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2.1 Politiche per il coinvolgimento della diaspora e dei migranti “permanenti”

2.1.2 Attrarre le rimesse economiche dei migranti 53

Nelle conferenze promosse dalla Banca Mondiale sulle migrazioni26

preliminari anche all’elaborazione di una posizione unitaria in vista del

Global Forum on Migration and Development27, la maggior parte dei documenti

prodotti sono focalizzati sullo studio delle rimesse dei migranti, e su come queste possano avere un impatto più efficace sullo sviluppo. Questo è il segno che l’orientamento delle rimesse è un tema centrale all’interno di quella che stiamo definendo come governance delle migrazioni, oltre che per la Banca Mondiale.

In un documento del 2007, per esempio, elaborato da un gruppo di lavoro interno alla Banca denominato Migration Operation Vehicle (MOVE), si sottolinea l’insufficiente conoscenza delle dinamiche che condizionano le rimesse, non potendo, queste, essere considerate un flusso monetario come qualsiasi altro che si sposta seguendo regole economiche identificabili ed applicabili a diversi contesti o situazioni: “We argue strongly that one actually cannot (in most cases) separate remittances from migration, because these phenomena are interwined and endogenous. In fact, it is not immediately clear why one would want to separate them and what the pure “impact of remittances” would mean or imply” (Sasin, McKenzie, 2007:5).

Per questo motivo, molti studiosi sono d’accordo sulla necessità di ampliare ricerche in tal senso (Goldring, 2003, Wets, 2004, DeWind, Holdaway, 2005, Sasin, McKenzie, 2007, Castels, Delgado, 2008).

L’obiettivo che la Banca Mondiale si prefigge, rispetto alle questioni migratorie, è quello di orientare questi flussi di denaro verso usi specifici che siano direttamente – e non solo indirettamente – stimolo allo sviluppo economico e sociale, individuando le strategie che si rivelerebbero più efficaci, promuovendo programmi in merito ed indicando così la strada da percorrere ai governi. Questo discorso induce a riflettere sulla peculiarità di

26 L’ultima è del settembre 2009, intitolata “The Second Conference on International Migration and

Development”.

27 Il Global Forum on Migration and Development (GFMD) nasce nel 2006, come principale piattaforma mondiale che riunisce i rappresentanti di governi, istituzioni internazionali ed in piccola parte anche della società civile attorno al tema del cosviluppo, ed alle diverse tematiche riguardanti le migrazioni e lo sviluppo, in seguito all’UN High Level Dialogue on Migration and Development. Questo era stato istituito ufficialmente nel settembre del 2006, all’interno dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, per riunire i rappresentanti dei governi attorno ad un ampio dibattito sulle questioni migratorie. È in questa occasione che si tenta di riflettere in modo concertato sulle politiche migratorie e di sviluppo. L’ultimo forum si è tenuto ad Atene nel Novembre 2009.

questo flusso monetario, individuabile nella forte carica emotiva di cui è custode e veicolo, che rispecchia i legami sociali tra i migranti e la comunità, il cui utilizzo sembra seguire logiche economiche diverse da quelle previste dai modelli di sviluppo occidentali.

Tuttavia la posizione espressa dalla Banca Mondiale considera necessario intervenire su quelle esternalità negative in grado di vanificare i sacrifici dei migranti. Le rimesse potrebbero, cioè, essere sprecate senza che il loro potenziale sia sfruttato appieno: “Specifically, interventions, on efficiency grounds, are warranted when there are externalities, market failures or other distorsions that drive a wedge between private and social valuation of private decisions.” (Sasin, McKenzie, 2007:12).

La debolezza del tessuto economico locale che contraddistingue molte zone dei paesi di origine dei migranti, può ostacolare, secondo la Banca Mondiale, un fruttuoso uso delle rimesse. L’istituzione ritiene dunque indispensabile sostenere campagne di informazione rivolte a chi, ricevendo le rimesse, può non essere al corrente delle opportunità d’investimento che esistono nel proprio paese; favorire e concorrere alla nascita di progetti “sociali” così come quelli imprenditoriali; oltre che migliorare i sistemi di trasferimento delle rimesse.

La maggior parte degli studi empirici sulle rimesse dimostra che queste hanno un impatto positivo sulle condizioni di vita delle popolazioni di origine: significativo è l’esempio dell’impiego delle rimesse collettive in Messico (Orozco, 2003), o l’importanza che esse hanno per le popolazioni dell’Africa sub-sahariana, nonostante esse siano in gran parte utilizzate per i consumi a scapito della quota dedicata agli investimenti (Sander, Maimbo, 2002). Anche le analisi di Kathleen Newland (2004), direttrice del Migration Policy Institute di Washington, dimostrano come le differenti politiche governative dei paesi di origine dirette al coinvolgimento della diaspora – che spesso prevedono incentivi tesi a stimolare l’investimento in attività produttive – riescano solo in parte a condizionare il comportamento economico dei migranti: la studiosa stima che circa l’80% delle rimesse inviate sia impiegata per la sussistenza dai familiari rimasti in patria.

