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I programmi di cosviluppo delle istituzioni e delle organizzazion

2.1 Politiche per il coinvolgimento della diaspora e dei migranti “permanenti”

2.1.3 I programmi di cosviluppo delle istituzioni e delle organizzazion

Oltre ai governi, anche le organizzazioni internazionali creano dei programmi per favorire il ritorno dei migranti e l’investimento delle loro

risorse nei paesi d’origine. Un esempio è quello del programma TOKTEN29,

acronimo di Transfer of Knowledge Trough Expatriate Nationals, promosso dalle Nazioni Unite per favorire il ritorno temporaneo o virtuale – da un minino di tre settimane ad un massimo di tre mesi – dei migranti qualificati, coinvolgendoli nella formazione e nelle attività di ricerca nelle scuole e nelle università, incoraggiando i membri più preparati della diaspora a condividere le proprie conoscenze ed esperienze e contribuire così alla formazione di capitale umano nel proprio paese d’origine. Nel quadro di questo programma – tuttora in corso in diversi paesi –, per esempio, 400 palestinesi hanno prestato la loro attività lavorativa nel paese d’origine e

alcuni di loro hanno deciso di farvi definitivamente ritorno30.

Un programma simile è il RQAN, Return of Qualified African Nationals, diretto dall’OIM e finanziato dall’Unione Europea con la collaborazione dei governi africani che vi hanno aderito. Il programma riconosceva tra i problemi principali del continente africano quello del brain drain, e si proponeva dunque di stimolare il ritorno permanente in patria dei migranti altamente qualificati. Nel 2000, Ndioro Ndiaye (2000) affermava che per migliorare l’impatto del programma, che dal 1983 era riuscito a garantire il ritorno di 2000 professionisti altamente qualificati nei paesi africani di origine, bisognava coinvolgere al suo interno, oltre ai governi, anche le associazioni dei migranti, il settore privato sia nei paesi del Nord che del Sud, i donatori bilaterali e multilaterali, nonché la Banca mondiale, al fine di coordinare le diverse politiche e azioni poste da questi soggetti in modo coerente con gli obiettivi del programma (OIM, 2000).

Secondo Wets (2004), l’esperienza del programma RQAN dimostra come stimolare il ritorno definitivo dei migranti, soprattutto di quelli più qualificati, quando le condizioni economiche e politiche del paese di origine non sono abbastanza attrattive diventa non solo difficile, ma anche controproducente per gli stessi migranti.

Nel tentativo di costituire attorno alla questione del ritorno dei progetti più ampi e autorevoli, l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni elabora un nuovo programma di coinvolgimento dalla diaspora, il MIDA, Migration for Development in Africa, lanciato nel 2001, ed attualmente attivo in diversi paesi africani. Anche questo programma si propone di

29 Nel terzo capitolo analizziamo lo svolgimento del programma Tokten in Ruanda. 30 www.toktenpalestine.org.

massimizzare la relazione positiva tra migrazioni e sviluppo, lottando contro il brain drain, aiutando i paesi africani a mobilitare le competenze acquisite dai migranti all’estero e favorendo il loro investimento nel paese d’origine. Il nuovo approccio dell’OIM però, cerca di tenere in conto molti fattori per ottenere la riuscita dei singoli progetti. Sebbene il programma incoraggi il ritorno dei migranti nei propri paesi di origine, questo non è necessariamente previsto come definitivo, anzi, si sostengono forme di ritorno temporaneo al fine di dare la possibilità ai migranti di seguire i propri investimenti nei paesi di origine. I progetti sostenuti dal MIDA prevedono la collaborazione con i governi, le istituzioni locali e gli attori economici del paese d’origine e di quello di destinazione, in un processo che pone i membri più capaci della diaspora come intermediari economici tra i due paesi.

All’interno dei singoli paesi il programma MIDA si svolge in collaborazione con i gruppi dei migranti, le istituzioni locali, le associazioni e gli istituti di ricerca. In Africa, per esempio, esistono partenariati con l’Economic Community of West African States (ECOWAS), la Southern African Development Community (SADC), l’East African Community (EAC), e la Maghreb Arab Union (UMA). In Italia il programma MIDA è stato attivato con

due comunità di migranti, quella dei ghanesi e dei senegalesi31, coinvolgendo

le istituzioni locali e favorendo la nascita di progetti che coinvolgono sia la comunità di origine che quella d’arrivo.

