento alle parti. Nonostante in sede di lavori preparatori del testo la questione fosse stata sollevata da taluni, che proponevano addirittura la nullità assoluta dell’ordinanza dispositiva della teleconferenza per le ipotesi in cui colpiti da vizio fossero i presupposti in fatto e diritto previsti dalla legge, il legislatore ha scelto di lasciare la questione all’opera degli interpreti, facendola rientrare direttamente nelle generali ipotesi di nullità degli artt. 177 ss c.p.p.278. Una simile volontà è stata accolta favorevolmente dalla

276 D. CURTOTTI NAPPI, op. cit. p. 147 ss. 277 Cfr. L. KALB, op. cit., p. 67 ss.

giurisprudenza che si è trovata più libera nell’operare, ed il cui indirizzo si è allineato sempre più verso una posizione di tolleranza per le decisioni, seppur imperfette, adottate dal giudice, con una limitazione delle ipotesi sanzionatorie.

La complessità è ancora maggiore laddove si analizzano le possibili circostanze passibili di condurre a nullità, dalla più grave dell’omissione del provvedimento (equiparabile alla mancata citazione in giudizio dell’imputato), che farebbe pensare ad una nullità assoluta ex art. 179 c.p.p., alla cui stregua dovrebbe essere trattato il caso di colui che, seppur messo a conoscenza dell’udienza, non vi ha partecipato (chiaramente nella forma in esame, “a distanza”), per mancata esecuzione dell’ordine di traduzione; ancora, un vizio della notifica o dell’atto, che tuttavia non siano stati ostativi alla presenza del soggetto in aula, per cui si potrebbe prospettare una nullità relativa; infine, vediamo una possibile ipotesi di nullità di regime intermedio se il provvedimento, pur notificato alle parti, lo è stato oltre i termini indicati. Sarà quindi l’interprete, nella figura del giudice che, al verificarsi di una delle ipotesi sopra previste, o di altre fattispecie di pari gravità, andrà a determinare, d’ufficio o su richiesta di parte, la sanzione conseguente e dunque i relativi effetti.

La riforma del 2002 ha inciso notevolmente anche su un altro aspetto del processo penale: le udienze camerali. È stato difatti introdotto l’art. 45bis disp. att., che riconosceva la possibilità di far uso della videoconferenza anche in questo tipo di procedimenti, estendendo conseguentemente la portata alla fase post iudicatum. A conferma di questo, la lettera della norma, menziona espressamente il «condannato», assieme all’«imputato», come destinatario dell’istituto279.

Cerchiamo di inquadrarne l’applicabilità al procedimento di sorveglianza, di nostro interesse. Innanzitutto si deve rilevare come la norma dell’art 45bis disp. att., non parli espressamente di procedimenti in camera di consiglio, bensì faccia diretto richiamo all’art. 127 c.p.p.

279 Sul punto v., G. CONTI, La tecnologia va in aiuto del «doppio binario» e il codice

Ora, l’interrogativo è se dobbiamo, attenendoci alla lettera della norma, ritenere l’ambito di estensione dello strumento tecnologico al solo art. 127, restando dunque esclusi tutti quelli che, sebbene celebrandosi con le stesse modalità abbiano però autonoma disciplina, o, meglio, considerare quel generico riferimento solo come imprecisione normativa. Prevalendo il secondo orientamento, l’interpretazione diviene nel senso della considerazione di quell’“art. 127 c.p.p.”, come dell’ «avviso della data di fissazione dell’udienza i camera di consiglio», con cui potrà essere comunicata anche la disposizione della partecipazione dell’interessato, sebbene nella forma «a distanza»280.