Nei paesi in via di sviluppo, da cui i migranti provengono, l’accesso ai beni alimentari, all’acqua, alle cure mediche, all’educazione e a tutto ciò che serve a soddisfare i bisogni fondamentali di una persona, passa – spesso in assenza di servizi pubblici gratuiti – principalmente attraverso il mercato: le

rimesse si distinguono nell’insieme dei flussi monetari internazionali per il fatto di costituire il più grande “sussidio diretto” per le popolazioni dei paesi riceventi, e per la loro capacità di rispondere nell’immediato ai bisogni dei familiari.

Nonostante queste evidenze, le istituzioni internazionali insistono nell’interpretare l’utilizzo delle rimesse per la sussistenza come un investimento improduttivo: per raggiungere gli obiettivi di cosviluppo sembra necessario stimolare la nascita di attività imprenditoriali capaci di garantire un profitto. Nonostante i dati (World Bank, 2006) evidenzino come questa idea sia marginale nelle possibilità e nei desideri dei migranti, l’ideologia neoliberista che regna attualmente nello spazio transnazionale sancisce che il flusso di investimenti produttivi dal Nord al Sud – in particolar modo quello rappresentato dalle rimesse – è una delle possibilità per diminuire il bisogno delle persone di migrare, e va quindi sostenuta e “accompagnata”.

Si può forse discutere dell’impatto più o meno positivo delle rimesse sull’occupazione o sulla crescita, ma ci sono delle esperienze, come quelle citate, che dimostrano l’importanza di queste risorse per la sussistenza delle popolazioni nelle aree più povere, e come, nonostante le rimesse, la migrazione sia bel lungi dall’arrestarsi. Un caso emblematico è quello evidenziato da Wets: “It is said of Morocco, for example, that more than 1 million people do not live below the absolute poverty line, precisely because of the migrant remittances. It can be discussed whether or not this is a productive use of these means or merely one linked to consumption. If “consumption” implies an investment generating higher-quality food, education for children, better and more sanitary housing, health care, etc., then it can at least be considered as an investment in the future generation and thus an indirect investment in a more productive society” (Wets, 2004:30).

Per quanto riguarda le considerazioni sulla quantità e l’impiego delle rimesse, bisogna sottolineare che si tratta comunque di dati ed analisi ancora non sistematizzati, tanto che in alcuni casi troviamo risultati diversi da quelli suggeriti da Newland o Sander e Maimbo. Per esempio, in uno studio svolto da Adam, Cuecuecha e Page (2009), sul rapporto tra rimesse, consumo e investimenti in Ghana, si arriva alla conclusione che nei contesti osservati le rimesse non sono percepite dalle popolazioni locali che le ricevono come una fonte di reddito sicura ed affidabile per l’economia familiare, e quindi la

predisposizione prevalente è quella di “investirle”, in questo caso in capitale umano, piuttosto che consumarle. Questo studio evidenzia infatti come una quota importante delle rimesse sia spesa per l’educazione, determinando così un miglioramento del capitale umano nel paese.

Il dibattito sulle rimesse dei migranti è, e probabilmente continuerà ad essere, centrale rispetto alle politiche di cosviluppo. Oltre agli effetti di queste risorse nei paesi di origine, bisognerebbe tenere conto dei costi sociali che esse hanno, e che riguardano i migranti in primo luogo oltre che le loro famiglie, e che vanno ben oltre il brain drain o il care drain. Alcuni studiosi riflettono sul fatto che attraverso le politiche di cosviluppo si affidi la responsabilità dello sviluppo proprio ad un gruppo sociale sistematicamente sfruttato nei paesi di destinazione: “Rather than seeing remittances flows as a drain on the destination country bank account, we can see them as a way to rectify years of uneven development. In times of declining aid budgets, we should not expect migrants’ private transfers to make up for the home responsibilities. On the other hand, we should not forget that migrant remittances constitute an enormous development resource” (Levitt, Sørensen, 2004:10).

Anche Kathleen Newland evidenzia che “It is becoming clear that a mobilised diaspora can be a major source of political and economic advantage. […] A diaspora strategy is not a substitute for a development policy. The two together, however, can produce considerable synergy” (Newland, 2004:17).

Delle riflessioni interessanti rispetto ai tentativi dei governi di coinvolgere le risorse finanziarie dei migranti nel paese d’origine, provengono dalla comparazione tra i casi dell’India e della Cina (Newland, 2004, Agunias, 2006).

