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1.1 Il nesso tra le migrazioni e lo sviluppo 24

1.1.2 Il carattere transnazionale delle migrazioni contemporanee 33

Un contributo fondamentale al dibattito sulle migrazioni e lo sviluppo proviene dagli studi sul transnazionalismo degli anni novanta. Questi identificarono nell’incapacità delle teorie convenzionali sulle migrazioni – che prevedevano un tipo di analisi dicotomica, considerando il migrante come individuo rispetto ad una entità nazionale, e quindi immigrato rispetto a quella d’arrivo o emigrato rispetto a quella di origine – di cogliere tutte le molteplici conseguenze delle pratiche migratorie. Secondo Levitt e Sørensen (2004) gli studi sul transnazionalismo permisero di guardare al migrante “as forming part of two or more dynamically intertwined worlds, and the transnational migration as “the processes by which immigrants forge and sustain multi-stranded social relation that link together their societies of origin and destination (Bash at al 1994:6)”” (Levitt e Sørensen, 2004:2).

Le conseguenze di questo nuovo approccio teorico sulla possibilità di cogliere l’impatto delle migrazioni sullo sviluppo dei paesi di origine sono

importantissime. La definizione di social fields12 come “a set of multiple

interlocking networks of social relationships through which ideas, practices, and resources are unequally exchanged, organized and transformed” (Levitt e Sørensen, 2004:3) permette di considerare come parte del fenomeno migratorio anche le comunità e gli individui rimasti nel paese d’origine, in quanto collegati ai migranti attraverso reti e relazioni sociali. Dalle indagini sul campo basate su questo approccio emerge come l’impatto sullo sviluppo dei fenomeni migratori prescinda dal ritorno dei singoli migranti, e come esso dipenda invece dall’efficienza degli scambi relazionali tra chi parte e chi resta.

In questo senso, gli studi di Alejandro Portes (1997) dimostrano che le forme di auto-organizzazione di migranti, attraverso le reti transnazionali, sono molto forti e largamente diffuse, sia dal punto di vista economico che sociale e politico. I migranti, organizzati in associazioni, le quali a loro volta possono far parte di una rete più ampia, creano e sostengono relazioni sociali molteplici che uniscono territori d’origine e d’arrivo, oltrepassando le frontiere geografiche, culturali e politiche, e si insinuano nei processi del capitalismo internazionale, servendosi delle tecnologie da esso prodotte per emanciparsi dalle condizioni di svantaggio e perseguire dei progetti autovalorizzanti13.

Il transnazionalismo è definito quindi come “the processes by which immigrants forge and sustain multi-stranded social relations that link together their societies of origin and settlement. We call these processes transnationalism to emphasize that many immigrant today build social fields that cross geographic, cultural, and political borders…. An essential element is the multiciplity of involvements that transmigrants sustain in both home and host societies. We are still groping for a language to describe these social locations” (Portes, 1997:4).

Qualificare come transnazionali le reti sociali, le iniziative e lo spazio sociale prodotto dai migranti, ha significato il riconoscimento delle potenzialità del fenomeno migratorio da diversi punti di vista. Le ricerche nell’ambito del transnazionalismo hanno evidenziato come i migranti riescano a servirsi delle stesse dinamiche capitalistiche che tentano di ridurli a corpi docili (Foucault, 2005), per emanciparsi da condizioni di

12 Levitt, P., Glick Schiller, N., (2004), Transnational perspectives on migration: conceptualising simultaneity,

International MIgration Review.

13 Portes (1997) cita, tra gli altri, il caso dei migranti provenienti dalla Repubblica Dominicana dove più

di un centinaio di piccole e medie imprese sono create e gestite dai primi immigrati negli Stati Uniti, e i casi dell’Equador e di El Salvador.

subordinazione e portare avanti dei progetti autonomi. La negazione da parte dei migranti delle pratiche repressive della globalizzazione non avviene attraverso la creazione di sindacati o organizzazioni proletarie internazionali, né tanto meno attraverso la richiesta di migliori condizioni alle imprese che utilizzano la loro forza lavoro. In un contesto in cui il perpetuarsi della sottomissione agli interessi della valorizzazione del capitale è creata da entità sopranazionali come le grandi corporations, il Fondo Monetario Internazionale e l’Organizzazione Mondiale del Commercio, anche la risposta dei migranti si fonda su pratiche che oltrepassano i confini politici nazionali e riguardano tutte le realtà in cui essi interagiscono.

