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2.2 Politiche per stimolare la circolarità dei lavoratori migranti temporanei 70

2.2.1 La necessità di imporre il ritorno e il controllo dei flussi 74

Tra gli “errori” delle vecchie politiche migratorie il principale è identificato nella scarsa capacità dei governi di garantire l’effettivo ritorno dei migranti nei paesi di origine, e completare così lo schema delle tre “R”. Nel nuovo ordine circolare si moltiplicano dunque i dispositivi per incentivare il ritorno ma anche quelli che tentano di imporlo con la forza.

Nel testo “How to make migration work for poverty reduction”, redatto da Richard Black per la House of Commons britannica (2004), questi descrive come il governo inglese tenta di affrontare il problema. Il governo ha infatti emanato una legge che prevede la possibilità per i datori di lavoro di “trattenere” parte del salario del lavoratore migrante e metterlo da parte in un conto di risparmio, al quale il lavoratore potrà accedere solo una volta terminato il proprio contratto e aver fatto ritorno nel proprio paese di origine. Se il lavoratore non rispetta il contratto, non rimpatriando nei termini previsti, egli perderà il diritto di ricevere la parte del compenso di fatto confiscata dal datore di lavoro.

A causa di questa legge il lavoratore migrante potrebbe perdere dunque una parte dei propri guadagni ma soprattutto la possibilità di ottenere in futuro un nuovo contratto in Gran Bretagna. Questo dispositivo si caratterizza dunque per un forte carattere disciplinare, che costringe i migranti che intendono seguire un percorso migratorio regolare a sottomettersi a queste regole. Agunias (2006) aggiunge che in Gran Bretagna si discute anche della proposta di affidare sia il reclutamento dei lavoratori stranieri che la gestione del sistema di trattenimento parziale del salario – che la studiosa definisce come una pratica di intermediazione attraverso le penalità – ad agenzie private, in quanto più efficienti delle istituzioni pubbliche e meno preoccupate della sensibilità dei cittadini: “According to Schiff’s proposal, the introduction of private insurance agencies into the equation will likely be more efficient than utilizing the public sector since the former are subject to market force. […] The political sensitivity of the issue may also force pressure groups benefiting from the illegal job market to hamper the policy’s implementation, a scenario less likely to happen if the job is transferred over the private sector” (Agunias, 2006:30). Secondo queste considerazioni il settore privato sarebbe più capace dello stato di contrastare i flussi migratori irregolari: il tentativo appare piuttosto, secondo la nostra opinione, quello di aggirare le potenziali

resistenze dei migranti e dei gruppi che difendono i loro diritti, in quanto queste non potrebbero essere più dirette contro un unico soggetto, e cioè il governo, ma contro una moltitudine di soggetti privati.

Nel sistema della migrazione circolare, da noi preso in considerazione in quanto presentato nella produzione discorsiva delle istituzioni internazionali come premessa e promessa di futuri processi di cosviluppo, il tema dell’effettivo ritorno dei migranti nei paesi di origine è posto sempre con maggior enfasi come presupposto dal quale non si può prescindere se ci si auspica benefici per tutti (Rush, 2005, Black, UK House of Commons, 2004). È secondo questo principio che i teorici della migrazione circolare insistono per un maggiore controllo dei flussi e dunque per un ulteriore inasprimento delle leggi migratorie.

Pur ammettendo alcuni problemi legati alla messa in discussione dei diritti dei migranti in questo sistema, Rush afferma che i programmi per il lavoro temporaneo dei migranti comprendono necessariamente dei “trade- off” tra quelli che consideriamo i benefici economici per il paese di destinazione e per il migrante, e le restrizioni di alcuni diritti individuali per gli stessi lavoratori nel periodo in cui si trovano all’estero, come per esempio il diritto alla mobilità all’interno del mercato del lavoro nel paese di destinazione. Infatti “[…] one of the primary sources of migrant’s vulnerability while employed under TMPs is the requirement that they work for the employer specified on the work permit only. Tied in this way to their employers, migrants may find it difficult or impossible to escape unsatisfactory working conditions […]” (Rush, 2005:14).

