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5.2 – La dottrina e la giurisprudenza costituzionale: tutela degli interessi unitari nel rispetto del principio cooperativo

Anatomia dei rapporti intersoggettivi ante riforma del Titolo

II. 5.2 – La dottrina e la giurisprudenza costituzionale: tutela degli interessi unitari nel rispetto del principio cooperativo

La dottrina di quegli anni132, analizzando la gerarchia delle disposizioni costituzionali, giungeva alla conclusione che gli artt. 117 e 118, se interpretati «in senso mummificante», sarebbero stati in contrasto con l’art. 5, «norma base intorno a cui deve necessariamente ruotare l’interpretazione delle altre disposizioni in materia di autonomie locali»133.

La Corte, con sentenza n. 340 del 1983 tratta della differente operatività della funzione di indirizzo e coordinamento in relazione alle Regioni a Statuto ordinario e a quelle a Statuto speciale. Ivi si afferma che essa opera se ed in quanto sussistano istanze unitarie, ma

130 L’espressione è di P. A. CAPOTOSTI, La Conferenza permanente per i rapporti tra Stato

e Regioni: una tendenza verso il regionalismo cooperativo?, in Le Regioni, 1981, 903.

131 A. RUGGERI, Prime osservazioni sulla Conferenza Stato-Regioni, in Le Regioni, 4.1984,

718.

132 A. BARDUSCO, Lo Stato regionale italiano, Milano, Giuffrè, 1980. 133 A. BARDUSCO, op. cit., 221.

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deve essere adoperato in modo tale che «si compongano le esigenze unitarie e le istanze dell’autonomia in conformità dei fondamentali criteri che presiedono alla distribuzione delle competenze fra Stato e Regioni». E con specifico riferimento alle Regioni ad autonomia speciale, segnala che «gli organi centrali possono in proposito intervenire fin dove l’interesse da soddisfare sfugge necessariamente, per natura o dimensione, all’apprezzamento dei legislatori e delle amministrazioni locali…Altrimenti, va fatta salva la competenza dell’ente autonomo».

Qui la Corte, accogliendo le doglianze regionali, pare danzare fra la tutela delle esigenze unitarie e la necessità di garantire un margine d’apprezzamento alla Regione. Ma, nel caso concreto, non suggerisce una formula che consenta il contemperamento delle diverse esigenze, magari con l’elaborazione di un’istanza collaborativa, e conclude in favore dell’autonomia statutaria.

Sono questi anche gli anni in cui grande parte della dottrina ricollega la nascita del principio di leale collaborazione le cui «prime tracce»134 sarebbero rinvenibili nella sentenza 219 del 1984135. Quanto più interessa della pronuncia richiamata, non sono tanto le disposizioni oggetto del vaglio di costituzionalità o i parametri, né il dispositivo della stessa. Ciò che maggiormente rileva è l’ammonimento che la Corte indirizza agli esecutivi regionali e nazionale. Nell’ultimo punto del considerato in diritto si legge, infatti, che la Corte «esprime(re) l’auspicio che nell’applicazione della legge i rapporti tra Stato e Regioni ubbidiscano assai più che a una gelosa, puntigliosa e formalistica difesa di posizioni, competenze e prerogative, a quel

134 S. BARTOLE, La Corte costituzionale…, op.cit, 587. Cfr. G. BERTI, op. cit.

135 Relativa alla questione di legittimità costituzionale della l. 29 Maggio 1983 n. 93, legge

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modello di cooperazione e integrazione nel segno dei grandi interessi unitari della Nazione, che la Corte ritiene compatibile col carattere garantistico delle norme costituzionali».

Si badi che fino, alla Sentenza richiamata, la Corte non individua degli strumenti da adoperare per coniugare il perseguimento degli interessi nazionali e le garanzie delle competenze regionali, ma segnala il modello cui i rapporti fra enti territoriali devono ispirarsi, ossia il modello cooperativo.

Più “concreto” è il Giudice delle Leggi, nella sentenza n. 94 del 1985. Qui, partendo dal presupposto che: «Il paesaggio, unitamente al patrimonio storico ed artistico della Nazione, costituisce un valore cui la Costituzione ha conferito straordinario rilievo, collocando la norma che fa carico alla Repubblica di tutelarlo tra i principî fondamentali dell’ordinamento (art. 9, secondo comma, Cost.)», afferma che «la tutela del paesaggio presuppone, normalmente, la comparazione ed il bilanciamento di interessi diversi, in particolare degli interessi pubblici rappresentati da una pluralità di soggetti, la cui intesa é perciò necessario perseguire di volta in volta, se comune a tutti é il fine costituzionalmente imposto, appunto, della tutela del paesaggio»136.

Nella pronuncia appena richiamata, la Corte, sancendo l’incostituzionalità di una legge della Provincia di Bolzano che dettava disposizioni in ordine alle grandi derivazioni di acque a scopo idroelettrico, specifica che la materia rientra nella competenza legislativa esclusiva dello Stato. Allo stesso tempo, però, sottolinea che

136 La materia della tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico della Nazione è

un campo su cui forte s’avverte l’esigenza dell’opera congiunta dei vari enti territoriali e non.

Si ricordi che con l. n. 431/85 fu emanata la cd. “legge Galasso”, per la quale la Corte Costituzionale venne investita di parecchie questioni di legittimità.

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le relative competenze amministrative sono caratterizzate da «momenti di consultazione e di intesa con la provincia».