Le attività economiche che sostengono queste comunità si alimentano spesso degli stessi meccanismi dell’accumulazione capitalistica, ma in molti casi si esprimono nell’iniziativa delle popolazioni, dal grass-roots level, e le sue iniziative si muovono spesso attraverso dei canali informali.

Secondo Portes, le cause di questa evoluzione – da migranti in trasmigranti – sono innanzitutto due. La prima riguarda il trattamento svantaggioso riservato ai lavoratori immigrati nei paesi ricchi. Questo non permette loro di raggiungere gli obiettivi economici desiderati e li induce a creare delle reti di relazioni sociali per salvaguardare il tornaconto dell’esperienza migratoria. La seconda è che, proprio a causa di queste condizioni precarie, queste reti sociali si sono sviluppate sulla solidarietà e su forti legami di fiducia tra i componenti, legami rivolti a fornire una certa sicurezza.

La nuova figura che emerge in questo contesto è quella del trasmigrante dunque, colui il quale vive a cavallo fra le due realtà della migrazione, traendo profitto dall’appoggio della rete. La figura più emblematica rispetto a questo è quella degli imprenditori/migranti, i quali, una volta intrapresa l’attività produttiva, si spostano spesso, anche su grandi distanze, per raccogliere gli input necessari alla riuscita della propria impresa, input sia materiali (beni, strumenti, danaro) che immateriali (idee, mode, stili di consumo). I trasmigranti creano a loro volta opportunità lavorative – direttamente o indirettamente – a causa dell’aumento della domanda di beni immobili, di merci, servizi di trasporto efficienti e veloci, servizi bancari, anche nei contesti dove il canale informale è molto diffuso per la gestione del risparmio e del credito.

Queste imprese transnazionali traggono profitto dall’insieme di tecnologie nell’ambito delle comunicazioni e dei trasporti frutto dell’innovazione capitalistica. Questa è una forse delle ragioni per le quali le reti sociali di migranti emergono con forza negli ultimi decenni: “This form of popular response to global restructuring, does not emerge in opposition to broaden economic forces, but is driven by them. Through this strategy, labour (initially migrant labour) joins the circle of global trade imitating and adapting, often in ingenious ways, to the new economic framework” (Portes,1997: 9).

La spiccata capacità di adattamento dei migranti e delle loro reti li porta a produrre nuove pratiche sociali in grado creare socialmente delle alternative forme di esistenza.

Malgrado i migranti vivano in una condizione di cittadinanza transnazionale di fatto, dunque, essi continuano sostanzialmente ad essere esclusi dai diritti di cittadinanza nei paesi d’arrivo. Come sarà analizzato nel testo, anche le politiche di cosviluppo, attraverso misure che favoriscono taluni soggetti piuttosto che altri, si rivelano spesso discriminatorie nei confronti per esempio dei migranti irregolari. Alcuni sono appoggiati e guidati come agenti di sviluppo, ma la maggior parte continua a vivere condizioni di vulnerabilità, emarginazione ed esclusione dal riconoscimento di tutti quei diritti politici, economici, sociali e culturali che ancora si legano al concetto di cittadinanza riferita all’idea di stato-nazione (Mosangini, 2007). “La visión instrumental-represiva de la inmigración subyace en todas las políticas implementadas en este ámbito. El codesarrollo non es una excepción. Una vez separados los inmigrantes entre buenos y malos, el codesarrollo trabajará con los primeros mientras los segundos quedarán dispersos en el mar al intentar llegara Canaris, al pie de las mallas que circundan Ceuta y Melilla, bloqueados en sus países o expulsados en caso de llegar a España.” (Mosangini, 2007:8)