Nonostante questo trade off, Rush afferma come il sistema delle quote, così come in generale quello della migrazione circolare, che propone dei programmi temporanei di lavoro, sia comunque valido, in quanto “[…] given the large income inequalities between high and low income countries, migrant workers can sometimes be willing to trade economic gains for restrictions in personal rights to an extent that is likely to be considered unacceptable in most liberal democracies” (Rush, 2005:14).

Per evidenziare come questa logica sia già stata implementata nella realtà, analizzeremo alcuni esempi che dimostrano come, nelle politiche di cosviluppo le misure di sicurezza e dunque del controllo dei flussi e del ritorno assumono un ruolo centrale.

2.2.1.1 La messa in sicurezza delle frontiere francesi

Analizzando la distribuzione delle risorse del Ministero francese per la Cooperazione, l’Integrazione, l’Identità Nazionale e il Cosviluppo, in rapporto alle azioni previste,emerge come la maggior parte di queste siano utilizzate per il contrasto dei flussi migratori e per i progetti di ritorno. Poche briciole sono destinate alle associazioni e ai progetti di sviluppo.

Fondi Programmi Destinazione

60 milioni

Cosviluppo 45 milioni assegnati ai paesi in via di sviluppo sulla base di accordi bilaterali di riammissione;

10 milioni in aiuti multilaterali (piano per la creazione di un fondo destinato a sostenere il sistema dei conti di risparmio per il cosviluppo);

5 milioni destinati a progetti individuali di ritorno. 195

milioni

Integrazione e accesso alla nazionalità

3 milioni dedicati a programmi di reinserimento nei paesi d’origine.

423 milioni

Immigrazione e asilo 80 milioni destinati alle autorità della polizia di frontiera per il contrasto dei flussi clandestini (di cui 148,000 € per il coordinamento e il controllo dei visti);

304 milioni (44% del totale del budget ministeriale) per la garanzia del diritto d’asilo, i cui obiettivi sono: ridurre lo stock totale delle domande presentate; ridurre i termini della permanenza nei centri di attesa e delle procedure; ridurre il numero delle ammissioni allo status di rifugiato.

TOTALE: 678 milioni di euro assegnati al Ministero

Fonte: la tabella è stata elaborata sulla base dei dati contenuti nell’articolo di Daum (2007).

Christophe Daum (2007) parla di questi programmi come di una vera e propria logica di rottura in rapporto alle politiche precedenti. La somma destinata al capitolo sul cosviluppo (sessanta milioni di euro), per esempio, rientra nel conteggio dell’Aiuto Pubblico allo Sviluppo della cooperazione francese. Osservandone i modi di utilizzo, si può affermare che tecnicamente vi è una sostituzione di programmi che prevedevano precedentemente l’assegnazione di aiuti finanziari ai PVS svincolati dalla questione migratoria, con veri e propri programmi di controllo dei flussi migratori. Si tende infatti a “premiare” con l’aiuto quei paesi che collaborano con la Francia nel contenimento dei flussi e favoriscono il rimpatrio dei migranti presenti in Francia. È dunque profonda la contraddizione tra l’impegno preso dai paesi donatori, come la Francia, di finalizzare l’APS al raggiungimento degli

obiettivi del Millennio, posti dalle Nazioni Unite, e l’utilizzo di quegli stessi fondi per la securizzazione delle frontiere francesi.

Il resto delle risorse finanziarie del capitolo sul cosviluppo è destinato a progetti individuali; si è già parlato dei problemi legati a questo tipo di programma, che non tiene conto delle strategie organizzative dei migranti, che nella maggior parte dei casi si fondano su una logica collettiva e non individuale. Ciò che emerge dalla lettura di questi dati è che per il governo francese il cosviluppo consiste soprattutto nella messa in atto di collaborazioni tra stati per controllare, gestire e ridurre le migrazioni.