Altro dubbio sollevato in merito all’applicabilità della disciplina è ancora legato alla lettera dell’art. 45bis e, stavolta, in particolare all’ambito applicativo, per inquadrare il quale si fa rinvio stavolta all’art. 146bis disp. att., prevedendo che la videoconferenza possa essere disposta nei casi enunciati nel primo comma dello stesso281 . Sembrerebbero dover rimanere esclusi tutti i riti che non hanno «per

oggetto alcuna pretesa punitiva»282, tra i quali, certamente, il procedimento di sorveglianza283. Ciò che è criticabile, in tale visione così restrittiva, è l’esclusione anche riguardo ad un rito in ogni caso strettamente connesso con i reati in esame, e ancor di più pensare che laddove il legislatore si sia riferito al «condannato» non abbia voluto ammettervi anche il «detenuto», per i reati di cui al primo comma284. Per di più la sola condanna su quei presupposti, non è sufficiente, ai sensi dell’art. 146bis, a soddisfare le condizioni per la disposizione della teleconferenza, dovendo ricorrere anche una delle due ipotesi precedentemente esposte. In riferimento al procedimento di sorveglianza, una di queste, ed, in particolare, le «gravi ragioni di sicurezza o di ordine pubblico», sembra consueta. A questo proposito, la

280 Cfr., M. BARGIS, op. cit., p. 169.

281 E, precisamente, «quando si procede per taluno dei delitti indicati nell’art. 51, comma 3bis, nonché nell’art. 407, comma 2, lett a, n. 4 c.p.p., nei confronti di persona che si trova, a qualsiasi titolo, in stato di detenzione in carcere».

282 Cass., Sez. VI, 8 febbraio 2000, Sbeglia ed altri, in Cass. pen., 2000, p. 2782. 283 V. L. FILIPPI – G. SPANGHER, op. cit., p. 421.

distinzione fra le circostanze del comma 1 e 1bis dell’art. 146bis disp. att., sembra assottigliarsi nel rito de quo. Infatti, per il solo caso dei sottoposti all’art. 41bis, non è prescritta la necessità di alcun requisito aggiuntivo, essendo le esigenze di ordine e sicurezza pubbliche perseguite a priori, presumendosi ex lege il pericolo.

Proseguendo nella lettura dell’art. 146bis disp. att., al suo settimo comma troviamo un’interessante eccezione alla disciplina. Infatti, nonostante la previsione generale continui ad essere quella della preferenza della videoconferenza, si legge che, il giudice può disporre la traduzione in aula dell’imputato, nei casi in cui lo ritenga «indispensabile», e «se nel dibattimento occorre procedere a confronto o ricognizione dell'imputato o ad altro atto che implica l'osservazione della sua persona». La presenza sarà consentita per il tempo necessario al compimento degli atti. Dunque, laddove la “visione a distanza” possa compromettere l’acquisizione di una prova particolarmente rilevante, la materia incontra una deroga decisiva, con la quale il legislatore sceglie deliberatamente non soltanto di sacrificare esigenze di sicurezza, economiche e ordine pubblico, piuttosto sostanziose (come quelle legate a soggetti particolarmente pericolosi), ma di farlo in favore dell’acquisizione di esigenze processuali indissolubilmente connesse alla realizzazione del contraddittorio, e potenzialmente all’esplicazione del pieno diritto di difesa dello stesso imputato laddove la prova da fornire sia a suo favore.

Nel corso dei lavori parlamentari le maggiori perplessità s’incardinavano su quali dovessero essere gli atti per i quali prospettare una così incisiva eccezione, consentendo l’incidentale recupero della presenza in aula dell’imputato. La discussione proseguiva in considerazione dell’entità del potere da assegnare al giudice. La scelta che ha prevalso è stata quella di dare alla disciplina tre caratteristiche, in modo tale che, seppur non strettamente regolata, non si lasciasse neanche una totale discrezione al giudice. Questi indici sono: la non tassatività delle ipotesi eccettive; la natura discrezionale della

valutazione che il giudice avrebbe dovuto compiere circa l’”indispensabilità” della presenza; e, infine, la temporaneità della presenza in aula dell’imputato connessa al tempo necessario alla formazione della prova, e comunque non superiore ad un limite legalmente previsto. A garanzia del rispetto di tali requisiti, si prevede che, il provvedimento del giudice con cui è disposta la traduzione, e dunque il personale intervento in aula, deve essere motivato (ex art. 125, 3° comma, c.p.p.), specialmente in relazione al carattere di “indispensabilità”.

3.2. In attesa dei decreti attuativi della l. del 23 giugno 2017 n. 103.