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4.1 – L’attuazione dell’ordinamento regionale e l’attività nomopoietica della Corte costituzionale

Anatomia dei rapporti intersoggettivi ante riforma del Titolo

II. 4.1 – L’attuazione dell’ordinamento regionale e l’attività nomopoietica della Corte costituzionale

Il 20 Maggio del 1970, durante quella quinta legislatura connotata da una spiccata instabilità governativa (ben sei governi si succedettero in soli quattro anni)101, veniva emanata la legge n. 281, contenente i provvedimenti finanziari per l’attuazione delle Regioni a statuto ordinario, che, facendo seguito alla legge 17 Febbraio 1968 n. 108, in materia di elezioni dei Consigli regionali, avrebbe aperto la stagione dell’attuazione dell’ordinamento regionale102.

101 Per una ricostruzione storica si veda L. PALADIN, Per una storia costituzionale

dell’Italia repubblicana, Il Mulino, Bologna, 2004, 239 ss..

102 L’VIII disp. trans. e fin. Cost. sanciva: «Le elezioni dei Consigli regionali e degli organi

elettivi delle amministrazioni provinciali sono indette entro un anno dall’entrata in vigore della Costituzione». Detto termine fu rinviato dapprima con l. n. 1465/1948 e poi con l. n. 762/1949.

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Con l’istituzione delle Regioni a statuto ordinario, nel 1970, inizia un periodo di forte contrapposizione tra due diverse concezioni di modello di “Stato regionale”: la prima, accolta dalle Regioni e introdotta nei loro statuti, portatrice di un modello “politico” di Regione in cui si valorizza la prerogativa della Regione a rappresentare gli interessi del territorio; la seconda, di un modello “amministrativo” di Regione simile a quello disegnato per le Province e i Comuni, sostenuta dalle amministrazioni centrali, teso a limitare gli ambiti di intervento legislativo delle Regioni ordinarie, così come avvenuto per quelle a statuto speciale.

La Corte sostenne, almeno in un primo momento, il modello “amministrativo” e, con una serie di decisioni in cui il limite dell’interesse nazionale veniva valorizzato quale limite di legittimità generale, lo Stato poté recuperare la potestà di disciplinare, anche nel dettaglio, materie “ritagliate” alle competenze concorrenti.

L’interpretazione restrittiva della potestà regionale era peraltro presente soprattutto nella legislazione statale; l’articolo 17, lett. a, della L. n. 281/1970 conteneva una delega al Governo per il passaggio alle Regioni di settori organici di materie, accompagnate dal trasferimento degli uffici periferici dello Stato. Contemporaneamente, si riservava allo Stato una funzione di indirizzo e coordinamento103 per

In realtà la prima legge in materia di adeguamento dell’ordinamento regionale fu la n. 62 del 1953, cd. legge Scelba, in materia di controlli degli atti delle Regioni, ma che faceva rinvio alle norme di attuazione delle Regioni. All’atto dell’emanazione di queste ultime la legge Scelba venne largamente abrogata a causa dell’invasività delle sue previsioni.

103 Tale funzione veniva esercitata, oltre che con leggi di principio, anche attraverso atti

amministrativi emanati dal Governo con D.P.C.M. Ciò causava un problema a livello di gerarchia delle fonti, la questione era inerente all’ammissibilità della situazione per la quale un atto amministrativo avrebbe posto dei limiti all’attività legislativa. La Corte costituzionale giudicò legittimo tale meccanismo nella misura in cui fosse stata fatta salva la legalità sostanziale, cioè che l’atto amministrativo fosse previsto e autorizzato dalla stessa legge ordinaria con la quale si individuava l’esigenza di una disciplina unitaria non frazionabile (v. C. Cost. sent. 150/1982).

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esigenze di carattere unitario con riferimento sia agli obiettivi della programmazione economica sia agli impegni derivanti dagli obblighi internazionali.

Prima pronuncia degna di nota è la sent. n. 35 del 1972, ove la Corte Costituzionale ammette la possibilità che lo Stato utilizzi direttamente gli uffici ed il personale delle Regioni, ritenendo che ciò si ispiri ad «una necessaria collaborazione fra tutti gli organi centrali e periferici che, pur nella varia differenziazione ed appartenenza, sostengono la struttura unitaria dello Stato»104. Al fine di giustificare la facoltà di avvalimento dello Stato, il Giudice delle leggi apporta un

argumentum a contrario ex art. 118 comma 3 Cost.105 in base al quale «sarebbe assurdo che ciò che può la Regione nei confronti di enti pur forniti di autonomia, come le province e i comuni, non possa lo Stato nei confronti di essa».

Gli undici decreti delegati in attuazione della L. n. 281/70 fecero esplodere il contenzioso Stato-Regioni: in questo contesto è da iscriversi la sentenza n. 138/72106, nella quale la Corte puntualizza che, sebbene alcune materie rientrino nella competenza legislativa esclusiva delle Regioni ex olim art. 117 c. 2 Cost., v’è la possibilità che talora incidano sull’interesse nazionale e, pertanto, lo Stato possa intervenire in via legislativa; la sentenza n. 140 del 1972107, ove la Corte evidenzia come «ci si trova di fronte ad una materia della quale

104 Contro la riconduzione dell’istituto dell’avvalimento alla figura organizzatoria della

collaborazione v. L. ARCIDIACONO, op. cit., 157.

105 Art. 118 c. 3 Cost. 1948: «La Regione esercita normalmente le sue funzioni

amministrative delegandole alle Provincie, ai Comuni o ad altri enti locali, o valendosi dei loro uffici».

106 In materia di trasferimento alle Regioni a statuto ordinario delle funzioni

amministrative statali in materia di fiere e mercati e del relativo personale.

107 In materia di trasferimento alle Regioni a statuto ordinario delle funzioni

amministrative statali in materia di assistenza sanitaria ed ospedaliera e dei relativi personali ed uffici.

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lo Stato non soltanto ha riconosciuto un carattere unitario tale da addossarsene, almeno allo stato della legislazione, l’onere finanziario non indifferente, ma che soprattutto presenta esigenze e caratteristiche tali che non tutte le Regioni attualmente sono in grado di soddisfare» e la successiva n. 141108, che sottolinea la «necessità che vengano indirizzate e coordinate le attività amministrative delle Regioni che attengano ad esigenze di carattere unitario» argomentando nel senso che «non sarebbe stato opportuno consentire che enti con finalità, dimensioni e strutture nazionali o comunque eccedenti l’ambito di una singola Regione, conservando tali caratteristiche, venissero disciplinati, pur nel rispetto dei limiti, dei principi e degli interessi stabiliti dall’art. 117 della Costituzione, da distinte e diverse normative, emanate dalle varie Regioni».

II.4.2 – La dottrina all’indomani della creazione delle Regioni:

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