Nel caso italiano, è necessario evidenziare come nell’esperienza del MIDA il cosviluppo assuma sempre più il significato di integrazione economica dei migranti attraverso la creazione d’impresa. Come afferma Ndioro Ndiaye32 “[…] il cosviluppo prevede il coinvolgimento degli immigrati

nello sviluppo dei loro Paesi di origine, impiegandone sia le competenze che le risorse finanziarie non tanto su progetti personali, quanto comunitari. Iniziative di cosviluppo sono pertanto da intendersi come progetti imprenditoriali di un singolo o di un gruppo (ad esempio di cooperative o consorzi) di particolare rilevanza sociale, che prevedano una partnership forte con le istituzioni e il settore privato locali (associazioni di categoria, banche, fondazioni e altri enti)” (Ndiaye, in Bellavia, McCarthy, Messora, Ogongo, 2008: 137).

31 Che riguarda proprio i casi presi in esame nella ricerca empirica del lavoro di tesi ed è analizzato nel

quarto capitolo.

32Vicedirettrice generale dell’IOM dal 1999, già Ministro in Senegal per lo sviluppo sociale ed in seguito

Affinché i programmi previsti dal MIDA raggiungano gli obiettivi della migrazione circolare, Ndiaye sottolinea la necessità di alcune condizioni di base nei due paesi coinvolti. Per accedere ai fondi del MIDA per esempio, viene chiesto ai migranti di essere regolarmente presenti nel territorio di destinazione, di avere un lavoro “dignitoso” e una discreta capacità di risparmio, nonché la possibilità di viaggiare regolarmente e la “fiducia nel governo del proprio paese di origine di condizioni economiche stabili” (Ndiaye, in Bellavia, McCarthy, Messora, Ogongo, 2008: 146).

Troviamo conferma nell’approccio del MIDA di alcune considerazioni fatte nel primo capitolo sulla governance: il migrante deve divenire “imprenditore di se stesso” per avere un ruolo nello sviluppo dei propri paesi d’origine. Affinché egli possa essere identificato come soggetto su cui “investire” delle risorse questi deve dimostrare di essere capace di collaborare e creare partnership con diversi soggetti, tra cui gli enti locali delle due realtà in cui egli agisce o vorrebbe agire. Il tentativo del MIDA in Italia è inserire le iniziative dei migranti nell’ambito della cooperazione decentrata dei paesi d’arrivo, che regola gli interventi che si svolgono nei territori locali, e che devono tener conto di processi “partecipativi” tra gli attori coinvolti.

Il cosviluppo sembra aprire dunque nuovi spazi di partecipazione attiva per le popolazioni e le istituzioni locali, così come per i migranti. Nello stesso tempo, però, questi soggetti hanno bisogno di maggiori competenze, risorse e autonomia per potere decidere, agire, essere destinatari di finanziamenti pubblici, e creare dei processi di parnership nei quali non si ricreino delle situazioni di subordinazione (Gómez Gil, 2005).

2.1.3.1 La presenza dell’OIM attraverso i Migrant Resource Centers

Come fa l’OIM ad occuparsi delle questioni migratorie sul territorio globale? Grazie alla sua concreta presenza in tutti i continenti attraverso dei centri ad essa collegati. I Migrant Resource Centres (da questo momento MRCs) sono dei centri localizzati in moltissimi paesi all’interno dei quali i migranti troverebbero supporto e informazioni relative ai percorsi migratori, molti dei quali controllati ormai direttamente o indirettamente dall’OIM.