La Corte fa particolare riferimento all’art. 9 dello Statuto (siccome allora vigente in ragione delle modifiche introdotte a mezzo della legge costituzionale n. 1 del 1971) che stabiliva: «1. Per le concessioni di grandi derivazioni a scopo idroelettrico e le relative proroghe di termine, le province territorialmente competenti hanno facoltà di presentare le proprie osservazioni ed opposizioni in qualsiasi momento fino all’emanazione del parere definitivo del Consiglio superiore dei lavori pubblici...hanno altresì facoltà di proporre ricorso al tribunale superiore delle acque pubbliche avverso il decreto di concessione e di proroga. 2. I presidenti delle giunte provinciali territorialmente competenti o loro delegati sono invitati a partecipare con voto consultivo alle riunioni del Consiglio superiore dei lavori pubblici, nelle quali sono esaminati i provvedimenti indicati nel primo comma. 3. Il Ministero competente adotta i provvedimenti concernenti l’attività dell’Ente nazionale per l’energia elettrica (ENEL) nella regione, sentito il parere della provincia interessata».

Peraltro, la condivisione fra Stato e Provincia autonoma delle facoltà programmatorie in materia, non si arrestavano nella fase appena richiamata, ma trovavano un opportuno esito nel “piano generale per la utilizzazione delle acque pubbliche da parte dello Stato e della provincia nell’ambito delle rispettive competenze”. Esso, infatti, era strumento richiedente “l’intesa tra i rappresentanti dello Stato e della provincia, in seno ad un apposito comitato” (art. 17 ter, terzo comma dello statuto, introdotto con l’art. 16 della legge costituzionale n. 1 del 1971).

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Nella pronuncia in questione, dunque, forse per la prima volta, la Corte costituzionale esamina i concreti strumenti collaborativi posti dalla normativa allora vigente e li reputa idonei a preservare le esigenze di rilievo nazionale nel rispetto delle guarentigie dell’ente territoriale.

Altra decisione nella quale si pone la necessità d’improntare i rapporti intersoggettivi a dinamiche collaborative è la sentenza 187/1985. Ivi, in materia di potere estero delle Regioni137, la Corte, pur riconoscendo l’esclusiva soggettività internazionale dello Stato e, dunque, la relativa esclusiva spettanza del “potere estero”138, ricorda come nella legislazione allora vigente «la regione, previa intesa con il Governo, sulla base di programmi tempestivamente comunicati alla Presidenza del Consiglio dei ministri, può svolgere all’estero attività promozionali relative alle materie di sua competenza». Sottolinea il Giudice delle leggi che detto procedimento «é in perfetta armonia con quel principio collaborativo che - per ripetuta affermazione di questa Corte - deve costantemente ispirare i rapporti fra lo Stato e le regioni»; la Corte richiama poi, a sostegno della sua posizione, le sentenze n. 175/1976 e 94/1985.

Seppure il principio non venga ancora definito espressamente di leale collaborazione, per la prima volta la Corte lo considera in una prospettiva generale. Comunque, la Corte costituzionale non asserisce di aver individuato un nuovo principio, la cui natura costituzionale sembra essere data per scontata anche se non è ancora espressamente

137 Trattasi, infatti, di giudizio promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei

ministri per conflitto di attribuzione sorto a seguito di un Protocollo di collaborazione tra la Regione Valle d’Aosta e la Regione somala del Basso Scebelli.

138 Detto assetto rimarrà impregiudicato fino alla L. cost. n. 3/2001 che, con la L. N.

131/2003 (Legge La Loggia), instaura un importante ruolo in materia alla Conferenza Stato-Regioni.

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definita, ma si rifà sistematicamente a quei precedenti giurisprudenziali che, proprio in quanto non enunciavano il principio in questione, non avevano l’esigenza di dichiarare la portata della novità.

Il principio viene espresso e si sostiene il carattere consolidato della giurisprudenza richiamata: le esigenze del contemperamento degli interessi dello Stato e delle Regioni emergono come la «ripetuta affermazione» dell’innominato principio di leale collaborazione benché non se ne individui il fondamento costituzionale.

Come già illustrato, la sentenza n. 175/1976 spostava il problema dal principio di leale collaborazione al modello cooperativo di regionalismo in cui esso sarebbe dato per presupposto; mentre la successiva sentenza n. 94/1985 non andava oltre il riconoscimento della copertura costituzionale per il settore di tutela del paesaggio: qui la Corte sottolinea come il principio sia di portata generale e non limitato al solo strumento dell’intesa.139

A nostro modo di vedere la portata innovativa di questa sentenza dovrebbe essere ridimensionata sulla scorta del fatto che già con sentenza n. 49 del 1958, come si è visto in precedenza, la Corte rimarcava che la «collaborazione[…] è del tutto normale nel sistema delle nostre autonomie, sia che si tratti d’attività legislativa, sia che si tratti d’attività amministrativa».

In altra sentenza il giudice delle leggi afferma che la legge dello Stato che istituisce le forme di collaborazione deve individuare “in che limiti e a quali effetti l’intreccio riscontrabile tra gli interessi nazionali e regionali richiede che vengano introdotti congegni di cooperazione

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tra Regione e Stato anziché separarli con nettezza di apparati dell’una e dell’ altra competenza” (sent. n. 8/1985), poiché di fronte alla necessità di intervenire su una materia, l’interesse pubblico viene realizzato con maggiore efficienza con il concorso di più soggetti istituzionali.

II.5.3 – La legge n. 400/1988 sulla Disciplina dell’attività di

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