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2.1 Politiche per il coinvolgimento della diaspora e dei migranti “permanenti”

2.1.4 Le rimesse collettive e i progetti delle comunità 65

Lacroix (2004), analizzando le associazioni dei migranti marocchini in Francia, evidenzia come le politiche di cosviluppo hanno alimentato un forte interesse nelle associazioni dei migranti, nelle organizzazioni non governative e negli Enti locali, le quali, anche a partire dalle stesse politiche, ne usufruiscono, inseguendo obiettivi diversi da quelli stabiliti e dando vita ad iniziative fondate su logiche non corrispondenti a quelle governamentali: “El codesarrollo que en los comienzos era pensado como un instrumento de control de flujos, ha contribuido a estructurar un espacio transnacional que transporta actores y flujos de desarrollo” (Lacroix, 2004:6).

Come si è visto, le politiche di “cosviluppo” possono tentare di orientare l’utilizzo delle rimesse, stimolando i migranti ad investire in attività

di varia natura che possano favorire lo sviluppo economico e/o sociale dei propri paesi d’origine. In questo grande insieme di politiche possiamo distinguere quelle dirette alla promozione di attività imprenditoriali nel paese di origine – destinate spesso ai singoli individui e comunque volte all’ottenimento di profitti privati – , e quelle che vanno a sostegno dell’azione collettiva – della diaspora organizzata, come delle comunità locali – attività dette anche filantropiche (Newland, 2004), e cioè che hanno come obiettivo

prioritario quello di migliorare le condizioni di vita delle comunità nei

territori di origine.

Questa distinzione non pregiudica la possibilità che in uno stesso progetto o attività intrapresi possano coesistere l’interesse verso la valorizzazione economica del proprio capitale e il desiderio di contribuire allo sviluppo della propria area d’origine, ma certamente le politiche di cosviluppo saranno diverse in funzione degli obiettivi che si vogliono raggiungere.

Abbiamo già accennato alla posizione di Daum (2007), molto critica verso le politiche di cosviluppo del governo francese, le quali, secondo lo studioso, non tengono in considerazione il contributo della diaspora sub- sahariana in Francia verso i paesi d’origine che da decenni si rivela nelle sue forme imprescindibilmente associative e solidali. Anche Chaloff (2006) sottolinea l’importanza di investire sulle iniziative di capacity building delle comunità, e “in the network, and not the individual” (2006:4), collegando i migranti alle istituzioni locali dei paesi d’origine e di destinazione, per innescare dei processi di cosviluppo destinati a durare nel tempo.

Anche Goldring (2003) sottolinea che, per quel che concerne le rimesse collettive, la maggior parte di esse viene impiegata non secondo la logica dell’investimento, ma come donazione solidale alla comunità senza la ricerca di un profitto, e il contributo è organizzato secondo le regole comunitarie: se si vuole intervenire sul contributo dei migranti, bisogna forse rivolgere l’attenzione verso le comunità e non i singoli.

Queste considerazioni, fondamentali per affrontare in modo ponderato il discorso sul cosviluppo, nascono proprio dall’osservazione di molte esperienze che hanno visto e vedono i migranti e le loro associazioni collaborare direttamente con le comunità di origine, con o senza il sostegno di programmi governativi, per portare avanti dei progetti collettivi per il sostegno delle condizioni di vita delle popolazioni rimaste nei territori

d’origine. La letteratura offre molti esempi, ci limiteremo qui a descriverne alcuni.

Uno di questi è descritto da Newland (2004) e ancora più approfonditamente da Orozco (2007) e riguarda il Messico. L’emigrazione messicana – la cui caratteristica più evidente è quella di essere concentrata quasi esclusivamente verso gli Stati Uniti d’America – è un fenomeno che ha radici profonde, e che si alimenta incessantemente ormai da oltre un secolo e mezzo. Secondo i dati forniti dalla Banca Centrale del Messico, circa il 95% delle rimesse che riceve il paese, proviene dagli Stati Uniti, e per questo sono comunemente definite migradolàres (Goldring, 1998).