In una ricerca33 svolta dall’OIM, e presentata al Global Forum on Migration and

Development di Atene nel 2009, che ha preso in esame diciassette MRCs, parla dei primi centri nati negli anni settanta in Australia – dove sono anche oggi più diffusi – per rispondere all’esigenza di informare ed orientare gli immigrati o talvolta intere comunità, e della loro diffusione anche in altri paesi. A differenza delle reti transnazionali dei migranti, nate sulla base dell’autorganizzazione degli stessi, gli MRCs sono creati dai governi, dalle organizzazioni non governative e dalle istituzioni intergovernative. Ognuno ha un nome diverso e rivolge la propria azione verso la risoluzione di specifiche problematiche locali, eppure tutti si ritrovano attualmente accomunati da una serie di obiettivi, tra i quali: prevenire la migrazione irregolare e facilitare quella regolare, proteggere i migranti – sia regolari che irregolari –, promuovere il ritorno volontario e sostenibile dei migranti, integrare i migranti nei paesi di destinazione, promuovere il legame tra migrazioni e sviluppo. I MRCs svolgono attività molto rilevanti per quanto riguarda la raccolta dei dati rispetto ai migranti, ai loro problemi e alle loro scelte, che sono raccolte dall’OIM ed utilizzate dai governi e da tutti quegli organismi con i quali i centri collaborano anche nell’elaborazione delle stesse politiche migratorie con le quali i migranti dovranno poi confrontarsi.

Gli MRCs sono considerati nel testo come “physical structures which provide services to migrants which facilitate and empower them to migrate in a legal, voluntary, orderly and protected fashion” (OIM, 2009:4); più volte è sottolineato che solo un migrante “protetto” e “regolare” può contribuire allo sviluppo

del proprio paese d’origine. Le attività intraprese dai diversi MRCs sono

dirette a rendere maggiormente consapevoli i migranti rispetto ai rischi e alle opportunità che potrebbero presentarsi prima, durante e dopo l’inizio di una esperienza migratoria, sui diritti riservati a migranti e alle loro famiglie, così come, per esempio, sui necessari passi da affrontare per spostarsi tra i territori rispettando le disposizioni in materia migratoria dei diversi stati. Le attività di questi centri differiscono notevolmente in base alla loro collocazione geografica, ai bisogni manifestati da quelli che vengono definiti

33 Migrant Resource Centres: Examining Global Good Practices in Providing Services to Empower Migrants for

Development and Protection, Submitted by Labour and Facilitated Migration Division, Migration Management Services Department, International Organization for Migration, 12 October 2009, Geneva, to the GFMD Athens, November 2009.

“clienti”, cioè i potenziali o attivi migranti, o dalle priorità dall’ente che si fa carico dei costi del funzionamento della struttura. Tuttavia le attività sono generalmente suddivise in due ambiti: uno riguardante la valorizzazione del legame tra le migrazioni e lo sviluppo, e un altro incentrato sull’erogazione di diversi servizi per la protezione dei diritti dei migranti. Approfondiremo in questo caso il primo ambito, che è quello che maggiormente ci interessa.

Menzionando un importante documento34 elaborato nel 2006

dall’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa unitamente all’OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro) e alla stessa OIM, gli autori della ricerca affermano che c’è consenso – sottintendendo evidentemente tra i soggetti che hanno contribuito all’elaborazione del documento – sul fatto che le migrazioni dovrebbero essere “gestite” a beneficio dei paesi di origine e di destinazione, sfruttando il loro potenziale per contribuire allo sviluppo umano dei migranti, delle loro famiglie e a quello delle relative comunità. I migranti potrebbero favorire “new opportunities in terms of investment in socio-economic improvement and empowerment through the creation of job-creating businesses or necessary infrastructures, as well as adding to the skills available to these communities” (OIM, 2009:6).

Secondo gli autori, uno dei problemi principali che possono ostacolare o diminuire l’impatto positivo delle migrazioni sullo sviluppo è la mancanza di informazioni in possesso dei migranti e delle loro comunità di origine, che rende i migranti più deboli, ricattabili e non sufficientemente in grado di difendersi e cogliere le opportunità presenti sia alla partenza che nei contesti d’arrivo. L’identificazione di questi problemi legittima l’intervento dell’OIM attraverso i MRCs per orientare i migranti.