Questa stessa considerazione è rivolta all’Unione Europea, che come vedremo nel paragrafo successivo segue lo stesso approccio del governo francese, dall’associazione CIMADE, che rappresenta un importante movimento francese per la difesa dei migranti: “En se voulant globale, l’approche européenne des migrations, tend notamment à mélanger et instrumentaliser l’aide au développement et le codéveloppement pour mieux contrôler les flux migratoires en amont.” (Cimade, 2008:2).

2.2.1.2 Unione Europea: esternalizzazione dei controlli e aiuti condizionati

Se guardiamo all’intervento europeo rispetto ai flussi migratori emerge innanzitutto come negli ultimi anni si sia affermata la pratica dell’esternalizzazione dei controlli alle frontiere dall’Unione Europea verso i paesi confinanti: attraverso aiuti finanziari condizionati si delega la gestione delle frontiere ai paesi di origine dei migranti o di transito. A questi ultimi inoltre, è affidata anche l’accoglienza dei rifugiati e di tutti gli altri migranti, nonostante si tratti spesso di paesi che non sono in grado di assumersi questo ruolo.

Secondo Claire Rodier38, studiosa del Groupe d’Information et de SouTien

des Immigrés (GISTI), l’esternalizzazione consiste nel déplacement des controles: i controlli alle frontiere sono, infatti, effettuati ormai all’origine, nei paesi di provenienza, grazie ad accordi con quei paesi. Si inviano degli ispettori europei negli aeroporti di Dakar, di Bamako, perché aiutino i colleghi africani ad effettuare controlli più rigidi; si sanziona chi trasporta (anche

38 Contributo di Claire Rodier alla conferenza «La cohérence des politique de codeveloppement», organizzata

inconsapevolmente) immigrati, arrivando così a “personalizzare” i controlli. Le collaborazioni tra l’Italia e la Libia, secondo la Rodier, sono un esempio tipico di questo tipo di politiche, che prevedono soprattutto gli illegittimi accordi di riammissione in Libia per quei migranti transitati nel paese africano prima di giungere in Italia. Un altro esempio delle nuove politiche di contenimento, a detta della Rodier, finanziate nell’ambito di programmi di cosviluppo, è quello della politica del buon vicinato, inaugurata nel 2004 dall’Ucraina, quando si iniziarono a facilitare i visti per i lavoratori altamente qualificati mentre si provvedeva a riportare i clandestini nel paese d’origine, a negare l’asilo ai rifugiati, costruendo campi profughi e calpestando ogni diritto dei migranti: “gestendo” di fatto, i flussi migratori in transito.

Già con il trattato di Dublino (1990) era stata uniformata la politica d’asilo tra gli stati membri dell’UE, stabilendo qual è il paese il paese che deve pronunciarsi sulla concessione del diritto d’asilo (il primo stato europeo in cui il richiedente è arrivato), redigendo tra l’altro una lista di paesi terzi “sicuri”, in cui cioè il richiedente dovrebbe ritenersi al sicuro da persecuzioni politiche, e nel quale egli può essere rinviato in attesa di ricevere asilo eliminando la possibilità che questi si installi nell’Unione europea.

Con il summit di Budapest (1993), che riunì i rappresentanti dei paesi appartenenti all’ex area comunista e quelli della Comunità Europea, si stipularono degli accordi secondo i quali, in cambio di assistenza tecnica e finanziaria, i paesi della CSI (Comunità di Stati Indipendenti) si impegnavano a cooperare con l’Europa rimpatriando i richiedenti asilo e i clandestini provenienti dai loro territori e accogliendo quelli in partenza.

Degli accordi simili tra l’Europa e i paesi del Maghreb sono quelli sanciti negli anni novanta e rinnovati nel 1995 nella Conferenza Euromediterranea a Barcellona, nei quali l’APS, la tutela dei diritti dell’uomo e la creazione di una zona di libero scambio da realizzarsi nel 2012, sono stati subordinati all’ampliamento dei controlli delle frontiere per frenare i movimenti migratori provenienti dall’Africa.