Nonostante gli sforzi del governo indiano, che negli ultimi anni ha dato vita a politiche atte a stimolare gli emigrati ad investire in attività produttive in patria e in titoli nazionali, le rimesse economiche nel paese sono utilizzate nella maggior parte dei casi per la sussistenza delle famiglie, attenuando così le condizioni di povertà delle classi meno abbienti, e solo in minima parte sembra siano investite in attività produttive, non avendo dunque effetti diretti sulla crescita economica. Quest’ultima potrebbe essere però sostenuta dalla valorizzazione delle rimesse sociali28 consistenti del

28 Secondo Levitt e Sørensen (2004:8), le rimesse sociali sono “the ideas, behaviors, identities, and social

capital that migrants export to their home communities. They may include ideas about democracy, health, gender, equality, human rights, and community organization”.

ritorno in patria dei lavoratori che si sono specializzati all’estero, del trasferimento di tecnologia e dei legami commerciali creati ed alimentati dalla diaspora.

Nel caso della Cina, invece, si è affermato un modello definito business oriented, direttamente rivolto cioè all’impiego delle rimesse in attività imprenditoriali. Al fine di limitare al minimo il grado di dipendenza del paese dagli investimenti ed i capitali stranieri, già dalla fine degli anni ottanta il governo cinese aveva cercato di attirare le rimesse dei propri emigrati offrendo loro pacchetti di investimento vantaggiosi. Accanto a questo, il governo cinese ha poi continuato ad elaborare diverse politiche anche per il coinvolgimento dei migranti più qualificati. L’effetto di queste politiche è oggi visibile, in quanto nel 2002 circa la metà di tutto l’investimento diretto, in Cina, proveniva dalla comunità cinese all’estero; un contributo fondamentale all’economia proveniva anche dal commercio bilaterale di prodotti cinesi nei paesi d’arrivo dei migranti (Newland, 2004).

Un esempio come quello dell’India citato da Newland, mostra come le rimesse, se dirette verso il nucleo parentale di appartenenza, migliorano sostanzialmente le condizioni di vita di quelle famiglie che hanno un loro membro emigrato. Ciò però ha come effetto l’aumento della disuguaglianza nei territori d’origine, in quanto la sussistenza di quelle persone resta legata e dipendente dalle rimesse, e ciò potrebbe costituire una spinta all’emigrazione.

Viceversa, il caso cinese mostra come il modello di cosviluppo business oriented spinge i migranti ad usare le proprie rimesse in progetti d’investimento creati dalle politiche governative, avvertiti come più vantaggiosi, a scapito di iniziative dirette alle comunità d’origine, che non ne beneficiano direttamente.

Un ultimo esempio di politiche governative per le rimesse, il sostegno al risparmio dei migranti e al cosviluppo è analizzato da Christophe Daum (2007), e si riferisce al governo francese, in quanto paese di arrivo dei migranti. Si tiene conto, in questo caso, dell’enorme volume delle rimesse che ogni anno anche dalla Francia si spostano verso i paesi di origine e che collocano i migranti sulla scena internazionale come principali sostenitori delle proprie famiglie, potenziali clienti per le agenzie di trasferimento di denaro e banche, ma soprattutto soggetti che potrebbero intraprendere

attività economiche, benché si sia già sottolineato come ciò si verifichi solo in alcuni casi.

A questo scopo, dunque, in Francia è stato creato nel 2006 il Livret d'épargne codéveloppement: un libretto di risparmio di cui possono approfittare i migranti che hanno in mente un progetto nel proprio paese d’origine. Mettendo da parte i propri risparmi su questo libretto, bloccato per tre anni, si aggiunge un contributo per chi decide di ritornare nel paese di origine e avviare un’attività. Questo incentivo governativo tende a favorire la nascita di attività economiche legate al ritorno in patria ed è rivolto esclusivamente a persone fisiche, dunque per progetti individuali.

I problemi legati a questo tipo di sostegno sono molteplici. Innanzitutto si tratta di una misura che riguarda in modo assolutamente marginale il numero dei migranti presenti in Francia: anche Daum sottolinea come le rimesse dei migranti in Francia venga impiegata in patria per la sussistenza, la costruzione di abitazioni, e per progetti collettivi.

La strategia proposta dal governo per sostenere il cosviluppo si riduce alla mobilizzazione dei risparmi dei migranti verso progetti individuali, prendendo le distanze dagli interventi che i migranti da decenni pongono attraverso le loro associazioni. Si tratta dei progetti di sviluppo finanziati dalle rimesse collettive, che costituiscono dei propulsori per un vero e proprio sviluppo sociale ancor prima che economico, concordato con le popolazioni locali, e diretto nella maggior parte dei casi a migliorare le condizioni di vita nelle regioni d’origine, sostenendo la creazione di strutture e infrastrutture necessarie per la sussistenza e la potenziale creazione di attività economiche. Secondo Christophe Daum “le développement des régions d’origine est précisément une affaire associative” (Daum, 2007), ma ciò non è riconosciuto dai governi dei paesi di destinazione. È evidente che si tratta, nel caso del Livret d'épargne codéveloppement, come per i dispositivi francesi analizzati nel precedente capitolo, di uno strumento funzionale principalmente ad ottenere il rientro dei migranti nel paese d’origine.

2.1.3 I programmi di cosviluppo delle istituzioni e delle organizzazioni