Negli ultimi decenni i governi messicani, e soprattutto quello di

Vicente Fox35, hanno dimostrato interesse e assunto posizioni di stimolo

verso le rimesse. Attraverso la creazione di un ufficio presidenziale dedicato ai messicani all’estero e una serie di riforme legislative che, ad esempio, davano la possibilità agli emigrati di mantenere la doppia nazionalità e avere dei conti bancari in Messico nella valuta statunitense, il governo ha cercato di rinsaldare quei legami politici e sociali con le comunità d’origine, che gli emigrati tendevano a perdere con l’allungarsi della permanenza negli Stati Uniti, e con la progressiva trasformazione del tradizionale modello migratorio temporaneo e circolare, in uno votato al permanente e definitivo trasferimento in quel paese.

La strategia principale degli ultimi governi federali per aumentare l’impatto delle rimesse nei villaggi d’origine, è stata quella di creare dei programmi di sviluppo nei quali potesse trovare posto il contributo economico e sociale delle associazioni dei migranti, come il Paisano Program e il Program for Mexican Community Living Abroad (PCMLA). Anche i singoli stati messicani hanno messo in pratica alcuni progetti in collaborazione con le comunità degli emigrati, come Adopta una Comunidàd, nello stato di Guanajuato, chiamato anche Padrino programme, poi esteso da Fox in altre regioni del Messico ad alti tassi migratori. L’ufficio presidenziale per i messicani all’estero ideava alcuni progetti di sviluppo in concertazione con le comunità locali. Gli immigrati che volevano aderire dovevano garantire, oltre al sostegno economico, un intervento attivo nella realizzazione del progetto – misura destinata ad evitare fenomeni di corruzione –, a partire

dall’espressione delle priorità nell’area insieme alle popolazioni locali, per favorire uno sviluppo “partecipato”.

Nello stato di Zacatecas si è sperimentato un altro tipo di programma che ha avuto molta fortuna, tanto da dover essere sospeso per un certo periodo di tempo dato l’ammontare eccessivo delle richieste. Si tratta del Tres

por uno36: progetto così denominato in quanto, per ogni dollaro inviato dalle

associazioni degli emigrati attraverso le rimesse collettive, il comune, lo stato ed il governo federale, ne aggiungevano uno ciascuno per finanziare piccoli progetti di sviluppo nei villaggi rurali, per la costruzione di impianti idrici, di fognature, per la pavimentazione di strade, necessaria ad evitare l’isolamento dei villaggi, per l’edificazione di spazi pubblici per l’istruzione e per lo sport.

Nel caso messicano, dunque, emerge l’importanza delle rimesse collettive, incentivata dallo sviluppo di politiche pubbliche favorevoli verso questo particolare tipo di sostegno, che sono dirette ad una cooperazione locale che gli attori stessi definiscono come bottom-up directed. Queste conciliano la necessità di provvedere alla soddisfazione delle necessità immediate delle famiglie più povere, e l’opportunità di assumere collettivamente e dal basso l’iniziativa per avviare il miglioramento delle condizioni di vita di tutti gli abitanti dei vari villaggi, attraverso progetti di sviluppo locale accompagnati dall’aiuto pubblico.

Mohamoud (2007) descrive cinque progetti intrapresi da associazioni di migranti africani presenti in Olanda, evidenziando come la diaspora spesso risponda alle necessità primarie delle popolazioni di origine non soddisfatte dai programmi delle agenzie di sviluppo internazionali, proprio perché, attraverso i legami con le popolazioni di origine, i migranti si rivolgono spesso verso i settori più marginalizzati della società. L’autore cita, per esempio, il caso del “Buna Bet Ethiopian Coffee”, un’iniziativa diretta a sostenere i produttori di caffè e le donne, che precedentemente erano in molti casi costrette a prostituirsi a causa della povertà e della disoccupazione, nelle aree rurali dell’Etiopia. Questa iniziativa, come le altre citate da Mohamoud, rivela l’importanza dell’azione della diaspora, organizzata in Olanda in una fondazione, la Dir Foundation, che ha portato avanti il progetto contando sulle proprie forze. Sulla base delle analisi di questi casi, l’autore afferma

inoltre come i progetti promossi dalle associazioni dei migranti hanno maggiori probabilità di rivelarsi sostenibili nel tempo, in quanto esse sono sostenute, oltre che sulle rimesse monetarie, anche su quelle sociali, e gli sforzi sono diretti alla diminuzione delle disuguaglianze globali.