Gli accordi di Cotonou (2000), che stabiliscono i rapporti tra l’Unione Europea e i paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico, sono l’emblema della contraddittorietà delle politiche europee verso i paesi del Sud. Essi prevedono, infatti, la quasi totale abolizione delle tasse doganali, che nel lungo periodo potrebbe costituire un fattore positivo per l’economia, ma nell’immediato mette a dura prova gli apparati fiscali dei paesi più poveri,

provocando maggiore povertà e dunque maggiore propensione alla migrazione. Nello stesso tempo, però, si chiudono le frontiere. Quali potrebbero essere dunque gli effetti di queste politiche se non l’aumento delle migrazioni clandestine?

Significativo, rispetto a quanto detto finora, un esempio riportato da Condamines: “Dans les premiers jours de septembre 1997, le gouvernement de Gambie a refusé de se laisser forcer la main par les autorités suisses : au motif qu’aucun d’eux ne parlait l’une des langues locales, il a refusé d’admettre sur son territoire les 5 demandeurs d’asile déboutés que les autorités de Berne avaient un peu trop rapidement mis dans un avion à destination de Banjul. Ils étaient accompagnés d’un médecin et de 8 policiers. Au retour sur le sol suisse, la durée maximale de leur rétention étant écoulée, ils ont été remis en liberté. Coût total pour le contribuable helvétique : 1 600 000 F. De son côté, le ministre allemand des affaires étrangères, M. Klaus Kinkel, a proposé de supprimer l’aide publique au développement en faveur des pays qui refuseraient de réadmettre leurs ressortissants.” (Condamines, 1998).

Lorenzo Gabrielli (2007), identifica tre modalità in cui l’Europa manifesta le sue relazioni di potere sull’Africa rinnovando le condizioni di dipendenza di quest’ultima. Se una è l’esternalizzazione, appena descritta, che si rifà ad una logica a breve termine, nel lungo periodo le modalità di rinnovamento delle relazioni di potere sono principalmente due: gli accordi commerciali tra i due continenti e l’aiuto pubblico allo sviluppo. Lo studioso considera le relazioni commerciali tra paesi riflesso e a loro volta causa delle disuguaglianze economiche e sociali; è comunque verso l’aiuto che Gabrielli opera una maggiore critica. Sottolinea che i programmi che sono stati e sono proposti dall’UE per favorire il ritorno dei migranti nei paesi di origine spingendoli verso il settore agricolo si rivelano spesso un contenitore di fondi che, per oltre la metà, è destinato all’importazione di beni agricoli verso l’Europa. L’aiuto non è mai stato dato in funzione della “democraticità” di un governo rispetto ad un altro, anzi, secondo Gabrielli, spesso sono proprio i governi dei paesi che si caratterizzano per la loro antidemocraticità a ricevere maggiori finanziamenti europei. La priorità delle politiche di aiuto sembra coincidere con il finanziamento dei paesi di transito migratorio, che possono, come si diceva precedentemente, collaborare con e per l’Europa, costruendo campi o strutture di controllo per i flussi in arrivo e in partenza verso i paesi dell’Europa occidentale.

Se l’Unione Europea tenta di uniformare le politiche dei paesi membri,

alcuni stati si allontanano dall’orientamento comune trovando

indipendentemente delle soluzioni immediate ai problemi nazionali legati alle migrazioni. È il caso dell’Italia con la Libia e della Spagna e del Marocco. Nel caso dell’accordo tra la Libia e l’Italia39 già criticato dalla Rodier – il quale

prevede assistenza tecnica e finanziaria al governo africano in cambio di accordi di riammissione di migranti africani nei campi libici –, il regime africano non è considerato a livello internazionale come una dittatura in cui non sono rispettati i diritti fondamentali dell’uomo, non vi è un sistema democratico legale, che non è interessata e non ha le possibilità di garantire l’assistenza umanitaria ai migranti. Nonostante questo, per l’Italia (e per gli altri paesi europei che hanno tacitamente approvato l’accordo) la Libia è un affidabile partner per il controllo delle frontiere e per il rimpatrio dei migranti clandestini, specie alla luce delle evoluzioni delle leggi emanate dal

governo Berlusconi sui respingimenti40.