La convergenza tra gli obiettivi dei diversi centri potrebbe essere un’evoluzione avvenuta nel tempo non in modo casuale ma come effetto del loro assorbimento o parziale accorpamento ad uffici governativi o di organismi intergovernativi (come la stessa OIM), e dunque della progressiva selezione di alcune attività rispetto ad altre. Circostanze che possono verificarsi, per esempio, nel momento in cui la sostenibilità economica di un centro vacilla. Questa riflessione deriva dall’analisi degli esempi specifici

34 Organization for Security and Cooperation in Europe, International Organization for Migration,

International Labour Organization, Handbook on Establishing Effective Labour Migration Policies in Countries of Origin and Destination, OSCE-IOM-ILO, Vienna, 2006.

forniti nella ricerca, i quali mostrano la grande differenza tra alcuni centri, come il Centro de Informatión y Atención sobre Migración Internacional in Colombia o il Migrant Service Centre nello Sri Lanka, nati per esempio all’interno dei sindacati – nel momento in cui ci si accorge che la difesa dei diritti dei lavoratori deve essere posta su scala mondiale –, e altri MRCs nati come veri e propri dispositivi governativi, come la Maison des Congolais de l’Etranger et des Migrants nella Repubblica Democratica del Congo, realizzato in collaborazione con i paesi di destinazione al fine di ridurre l’emigrazione irregolare dal paese africano.

Tra le buone pratiche identificate nella ricerca, relative alle attività dedicate al rafforzamento del contributo dei migranti nello sviluppo, vi sono: l’integrazione degli MRCs nei piani di sviluppo nazionali e internazionali (è il caso del Centre d’information et de Gestion des Migrations in Mali); la raccolta d’informazioni e la loro diffusione sui canali e sui costi di trasferimento delle rimesse, insieme all’elaborazione di una serie di accordi per diminuire i costi delle rimesse collettive (questo è il caso del Filipino Overseas Workers Resource Centre); la divulgazione di informazioni sulle opportunità d’investimento per i migranti di ritorno, stagionali o all’estero, sia sugli investimenti privati e imprenditoriali che su quelli cosiddetti “filantropici”; l’assistenza relativa alla ricerca di un lavoro, attraverso informazioni e contatti nelle realtà d’arrivo e di destinazione, corsi di formazione, promozione di accordi per il riconoscimento delle competenze (come, per esempio, opera il Migration Information Centre in Slovacchia); infine, il sostegno alle capacità associative dei migranti e la promozione diretta di progetti di cosviluppo diretti ai migranti e alle loro comunità d’origine.

Il sostegno dei migranti è rivolto a: far si che la migrazione avvenga in modo regolare, collocare i migranti lì dove sono maggiormente funzionali al mercato del lavoro nei paesi di destinazione e renderli capaci di curare la propria salute, perché “ as healthy migrants are more productive members of the society in which they live” (OIM, 2009:17).

Aldilà dunque delle differenze esistenti tra i centri, esiste una loro comune predisposizione, che è quella di gestire l’iter migratorio del maggior numero possibile di persone che decidono di diventarne clienti, nelle scelte riguardanti il viaggio, il tipo di lavoro, le modalità di trasferimento delle rimesse e quelle del loro eventuale coinvolgimento in interventi di sviluppo nelle aree d’origine. Possiamo dunque presupporre che i centri vedano nelle

reti sociali transnazionali – amicali, comunitarie, religiose, ecc. – nelle quali i migranti possono trovare informazioni più o meno simili, delle “concorrenti”. In questo caso però, nonostante entrambi i sistemi potrebbero condurre i migranti nella stessa direzione, esiste una differenza considerevole: scegliendo di fidarsi della rete sociale i migranti non “usufruiscono di un servizio”, ma continuano a partecipare ad un progetto comune della propria comunità di appartenenza o di adozione, che in quel luogo e in quel momento dava loro la possibilità di affrontare – o si aspettava che loro affrontassero – quel tipo di esperienza, alla quale rimarranno legati anche quando si tratterà di scegliere la destinazione delle rimesse.

I migranti, singolarmente o in comunità, sono formalmente liberi di usufruire o meno dei servizi degli MRCs, così come di affidarsi alle proprie reti sociali o muoversi autonomamente. Nella sostanza, però sembra che questa libertà sia costantemente minacciata dall’inasprimento delle politiche migratorie dei governi dei paesi di destinazione, delle condizioni di vita in questi ultimi, e, per quel che riguarda il cosviluppo, dalla presenza di programmi che, a seconda dell’obiettivo dei patrocinatori, orientano in un modo o nell’altro le risorse economiche e/o umane dei migranti che decidono di parteciparvi. L’unica possibilità per agire autonomamente sembra essere quella di sottrarsi al controllo di governi e istituzioni, rinunciando però contestualmente agli eventuali servizi di consulenza, sostegno finanziario e appoggio logistico delle loro strutture.